Oggi,
9 maggio 2021, si celebra la Festa della Mamma, una delle ricorrenze più note e
decantate del mondo moderno, insieme a quella del Papà del 19 marzo, con cui è
a buon diritto entrata nella tradizione occidentale. Quest’ anno, Giacomo
Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e di articoli storici e
critica letteraria sui giornali e in rete, ha colto l’ occasione per esprimere
un commento su questa celebrazione e ricordare la propria madre, Gabriella Rosada.
Davanti
ad una tazza di tè da poco preparata, una copia di un volume raccogliente la
serie completa di Sherlock Holmes e alcune pagine di appunti scritti a mano in
previsione di una storia di fantascienza incentrata su di una squadra di cosmonauti
terrestri in esplorazione su di un lontano mondo matriarcale, lo scrittore
afferma: «Innanzitutto, mi si permetta di fare gli auguri a tutte le madri e le
signore che desiderano la maternità, in questo giorno così speciale per loro.
Ho sentito con le mie orecchie molte donne parlare del periodo della gravidanza
come di un evento del tutto particolare, assolutamente buono e meraviglioso: un
uomo può ritenersi creativo finché vuole, ma sentirsi crescere dentro una vita,
come appunto capita a una donna, è qualcosa che va oltre le parole. E lo dice
uno che con le parole ci lavora! E più di una mi ha personalmente riferito di
averne sentito un forte bisogno, che poi per fortuna è stato esaudito. La
famiglia è importante. Può sembrare una delle tante ovvietà in cui la nostra società
ormai è sempre più goffamente impantanata, ma io nella vita ho imparato che non
si deve mai dare nulla per scontato: la società si compone di individui, i
quali nascono e crescono sani o meno specialmente in conseguenza dell’ ambiente
che li circonda. La famiglia è la prima società e ambiente con cui l’ individuo
si confronta, e noi tutti conosciamo il valore delle fondamenta su cui ogni
cosa deve poter maturare.».
Aggiunge
di trovare splendido che in festività come questa i figli si ricordino di procurare
un dono ai genitori o che rivolgano loro anche solo un pensiero, ma ciò di per sé
non basta, occorre infatti capire l’ importanza dei genitori nella vita di
tutti i giorni: «Secondo l’ antico mito biblico, tra i comandamenti che Dio
diede al profeta Mosè sul monte Sinai ce n’ è uno, il quarto, che esorta ad onorare
il padre e la madre affinché si prolunghino i giorni nel Paese che scelse per il
suo popolo. Indipendentemente dalla leggenda o dalla realtà storica, ampiamente
discusse, trovo queste parole molto belle e più che condivisibili, anche se non
sempre convenientemente comprese e quindi messe in pratica.». Per Giacomo, infatti,
un figlio è la prosecuzione di entrambi i suoi genitori, dai quali ha ricevuto
la vita e i mezzi per divenire un individuo unico e irripetibile, e a cui in
cambio deve amore e lealtà in ogni momento. Solo così la Festa della Mamma e
quella del Papà possono acquisire effettivamente il giusto valore.
