martedì 26 settembre 2017

Il Ghana contro il Mahatma Gandhi


Giacomo Ramella Pralungo è da lungo tempo un ammiratore del Mahatma Gandhi, il celebre filosofo e politico indiano la cui azione di disobbedienza civile e lotta nonviolenta nel 1947 portò l’ India all’ indipendenza dall’ Impero britannico. Di recente, la direzione dell’ Università del Ghana, ove si trovava un monumento dedicato a Gandhi, ha provveduto alla sua rimozione per motivi di razzismo, e lo scrittore desidera rendere nota la sua posizione in proposito, esprimendo la sua opposizione a tale decisione e riflettendo sulle opinioni esposte dal Mahatma durante il suo ventennale soggiorno in Sudafrica, punto di partenza di un certo fraintendimento.

Il 17 luglio 1821, leggendo la Gazzetta di Milano nel giardino della sua villa di Brusuglio, Alessandro Manzoni seppe della morte in esilio di Napoleone Bonaparte, avvenuta il precedente 5 maggio. Ad appena quindici anni di età il celebre autore italiano aveva incontrato l’ inarrestabile condottiero francese al Teatro alla Scala di Milano, rimanendone favorevolmente impressionato pur non esprimendo mai alcun giudizio su di lui, contrariamente ad altri poeti del tempo, e in tre giorni, colto da un certo turbamento, scrisse un’ ode che ebbe una vastissima eco, «Il cinque maggio», tuttora riconosciuta come una delle sue opere assolutamente più famose e apprezzate, in cui incluse un verso semplice e diretto che esprime un immenso significato, su cui spesso non ragioniamo a sufficienza: «Ai posteri l’ ardua sentenza.».
Come studioso di storia credo proprio di poter affermare che non è facile comprendere e valutare appieno un personaggio oppure un evento storico, soprattutto nell’ immediato: occorre infatti prendere tempo per analizzare in modo degnamente imparziale il contesto storico in cui il personaggio visse e agì, mentre per gli eventi bisogna sempre considerare le cause, oltre che le conseguenze. Personaggi come Giulio Cesare, Napoleone e Benito Mussolini ed eventi quali la caduta della Repubblica romana in favore dell’ Impero, l’ avvento dell’ assolutismo illuminato e del Fascismo italiano sono tuttora eventi ampi e di vasta portata su cui si discute moltissimo.
Gandhi al 10 Dowing Street, 1931;

Ebbene, recentemente perfino un personaggio unanimemente conosciuto e rispettato come il Mahatma Gandhi, uno dei miei personaggi storici preferiti, è stato al centro di ricerche e valutazioni da cui è iniziato un animato dibattito che, peraltro, ha portato alla rimozione di una statua a lui dedicata dalla sede di Accra, la città in cui risiedo, dell’ Università del Ghana.
Nell’ ottobre 2015, due professori universitari sudafricani, Ashwin Desai e Goolam H. Vahed, pubblicarono «The South African Gandhi: Stretcher-Bearer of Empire», un libro che a quasi settant’ anni dalla morte del Mahatma fece immediatamente molto discutere, dal momento che ne capovolse l’ immagine accusandolo di razzismo nei confronti della popolazione nera. Il testo ripercorre i ventun anni che Gandhi trascorse in Sudafrica dal 1893 al 1914, dapprima come avvocato e poi come attivista, entrando in contatto con l’ apartheid, il pregiudizio razziale e le condizioni di quasi schiavitù nelle quali vivevano i suoi centocinquantamila connazionali, dando inizio alla militanza per i diritti civili e alla satyāgraha, elementi fondamentali della sua futura lotta per l’ indipendenza dell’ India: consultando gli archivi e leggendo i testi che lo stesso Gandhi scrisse durante il lungo soggiorno sudafricano, i due insegnanti rinvennero stupefacenti elementi in base ai quali il Mahatma giudicava i neri «selvaggi e primitivi», «dediti a una vita indolente e nuda», conducendo pertanto un’ ostinata campagna atta a convincere l’ amministrazione britannica che la comunità indiana era intrinsecamente superiore a loro.