A
proposito della celebrazione di oggi, l’ autore ha scelto di raccontare della
propria madre: «Morì ventuno anni fa, il 5 febbraio 2000, dopo una malattia
durata sette anni anche se in realtà la sua salute non era mai stata
completamente buona a causa di problemi alle vie respiratorie. Soltanto nove
giorni dopo, a San Valentino, avrebbe compiuto cinquantasette anni. Secondo le
previsioni dei medici si sarebbe dovuta fermare a soli cinquant’ anni, invece
tenne duro finché poté!». Aggiunge che per lui è stata per molti aspetti un
esempio di vita molto importante, e ancora lo è. Nata a Voghera nel 1943, nel
pieno della Seconda Guerra Mondiale, in una famiglia di discendenza argentina e
prima ancora spagnola, che peraltro vantava un antico titolo nobiliare, con l’ avvento
della Repubblica Sociale Italiana si ritrovò a vivere in una zona fortemente presidiata
dalle forze armate tedesche, e nell’ inverno del 1944, a poco più di un anno,
rischiò di essere catturata e passata per le armi da un plotone nazista: «Ricordava
molto bene quel giorno, nonostante la tenerissima età, e più volte mi raccontò il
fatto: era la prima volta che vedeva la neve, e giocava con un amato zio e il
fratello maggiore in un campo che durante la bella stagione era adibito alla
coltivazione del mais, quando all’ improvviso udirono il passo cadenzato dei
soldati avvicinarsi lungo la vicina strada. Lo zio seppellì prontamente i due
bambini sotto la neve raccomandandosi di non muoversi e restare in silenzio,
per non farsi notare da quei macellai della Wehrmacht. Mia madre riuscì comunque
a vedere due drappelli di soldati, i cui comandanti parlavano tra loro. Le
rimasero impresse nella memoria le divise, mi disse. Quello che pareva il più
alto in grado agitava le braccia e sbraitava in tedesco, poi entrambi fecero il
saluto nazista e girarono sui tacchi, e insieme alle formazioni tornarono da
dove erano venuti. Zio e nipotini tornarono subito a casa guardandosi sempre le
spalle, e nei giorni seguenti in famiglia si seppe che i partigiani, tra cui vi
erano alcuni parenti, avevano abbattuto alcuni ufficiali tedeschi di cui ora si
stava organizzando la rappresaglia. Un tedesco valeva dieci italiani, che venivano
scelti a casaccio tra i civili per essere fucilati: perfino vecchi, donne e
bambini andavano bene, dato che per loro era una semplice questione di razza,
quindi mio prozio, mio zio e mia madre corsero davvero un grave rischio…Io
stesso ho visitato personalmente quel campo nel 2004, quando avevo vent’ anni,
e non vi dico che effetto mi ha fatto sapendo quel che vi era accaduto sessant’ anni
prima!».
Ma
purtroppo quello non fu il solo triste episodio della sua vita: nel dicembre 1947
Gabriella, di appena quatto anni, perse la madre Jolanda per tubercolosi, e soltanto
un mese dopo, nel gennaio 1948, anche il padre Pietro, colpito dallo stesso
male. Lei aveva appena ventisei anni, lui trentaquattro: «Ricordava ben poche
cose di loro, come il pianto disperato del padre ormai vedovo al funerale della
madre e il volto sorridente di lei nella bara, poco prima che la sigillassero.
Venne quindi cresciuta dai nonni materni, Ida e Mario.». Tuttavia, negli anni
non ebbe mai un rapporto sereno con la nonna, autoritaria e severa, sempre
pronta a picchiarla, ma amò moltissimo il nonno, un uomo tranquillo e benevolo,
piuttosto sottomesso alla consorte eppure sempre pronto a darle l’ amore di un
genitore. «All’ inizio degli Anni Sessanta venne nel Biellese.» prosegue Giacomo
finendo il tè «Non amava parlare di quel periodo, ma direi che appena poté abbandonò
quella nonna con lei così dura e distaccata ma sempre amorevole e prodiga con
il fratello maggiore, il suo favorito, per farsi finalmente una vita diversa,
tutta sua, lontana da un luogo che per lei significava solo drammi e
sofferenze.».