L’ immagine ammirata e addirittura riverita di Gandhi, che proprio in Sudafrica iniziò l’ opera per cui rimase segnato nella storia, ne soffrì ampiamente, al punto che persino la scrittrice indiana Arundhati Roy ammise che dopo la pubblicazione di questa nuova biografia nessuno avrebbe potuto pensare come prima a questo grande uomo.
Secondo le pagine di «The South African Gandhi: Stretcher-Bearer of Empire», come già anticipato dal Washington Post nella sua recensione, appena giunto in Sudafrica, Gandhi avviò una tenace battaglia sugli ingressi separati per bianchi e neri all’ ufficio postale di Durban, dal momento che non trovava giusto che gli indiani rientrassero nella stessa categoria dei nativi sudafricani, che chiamava «cafri», e domandò un ingresso separato per gli indiani: «Ci feriva moltissimo questa mancanza di rispetto, e chiedemmo alle autorità di eliminare quell’ odiosa distinzione, e ora ci hanno dato tre ingressi per i neri, gli asiatici e gli europei.». In una lettera aperta al parlamento di Natal, nel 1893, peraltro, scrisse: «Ho avuto l’ ardire di sottolineare che sia gli inglesi che gli indiani provengono dalla stessa stirpe, chiamata indoariana. Una credenza generale sembra prevalere nella Colonia secondo la quale gli indiani sono un soltanto un po’ meglio, o addirittura uguali, ai selvaggi e cioè ai nativi dell’ Africa. I bambini crescono con questo pensiero, e il risultato è che gli indiani sono trascinati in basso nella stessa posizione dei primitivi cafri.».
In una petizione del 1895, il futuro Mahatma espresse peraltro la preoccupazione che un minore riconoscimento giuridico per gli indiani avrebbe avuto come risultato una degenerazione così forte che dalle loro abitudini civilizzate sarebbero stati degradati alle abitudini dei nativi, e nello spazio di una generazione ci sarebbe stata poca differenza nei costumi, nelle abitudini e nel modo di pensare tra la discendenza indiana e quella locale, mentre durante un discorso a Mumbai, nel 1896, disse che gli europei di Natal volevano degradare gli indiani al livello dei primitivi la cui unica occupazione era la caccia, e la cui unica ambizione era possedere un certo numero di mucche per comperarci una moglie e poi passare il resto della vita nell’ indolenza e nella nudità.
Nel giugno 2016, alcuni mesi dopo la pubblicazione di «The South African Gandhi: Stretcher-Bearer of Empire», all’ Università del Ghana di Accra venne inaugurata una statua in onore di Gandhi in occasione della visita del  Presidente della Repubblica Indiana, Pranab Mukherjee, iniziativa che sollevò l’ opposizione di vari professori e studenti, secondo cui la presenza della statua rappresentava «uno schiaffo a causa dell’ identità razzista di Gandhi». Venne pertanto lanciata una petizione in rete per chiederne l’ abbattimento, ed essa raccolse migliaia di adesioni in appena poche ore: attualmente il monumento non è più al suo posto.
Il monumento all’ Università del Ghana;

So per esperienza diretta che quando ci si occupa di personaggi e avvenimenti storici è molto frequente fare i conti con l’ ottica dei cronisti che ci trasmettono le informazioni: essi influiscono sulla sostanza delle informazioni che riceviamo, tanto che nella maggior parte dei casi le fonti storiche sono state ormai ridotte a qualcosa di nocivo, proprio come quegli articoli di giornale riguardanti avvenimenti politici e sociali che riferiscono una sola notizia secondo i punti di vista più diversi e contrastanti tra loro, impedendoci di comprendere la verità dell’ avvenimento stesso. Perché la verità si trova sempre e soltanto nei fatti, mai nelle opinioni personali. Comunque sia è un fatto risaputo: la storia viene opportunamente trasformata in leggenda, e la leggenda in mito, quindi le convinzioni e i punti di vista finiscono per diventare più potenti della stessa verità a cui tutti dovremmo sforzarci di attenerci.
Nel caso particolare del Mahatma Gandhi e della sua posizione nei riguardi della popolazione nera, se le fonti consultate dai professori Desai e Vahed venissero ritenute attendibili, come ritengo possibile, è mia intenzione sottolineare che bisognerebbe ricordare che in quel tempo il fenomeno del razzismo era fortemente sentito quasi ovunque nel mondo, e che si manifestava in modo specifico a seconda delle aree geografiche. Peraltro, all’ interno delle singole società era presente una vigorosa suddivisione sociale. Purtroppo è così anche oggi, sebbene avvenga in modo diverso perché viviamo un’ altra era. Tutti gli uomini e le donne vissuti in questo mondo hanno subìto l’ influenza della mentalità e della cultura vigenti nel proprio contesto: lo stesso Gandhi nacque a Porbandar, una cittadina sulle coste occidentali dell’ India, ove visse la sua giovinezza in una benestante e tradizionale famiglia induista della casta mercantile dei Bania. Eppure, in ogni tempo ci sono coloro che a seguito di determinate esperienze intuizioni si allontanano dalla visione dominante delle cose e tentano di andarvi oltre per consentire un’ evoluzione benefica al proprio ambiente, da lasciare in eredità alle generazioni future. Il Mahatma Gandhi era uno di questi uomini, infatti lottava con convinzione contro il millenario cappio delle caste indù, con un occhio di grande riguardo verso i paria, o dalit, ossia gli «oppressi» ritenuti impuri, nonché contro l’ usanza dei matrimoni infantili a cui lui stesso era stato obbligato e contro l’ odio che contrapponeva induisti e musulmani, nonché indiani e britannici, così come occorre ricordare che era venuto al mondo nella più importante colonia britannica, e che visse quattro anni a Londra per studiare giurisprudenza presso la University College, adattandosi alle abitudini britanniche, vestendosi e cercando di vivere come un vero signore locale nonostante l’ opposizione della sua casta per l’ impossibilità di rispettare i precetti induisti in Occidente, e da cui venne dichiarato fuoricasta, venendo poi riammesso nella casta al suo ritorno in Oriente con l’ aiuto del fratello.
Peraltro, occorre ricordare che quando giunse in Sudafrica per difendere una ditta indiana in una causa locale aveva appena ventiquattro anni: allora il giovane Gandhi non era ancora nessuno, e fu proprio il Sudafrica a trasformarlo gradualmente in una guida visionaria che poi sarebbe stata ricordata come Mahatma, la «Grande Anima». Dopo essere entrato profondamente in contatto con la cultura britannica durante il suo soggiorno londinese maturò una grandissima fiducia nella proclamazione pubblicata dalla regina Vittoria il 1 novembre 1858, che a seguito della ribellione del 1857 estendeva formalmente la sovranità britannica sull’ India e prometteva al suo popolo gli stessi privilegi e protezione di cui godevano tutte le altre popolazioni, peraltro nel desiderio che gli indiani venissero ammessi liberamente e con imparzialità agli uffici imperiali: con tale spirito, quando nel 1899 scoppiò la Seconda Guerra Boera,  Gandhi, membro del Natan Indian Congress, sospinse con onore e fierezza la comunità indiana a offrire i propri servigi alla Corona come «cittadini a pieno titolo dell’ Impero britannico, pronti a farsi carico dei loro obblighi e a meritarsi i diritti loro concessi». In un secondo momento, tuttavia, con l’ approvazione del Black Act nel 1906, con cui si costringeva la popolazione indiana che viveva nella provincia di Transvaal a registrarsi, Gandhi iniziò a tenere incontri e a incitare i compatrioti a bruciare i permessi che dovevano portare con sé, ritrovandosi in una prigione per cafri: in un certo modo comprendeva e accettava la discriminazione da parte dei bianchi, ma non di essere messo sullo stesso livello dei nativi africani, nella convinzione che si dovessero organizzare celle separate. Fu solo con l’ andare del tempo che il Mahatma dichiarò che il suo cuore era con gli zulu, spiegando che le crudeltà che aveva visto compiere contro di loro erano state il più grande punto di svolta della sua vita spirituale, esattamente ciò che lo aveva portato ad abbracciare, come strategia di resistenza, la nonviolenza.
Insomma, di fronte a questo lato oscuro della celebre guida indiana, finora rimasto inedito, ritengo che sia ragionevole dedurre che come normalissimo essere umano sia partito letteralmente dal nulla, come tutti noi, e che all’ inizio della sua esistenza abbia semplicemente avuto certi pregiudizi che, nel corso della sua esperienza decennale come persona, devoto religioso e guida sia politica che spirituale, vennero gradualmente superati da un ideale più universale. Dopo tutto, non è forse vero che l’ immensa e antica India è un insieme di popolazioni, lingue e religioni tra loro assai diverse? Se proprio si vogliono lanciare accuse di razzismo slegate dal contesto originario, io stesso potrei ricordare ai ghanesi, cristiani di grande fede, che nel Vangelo di Matteo e in quello di Marco si racconta che Gesù incontrò una donna cananea che lo supplicò di esorcizzare la figlioletta indemoniata, ma lui le rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele.». Solo dopo una certa discussione il Nazareno, rimasto colpito dalla fede con cui lei domandava il miracolo, concesse la guarigione della figlia, e detto questo mi si permetta di aggiungere che se oggi il Ghana può vantare davanti al mondo di essere un Paese indipendente dalla Gran Bretagna dal 6 marzo 1957, parte del merito va sicuramente attribuito al Mahatma Gandhi, che appena dieci anni prima con la sua azione in India aveva dato il via ad una reazione a catena che di fatto portò alla dissoluzione dell’ Impero britannico.