Poco
dopo il trasferimento a Biella incontrò un uomo di sei anni più vecchio, un
commerciante d’ arte appartenente ad una famiglia aristocratica, che sposò nel
1964 tra i bei colli del paese di Mosso Santa Maria, oggi Valdilana, e da cui
quattro anni dopo ebbe una figlia. L’ unione era iniziata sotto molte belle speranze,
tuttavia poco dopo tra i due coniugi iniziarono a manifestarsi incomprensioni
destinate a peggiorare: «I biellesi vivono in una zona isolata, non di
passaggio, ragion per cui sono un po’ freddi e riservati, sicuri di sé stessi e
del loro modo di vivere e lavorare, quindi poco espansivi con i forestieri. Sanno anche
rasentare il formalismo, persino tra di loro. E in una stirpe di rango comitale
come quella in cui lei era entrata a far parte tutto questo era accentuato per
via del ceto sociale e dell’ immagine pubblica che si voleva presentare.». Il
marito, prosegue, era profondamente rigido e severo, conformista e legato all’
etichetta, pronto a doni così generosi da far intuire un tentativo di asservimento,
e spesso faceva capire persino che il dovere verso i propri genitori precedeva quello
verso la consorte, e la madre, così allegra e amante della compagnia, spontanea
e anticonformista, con la passione per la pittura, le carte e la cultura, finì
presto per patire tutto quel peso. Nemmeno la nascita di un secondo figlio nel
1973, purtroppo, poté fare molto per alleggerire la situazione, anzi: «Parlava
ben poco di quei giorni, e io non ho mai osato farle troppe domande per una
questione di tatto. Capivo al primo colpo d’ occhio che erano ricordi
estremamente dolorosi, che era meglio non riesumare. Lasciavo che fosse lei ad
affrontare l’ argomento quando e come voleva, e alle volte diceva con una certa ironia
di essere stata tra le prime persone in Italia ad aver divorziato.». A pochi
anni dallo storico referendum abrogativo del 1974 sul divorzio, già introdotto
nel 1970 ma suscitando controversie e opposizioni, marito e moglie avviarono la
pratica per porre fine al loro matrimonio. Ovviamente, il problema maggiore
riguardava i due figli ancora bambini, che vennero consultati prima dagli avvocati
e poi dal magistrato in persona vista la bufera coniugale: «I miei fratellastri
avevano affermato di essere stati maltrattati da nostra madre. Tuttavia, quando
vennero presentati al giudice per confermare la loro dichiarazione, mio fratello
ad un certo punto ebbe un vuoto di memoria e si rivolse a nostra sorella chiedendole
di ricordargli ‘che cosa gli era stato detto di raccontare’. Fu la prova
evidente che erano stati indottrinati dal padre, come ripicca verso una moglie
da cui si era sentito non adeguatamente rispettato, al punto che si era parlato
di divorzio.». Il magistrato fece sapere che vi erano gli estremi per privarlo
della potestà genitoriale in favore esclusivo di lei: «Ma nostra madre diede
prova di essere veramente una grande anima, io al suo posto non so se avrei
saputo fare altrettanto: rifiutò di ricorrere a questo estremo nella convinzione
che anche l’ uomo più spregevole al mondo avesse il diritto di essere padre per
i propri figli, e anzi preferì che crescessero con lui perché disponeva di
ottime risorse finanziarie. Lei, invece, sapeva che si sarebbe preparata a
vivere tempi molto difficili sul piano materiale.».
Dopo
il divorzio, avvenuto in modo piuttosto sofferto, i figli le
furono negati con ogni mezzo possibile. Era tutto finito, ogni volta che
telefonava e tentava di vederli veniva respinta categoricamente, e tramite
amici comuni venne a sapere che l’ ormai ex marito li aveva convinti di essere
stati abbandonati senza una spiegazione da una madre che non li amava: «Tutto
ciò ovviamente ebbe effetti assai deleteri su di lei, e presto cadde nell’
alcolismo. Non so nel dettaglio come e quando, ma fu allora che conobbe mio padre. I due si
avvicinarono subito molto, fino a innamorarsi, e lui la aiutò a uscire da quell’
incubo. Quante volte mi disse che senza di lui non ce l’ avrebbe mai fatta a
rialzarsi!». Qualche tempo dopo, nel 1984, nacque Giacomo, che a questo punto
finalmente può riferire ricordi diretti: «Non si sposarono mai. Mia
nonna le fu amica, ma vi furono alcuni parenti, un po’ avanti con l’ età e di ambienti bigotti, che non la videro di buon
occhio e si presero la libertà di spettegolare facendo brutti commenti. Ho sentito con le mie orecchie una prozia acquisita, che purtroppo ora è morta, dire che era più vecchia di mio padre e
che aveva un brutto passato alle sue spalle, quindi su era certi ‘che non fosse
giusta per lui’. Come se mio padre non fosse capace di fare la scelta giusta. Ma i miei genitori si infischiarono
delle maldicenze vane promosse dai perbenisti che si credevano
brava gente dotata di un senso profondo dell’ umanità, e vissero il loro
rapporto alla luce del sole dimostrando di non avere nulla di cui vergognarsi. Io
stesso non ho mai goduto di alcuna considerazione da parte di questa cerchia, ma valutando le voci su mia madre la cosa non mi è mai pesata
affatto, anzi (risata)! Pensate che mio padre un giorno dovette rivolgersi
alla Benemerita pur di zittire una cugina che diceva peste e corna su mia madre,
e facendole sapere che se non si fosse fermata l’ avrebbe denunciata…». Quando
nacque lui, sua madre in qualche modo sentì di aver avuto una seconda
opportunità: «I miei fratellastri le mancavano, e niente e nessuno avrebbe mai
potuto sostituirli. Io stesso ho sempre saputo di non essere il suo solo figlio,
ma capivo che con me avrebbe potuto avere tutte quelle possibilità che un amaro
destino le aveva precedentemente negato. Per lei era importante fare la madre.