Giacomo Ramella Pralungo

giovedì 14 settembre 2017

«Percorsi di ascesa», la conclusione di una trilogia


Giacomo Ramella Pralungo mostra sorridendo il suo ultimo libro, «Percorsi di ascesa», edito su www.lulu.com in formato sia cartaceo che elettronico, la cui copertina, piuttosto suggestiva, si ispira ad un noto affresco di Michelangelo, la Creazione di Adamo: su di uno sfondo spoglio e celeste, una mano umana e una meccanica stanno per stringersi. Come lui stesso ci spiega: «Nel mondo ebraico, cristiano e musulmano l’ unione con Dio rappresenta per i mortali un’ elevazione verso qualcosa di puro e totale. Oggi, nell’ era della scienza e della tecnica, l’ unione tra uomo e tecnologia ha l’ intento di migliorare la vita, rendendola più comoda e superandone i problemi fondamentali. E’ un bell’ obiettivo, ma talvolta viene deviato da grandi malintesi che portano a intuizioni e invenzioni che lo stravolgono provocando degenerazioni estremamente pericolose.».

Con questo nuovo libro ha finalmente dato una conclusione alla trilogia di «Per i sentieri del tempo».

«Sì, finalmente. Non è stato molto semplice, perché fin dall’ inizio pensavo di fare qualcosa di diverso da quanto già affrontato nel corso dei due precedenti capitoli. Volevo che il terzo e ultimo rappresentasse uno stacco dalla consueta ambientazione, ma che ne rimanesse pur sempre conseguente. Reputavo necessario allontanarmi dalla lotta contro i Rete, che si era lungamente consumata tra viaggi nel tempo e realtà alternative, e dedicarmi a qualcosa di differente ma altrettanto importante: i legami diplomatici e culturali con Oxerin mi sono parsi un’ ottima novità da approfondire.».
Il formato cartaceo del libro;

«Percorsi di ascesa» è il seguito diretto di «Al confine della realtà», ma con Alexander Tralus morto e la vicenda che si ambienta una trentina di anni dopo il tentativo di invasione da parte dell’ Impero Terrestre rappresenta qualcosa di leggermente slegato, sicuramente più di quanto il secondo episodio fosse nei riguardi del primo.

«Certamente. Volevo assolutamente che Alexander Tralus morisse eroicamente per salvare la Terra, e pensavo che la mia trilogia non dovesse semplicemente affrontare la guerra tra lui e i Rete, quindi ho avuto l’ idea di farlo morire e di sconfiggere definitivamente gli avversari nel secondo libro, in modo tale che il figlio Benjamin potesse un giorno raccogliere la sua eredità e fungere da eroe salvatore in un diverso contesto. In ‘Al confine della realtà’ il padre promuove il primo viaggio nello spazio, a seguito del quale gli umani incontrano gli oxeriniani, di cui diventeranno alleati. La sua azione va a beneficio del popolo di Oxerin, rientra in pieno nel sogno di suo padre, quindi è vero, in questo libro l’ ambientazione è più slegata ma pur sempre connessa agli avvenimenti e al finale del capitolo precedente.».

Quanto di ciò che ha introdotto nei primi due libri è rimasto in quest’ ultimo, e quanto invece rappresenta l’ innovazione?

«Tra gli elementi fondamentali, comuni a tutti i romanzi della mia trilogia, direi di aver preservato con una certa attenzione lo spirito di ottimismo a proposito del futuro dell’ umanità, e non solo. Un tempo gli umani lottavano per sopravvivere ai penosi disastri provocati dalla guerra atomica tra la fine del XX e l’ inizio del XIX secolo, ma poi sono tornati a vivere liberamente nell’ ambiente ormai purificato del pianeta, segno che la vita procede trovando sempre una via di risanamento. Ora hanno la possibilità di viaggiare nello spazio, aprendosi a nuovi orizzonti così vasti da poterli comprendere a stento.
Per quanto riguarda l’ innovazione direi che una buona parte del libro riguarda la spiritualità e l’ ambientazione aliena. Ho voluto dare un certo risalto alle tematiche spirituali, pressoché assenti in ‘Per i sentieri del tempo’ e in ‘Al confine della realtà’, e ho colto l’ occasione per descrivere la civiltà oxeriniana direttamente sul campo.».

Per descrivere Oxerin si è molto ispirato al Tibet, sia come ambiente fisico che come civiltà.

«Esatto. Il Buddhismo tibetano è stato in assoluto la prima forma dell’ insegnamento del Buddha che ho incontrato, prima di concentrami sullo Zen giapponese. Ma il Tibet e la sua particolare scuola buddhista continuano tuttora ad affascinarmi, ecco perché ho pensato di modellare Oxerin sulle basi della geografia e della civiltà tibetane. Il Buddhismo tibetano deriva dalla fusione tra il Bön, l’ antica religione tibetana diffusa anche in certe zone del Nepal, legata allo sciamanesimo e all’ animismo, e il Buddhismo Vajrayāna, sorto a sua volta dal sincretismo tra le dottrine tantriche dell’ Induismo, fondate su credenze popolari sciamaniche, con il Buddhismo Mahāyāna, insieme di scuole dal contenuto filosofico e metafisico che lascia spazio al misticismo. L’ ambiente di Oxerin si rifà all’ ambiente montano del Tibet e a quello stepposo della Mongolia, altro Paese in cui è fortemente diffuso il Buddhismo dei lama, mentre la religione oxeriniana trae la sua ispirazione dalle antichissime dottrine Bön.».

Quali sono i principi su cui ha impostato la sua storia?