Un giorno mi disse che dopo di me avrebbe tanto voluto avere un altro figlio, per
non lasciarmi da solo, ma aveva rinunciato perché la sua salute
cominciava a degenerare e alla mia nascita aveva già quarantuno anni, che all’
epoca erano tanti per una donna. Non come oggi, che molte amiche del gentil
sesso cominciano proprio a quest’ età, tra la crisi economica e sociale e le
esigenze della carriera, quando c’ è!». Mostrando una fotografia che li ritrae
insieme quando aveva quattro o cinque anni a passeggio con Bijoux, un bel
cucciolo di Yorkshire, aggiunge: «Spesso mi pare ancora di vederla seduta a
tavola dopo i lavori domestici, alle prese con un bel Solitario oppure con una
telenovela, sempre con una sigaretta o un bicchier di vino a portata di mano. Mia
madre era un personaggio del tutto fuori del comune. Aveva sofferto molto,
eppure non faceva mai la vittima. Era intelligente, sensibile ma forte e
profondamente ostinata: quando aveva in testa qualcosa, così doveva essere!
Amava moltissimo la compagnia, il confronto e la discussione. Avrebbe potuto
conversare amabilmente per ore, ma guai a quello sprovveduto che avesse osato pestarle
i piedi: sapeva accontentare chiunque fosse in cerca di problemi!». Era una
persona pacata, fa capire, ma le sue esplosioni di rabbia erano davvero
notevoli. Essendo di antica discendenza aristocratica, nata in una famiglia risalente
al Cinquecento circa i cui avi spagnoli e poi argentini detenevano un titolo ducale,
e che verso la fine dell’ Ottocento si era imborghesita e suddivisa in vari
rami, uno rimasto in Argentina, un altro rientrato nell’ originaria Spagna e l’
ultimo stabilitosi in Italia, insieme al padre lo crebbe in accordo con il
valore delle buone maniere, del rispetto e dell’ istruzione: «Mi diceva sempre
che comportarsi con educazione è importante, perché così si può andare ovunque
e ci si relaziona con tutti. Noi non siamo soli al mondo, quindi bisogna vivere
senza urtare gli altri. Sostenere le proprie ragioni è altrettanto rilevante, perché
se non lo si fa il prossimo si convince di poterci schiacciare a volontà, e
anche questo può essere fatto con classe e dignità. Studiare, poi, è un
patrimonio incalcolabile per la persona perché se siamo sufficientemente intelligenti
ci aiuta a capire meglio il mondo e noi stessi. Quando si crede in qualcosa bisogna
sempre dare l’ esempio per primi, e mai nascondersi dietro i formalismi: si
deve saper essere spontanei, quel che si è, perché un comportamento veramente
educato non si basa su comportamenti meccanici. Lei stessa era beneducata, per
molti versi alla maniera dei signori di una volta, eppure piuttosto
anticonformista!».