«Questa volta ho scelto di parlare di transumanesimo, una delle tematiche più note e variopinte della fantascienza da ormai molti anni. Fin dall’ inizio pensavo di approfondire il legame tra uomo e macchina, senza però perdermi in ovvietà e neppure ripetere inutilmente quanto già visto nella serie di ‘Terminator’ oppure con i Borg di ‘Star Trek: The Next Generation’, quindi il transumanesimo, celebre movimento culturale occidentale che sostiene l’ impiego delle scoperte scientifiche e tecnologiche per rinforzare le abilità fisiche e mentali umane, peraltro rimuovendo aspetti indesiderabili della condizione umana come malattia, invecchiamento e persino morte, mi è parso un ottimo punto di partenza. Il riferimento del titolo è relativo all’ opinione che l’ antagonista di questa vicenda ha nei riguardi del transumanesimo: un vero e proprio percorso di ascesa. L’ altro principio fondamentale della storia è, come abbiamo detto poco fa, la spiritualità: trovavo infatti interessante confrontare due entità così diverse tra loro eppure orientate allo stesso obiettivo, ossia il miglioramento dell’ individuo.
Io stesso ritengo che la scienza e la tecnologia abbiano portato vantaggi immensi nella nostra vita, e ne sono un convinto estimatore finché noi uomini e donne manterremo un ruolo centrale nella nostra stessa esistenza, senza diventarne dipendenti. Una particolare corrente transumanista, quella postumanista, sostiene che l’ informatica e le biotecnologie un giorno trasformeranno l’ uomo in qualcosa di diverso e infinitamente superiore sia fisicamente che mentalmente, rendendolo un vero e proprio essere postumano: io mi oppongo nettamente a questa visione, nella convinzione che per quanto sia giusto semplificarsi la vita con la scienza e la tecnica si debba pur sempre permettere alla natura di compiere il suo corso, senza stravolgerla. La natura ha infatti impiegato milioni di anni per renderci quello che siamo oggi, instaurando equilibri delicati e ben precisi: cambiare le carte in tavola da un giorno all’ altro non potrà che condurci a situazioni del tutto incontrollabili.».

Potrebbe raccontarci qualcosa sulla trama?

«Nel 2119 gli umani e gli oxeriniani hanno ormai solidi legami di amicizia, tanto che i rispettivi governi hanno predisposto una propria ambasciata sull’ altro mondo. In questo periodo, il maggiore Wulf Steinmann, importante ufficiale appartenente a una divisione segreta dei servizi segreti, estremamente potente ma anche spregiudicata e dalla dubbia moralità, rinviene nei sotterranei di Taly City, la capitale della Repubblica Planetaria Terrestre, un’ antica installazione ove Duncan Rete lasciò i prototipi di una nuova e potente tecnologia cibernetica. Otto anni dopo, nel 2127, i tentativi di attivare il secondo Ersdakom in Egitto provocano un disastro che scatena una scossa sismica in tutto il mondo. Benjamin Tralus, figlio di Alexander e ora sergente delle forze speciali dell’ esercito, perde la madre Kate durante una missione di salvataggio, e, sconvolto, abbandona tutto per andare in ritiro spirituale su Oxerin, sotto la guida di uno dei più rispettati maestri oxeriniani viventi. Durante una serie di meditazioni guidate ha una premonizione riguardante un disastro che sta per abbattersi molto presto su Oxerin, e non appena questa viene confermata come autentica dai presagi, dagli oracoli e dalle massime guide spirituali planetarie si mette in movimento per arrivare al responsabile, in modo da tale da prevenire la morte di milioni di innocenti. Frattanto, Steinmann, ora colonnello, scopre di soffrire di una malattia incurabile e comprende che la sua sola salvezza sta nella tecnologia cibernetica sperimentale di Duncan Rete scoperta otto anni prima.».

Ha detto che realizzare questa storia è stato difficile per lei. Come mai?

«Per molte ragioni. Tanto per cominciare, Alexander Tralus, protagonista dei primi due capitoli, era morto e quindi dovevo sostituirlo con un personaggio particolare. Fin da subito ho pensato a suo figlio, ma perché fosse in grado di compiere un’ impresa particolare dovevo necessariamente ambientare il terzo libro alcuni decenni dopo il tentativo di invasione da parte dell’ Impero Terrestre. Un’ epoca in cui molte cose sarebbero ovviamente state diverse. E poi perché, come ho già affermato, volevo andare oltre l’ eterna lotta contro i Rete. Insomma volevo introdurre qualche cambiamento tutt’ altro che scontato, ma per fortuna i temi della civiltà oxeriniana, della spiritualità e del transumanesimo postumanista mi sono ampiamente venuti in aiuto.».