Alla
domanda su che rapporto avesse con lei, sorride: «Meraviglioso. L’ ho sempre
trovata un esempio molto particolare di persona forte, nonostante le molte e
gravi difficoltà non si arrese mai, e non divenne pessimista. Non l’ ho mai sentita
parlare di cose sconvenienti, spettegolare su nessuno o augurare il male a
chicchessia. Pur essendosi limitata alla scuola dell’ obbligo in tono con le
disponibilità delle famiglie comuni negli Anni Cinquanta, visto che i nonni
erano persone semplici, aveva una certa cultura e amava i classici, passione
che ha saputo trasmettere anche a me. Era una vera signora, e poco prima di
morire mi disse che la nobiltà nasce nel cuore, mai da un titolo. Aggiunse che
agire contro la propria coscienza è la cosa più sbagliata al mondo, che se
anche tutti mi dovessero dire che una cosa sbagliata è giusta invitandomi a
spostarmi sarebbe mio dovere restare con i piedi ben piantati in terra e
guardarli negli occhi dicendo: ‘No, spostati tu!’.». A proposito di ciò che sente
di avere in comune con lei, corruga la fronte e si immerge per qualche istante
in una profonda riflessione: «La testardaggine è senz’
altro la prima cosa che mi viene in mente, come mio padre e mio zio materno
hanno spesso confermato. Anche l’ anticonformismo è qualcosa che mi accomuna a
lei, sento infatti il costante bisogno di pensare con la mia testa e agire in base
alla mia esperienza personale: non riuscirei mai ad adeguarmi al pensiero di un’
altra persona, fosse anche l’ uomo più saggio, importante e riverito al mondo. Come
lei perdo la pazienza quando cercano di prevaricare, sento l’ importanza delle buone
maniere pur senza diventare formalista e subisco il fascino della storia e della
cultura classica. E crescendo ho maturato i suoi stessi dubbi in tema di religione,
che da quando avevo vent’ anni vedo come un semplice sistema, un prodotto
culturale e sociale umano, niente di più, niente di meno. Era estimatrice di Jules
Verne e Charles Dickens, oggi tra i miei autori favoriti, mi fece scoprire il
piacere del tè, che come vedete non mi faccio mancare tuttora, ed era una
convinta monarchica: quante volte mi parlò del referendum truccato del 1946, e
della triste partenza di Sua Maestà e della Real Casa dall’ Italia. E come già
abbiamo avuto modo di chiarire in questo sito tempo addietro, sono divenuto
monarchico io stesso (risata)! Aveva visto al cinema i più grandi film
di fantascienza, che poi io stesso avrei seguito con grande interesse, e me ne
parlò con tale fascino che oggi devo soprattutto a lei la mia forte passione per
il genere fantascientifico. Soprattutto, intuì la mia propensione a scrivere e
mi sospinse ad assecondarla, facendomi promettere poco prima di passare ad altra
vita di continuare a farlo con diligenza: lei mi avrebbe seguito ovunque fosse
andata.». Sorride ricordando qualcosa, e dopo un momento aggiunge: «Solitamente
non parlo di faccende così personali in un contesto tanto pubblico, ma stavolta
mi concederò volentieri un’ eccezione. Mia madre non odiava nessuno, neppure
quell’ ex marito che le aveva dato tanti dolori così acuti. Mi diceva sempre
che non sapeva odiare, e quante volte mi sono chiesto come ci riuscisse!
Ebbene, nel dicembre 2017 ebbi una dolente delusione sentimentale da una donna.
Alcuni amici che la conoscevano bene avevano chiaramente tentato di mettermi in
guardia da lei, dicendomi di sapere di altri uomini a cui aveva provocato solo
un mucchio di dispiaceri, ma ormai il buon Cupido mi aveva già colpito e in
tono con il mio carattere non li avevo ascoltati, facendo di testa mia. Mi vezzeggiò
in ogni modo, e dopo pochissimo tempo, peraltro con una certa malagrazia, mi
gettò via dicendomi che ‘si divertiva a far impazzire gli uomini’ e ‘a cambiare
idea’. Ovviamente penai molto per questo, e provai una certa rabbia nei suoi
confronti, eppure non l’ ho mai odiata proprio perché c’ è stato un tempo in
cui l’ ho amata: soltanto allora finalmente compresi il grande esempio di mia
madre. Il mio unico dispiacere è di non poterglielo più dire…». Circa il
significato della perdita di un genitore, specie in così giovane età, lo
scrittore usa parole semplici, ma esprimenti un significato assai potente: «Al
posto mio, filosofi, santi e preti si perderebbero in lunghi e astrusi sermoni circa
i misteri della vita e della morte, ma io che non appartengo a nessuna di queste
categorie preferisco ricordare un insegnamento ricevuto dalla mia docente di
lettere e storia all’ I.P.S.I.A. di Biella, l’ indimenticata professoressa
Luisa Terzago: un giorno di fine 1999 commentò un passo particolare dell’
Eneide, il celeberrimo poema epico di Virgilio, nel quale il giovane principe
troiano Enea scappa da Troia, ormai espugnata dai greci e data alle fiamme, insieme
al vecchio padre Anchise, che si era caricato sulle spalle, e tenendo per mano
il figlioletto Ascanio: passato, presente e futuro sono racchiusi in questi personaggi
che incarnano le tre età della vita. Parlando di Ascanio in particolare, la
professoressa Terzago riferì che come figlio rappresenta il futuro dei propri
genitori, e confermò il principio citando un suo amico coetaneo, venuto a
mancare proprio in quei giorni dopo pochi anni di matrimonio e con un figlio
piccolo, il quale costituiva l’ avvenire della coppia. Quando mia madre morì,
poco dopo quell’ affascinante lezione, tali parole mi tornarono alla mente e
solo allora le compresi anche con il cuore: capivo finalmente di essere la
prosecuzione di mia madre.». Dopo qualche istante di silenzio, e con espressione
che tradisce un po’ di mestizia, aggiunge di essere sempre stato curioso di conoscere
il parere dei propri fratellastri, che non parteciparono al funerale: «Credo
che a loro sia andata un pochino peggio che a me. Io posso lamentarmi a volontà
di aver vissuto questo lutto prima del tempo, ma almeno ho conosciuto nostra
madre di persona, direttamente, mentre loro hanno udito solo voci di seconda mano
opportunamente confezionate. Papà e io facemmo in modo che sapessero della
sua morte, ma non li ho mai biasimati della loro assenza alla sepoltura:
piuttosto, ho sempre pensato che ogni loro possibilità di conoscerla senza
filtri fosse svanita una volta per tutte.». Furono
altri, piuttosto, a deluderlo con la propria diserzione: «Certi amici
di entrambi i miei genitori, con cui avevano vuto rapporti stretti, ma uno per uno erano venuti meno durante
l’ aggravarsi della salute di mia madre, senza neppure una
telefonata una volta ogni tanto. Nemmeno dopo la sua morte. Ora, quando raramente
li incontro, non si ricorda mai il passato: un comportamento che proprio va oltre la mia
capacità di comprensione! Peggio ancora, qualcuno in particolare nella parentela nei
mesi scorsi mi ha inviato un messaggio su WhatsApp in risposta ad
una pubblicazione su questo sito in cui l’ ho brevemente citata, scrivendomi che fosse stata ‘una persona che non sapeva dare niente a nessuno, che rispose
male alle offerte di aiuto dei parenti’, e aggiungendo ‘di sentirsi con la coscienza
tranquilla perché aveva sempre fatto quel che poteva con lei, anche se non fu
facile’. Questo non mi ha fatto proprio piacere, almeno nella morte non la si vituperi. I morti andrebbero lasciati in pace, capisco l’ antipatia ma almeno il rispetto non dovrebbe venire meno: io non mi sento in condizione di avere alcuna relazione, al di là dei rapporti formali di educazione, con chi vuole rispetto ma non lo dà. Mia madre
mi ha sempre insegnato a non odiare e a non portare rancore, ma al tempo stesso faccio farica a soprassedere
‘per conto
terzi’, mi è più facile per ciò che subisco in prima persona. La storia non si cancella e
non si dimentica, e il silenzio calato in una vera e
propria damnatio memoriae, è molto triste. Piuttosto, si sappia
che la mia più grande ambizione è quella di vivere e morire come un figlio
degno della madre che mi ha partorito, e che quando avrò una compagna mia la
presenterò più che altro alle persone più importanti e vicine come papà, evitando occhi indiscreti tipici dei paesi e una seconda inquisizione della Camera stellata.».
Oggi è la Festa della Mamma, e il
romanziere e articolista riflette sull’ importanza della famiglia in generale e
della figura materna in particolare senza tralasciare riferimenti storici e culturali:
«La madre è una componente molto particolare della vita, è una persona molto
speciale che non smette mai di amarci e darci tutto quel che può anche dopo i
nove mesi di gravidanza. Per quanto ne so, nessuno sa amare quanto una madre, è
un esempio unico di amore puro e totale al punto che perfino le antiche
religioni l’ hanno sempre adottato come modello. Una delle più remote venerazioni,
sorta addirittura nella Preistoria, è proprio quella famosa della Dea Madre:
nei tempi più lontani, molti popoli credettero che il mondo fosse stato creato
da una dea femminile, che aveva portato il mondo in grembo da sola o con un
coniuge maschile alle volte identificato con suo figlio, avendolo creato per
partenogenesi, quindi le donne furono venerate dagli uomini a conferma della
riverenza verso quest’ entità, e il corpo femminile venne raffigurato nell’
arte come un potente simbolo di vita, con seni, ventre, fianchi e vagina accentuati.
Poi, gli uomini si civilizzarono e si passò alla Storia, e la società, fino ad
allora ginocratica, egualitaria, democratica, pacifista e agricola, divenne
gradualmente androgina, classista e dedita al lavoro, al commercio e alla guerra.
Il potere della Dea Madre diminuì sempre di più, e si impose la convinzione che
a dare la vita fosse il maschio soltanto, senza alcun bisogno della femmina,
ampiamente diffusasi anche nel contesto religioso, con l’ imposizione degli dèi
maschili. Eppure, il culto della Dea Madre non si estinse mai veramente,
venendo piuttosto assimilato dalle controparti maschili, e persistette tra i popoli
lontani dai centri di potere sopravvivendo tuttora in forme differenti, anche nelle
religioni più recenti, come avvenuto ad
esempio con il culto cristiano della Madonna, presenza costante nella cultura e
nell’ arte: durante il Medioevo, nel tentativo di attrarre sempre nuovi fedeli
e in un’ epoca in cui le donne aristocratiche vantavano un certo potere in
alternativa a quello degli uomini spesso impegnati in guerra o qua e là per i
domini fino alla degenerazione con la caccia alle streghe voluta dall’
Inquisizione, la Chiesa modellò il culto di Maria ispirandosi proprio a quello
della Dea Madre, persino adattandone le raffigurazioni artistiche con il figlio-amante
in grembo. Nella tradizione ebraica, poi, il ruolo della donna e della madre è
notoriamente fondamentale, sebbene per consuetudine siano sempre state soggette
all’ autorità di padre, marito e figli maschi: ebrei si nasce per trasmissione
matrilineare, ossia se si è figli di madre ebrea. Il ruolo dell’ uomo deriva
dall’ aspetto maschile del Creatore, e si concentra più sulle azioni e il ruolo
pubblico, mentre quello femminile proviene dalla Shekinah, l’ aspetto femminile
di Dio, ed è una funzione interna, meno visibile ma molto presente proprio quanto
la Shekinah, che si trova ovunque senza essere vista. Sono due aspetti
inscindibili della stessa essenza, e re Salomone scrisse che una donna di valore
è la corona del marito. Nel Buddhismo tibetano, invece, i lama insegnano che la
compassione di cui parlò il Buddha Śākyamuni è sinonimo di amore assoluto, desiderio
che gli altri siano felici e costante propensione ad agire affinché ciò avvenga,
proprio sull’ esempio di una madre nei riguardi dei suoi figli, di cui si occupa
più che di sé stessa. Nei suoi discorsi dottrinali, lo stesso XIV Dalai Lama cita
abitualmente la propria madre, una povera contadina tibetana nata e vissuta in
un piccolo, remoto e povero villaggio lungo il confine cinese, come esempio impareggiabile
di gentilezza e amorevolezza malgrado la costante lotta contro una vita dura influenzata
da un habitat molto difficile. E nello stesso pantheon di esseri risvegliati del
Buddismo svetta Tara, la Liberatrice, un Buddha femminile molto amato in quanto
manifestazione di amore e capacità di agire, il cui culto, specie tra i tibetani,
è tra i più praticati e sentiti in quanto ‘Madre di tutti i Buddha, dalla cui saggezza
nascono tutti i risvegliati, fonte di felicità e crescita spirituale, com’ è
tipico di una Madre’.».