Non pensa di tornare a lavorare su questa serie, magari con qualche episodio che si possa collocare tra un libro e l’ altro, o che possa fare da cornice?

«Come ‘Rogue One: A Star Wars Story’ o il prossimo film su Han Solo nel contesto della serie di ‘Guerre stellari’? Sarebbe certamente un piacevole esperimento, ma penso di aver già raccontato tutto quello che era necessario con ‘Per i sentieri del tempo’, ‘Al confine della realtà’ e ‘Percorsi di ascesa’.».
Il formato elettronico del libro;

Lei ha affermato che «Per i sentieri del tempo» è stata in assoluto la prima opera a cui si è dedicato, sebbene sia stata pubblicata dopo «Cuore di droide». Che effetto le fa sapere che la sua trilogia ora è compiuta?

«Da una parte mi dà un senso di completezza, in quanto ogni viaggio ha un inizio e una fine, ma dall’ altro provo un senso di congedo, come quando si saluta un vecchio amico che si sa di non rivedere mai più.».

Grazie per il suo intervento.


«Grazie a lei, sono sempre molto onorato.».

mercoledì 6 settembre 2017

I benefici della lettura


Leggere fa bene alla mente. Sembra una delle solite affermazioni dei nostri vecchi e bacchettoni insegnanti di scuola, così rigorosi e lagnosi che anziché convincerci ottennero l’ esatto contrario, allontanandoci clamorosamente da questa particolare e affascinante attività.
Quando ero alle elementari, la mia maestra di italiano dedicava parte delle sue lezioni a leggerci fiabe da libri vecchi ma molto ben conservati, che amavo osservare con attenzione dal mio banco, e in previsione del nuovo anno scolastico sceglieva per noi belle antologie di racconti su cui in un secondo momento svolgevamo i relativi esercizi di comprensione. Era un modo meraviglioso di avvicinarci alla lettura, tramite il quale molti miei compagni e io ne scoprirono inevitabilmente il lato più suggestivo. In seguito, mentre frequentavo le medie, la professoressa di storia ci fece notare che leggere è particolarmente utile perché ci aiuta facilmente a imparare a parlare e scrivere correttamente. Negli anni quest’ indicazione non mi ha mai abbandonato, e dal momento che per me la lettura rappresenta un piacere personale, a cui dedico molto tempo, sono in condizione di confermarne pienamente la validità: devo molto della mia capacità di parlare e scrivere al meglio delle mie possibilità proprio ad una costante lettura, e benché abbia effettivamente raggiunto qualche risultato sento che mi rimane ancora qualcosa da apprendere, pertanto proseguo con entusiasmo in questo esercizio.

Con mia grande sorpresa, ho recentemente scoperto che i recenti studi condotti in ambito scientifico su alcune persone abituate a leggere quotidianamente hanno evidenziato risultati davvero sbalorditivi: la lettura non ha soltanto il potere di aprire la nostra mente a nuovi orizzonti, svelandoci altre realtà e rendendoci più colti, ma rappresenta un allenamento e un ottimo esercizio con cui il nostro cervello stimola le connessioni neuronali. La lettura fa davvero molto bene alla nostra testa, e i suoi benefici sono vasti quanto il cielo infinito, così tanti che la spiegazione non finirebbe mai.
I principali benefici della lettura sono dieci: stimola la mente, riduce lo stress, migliora le conoscenze, espande il vocabolario, migliora la memoria, rende più forte la capacità analitica del pensiero, migliora il livello di attenzione e di concentrazione, nonché le abilità di scrittura, induce alla tranquillità ed è una forma di intrattenimento gratuito. Esattamente come tutti i muscoli, il cervello ha infatti bisogno di tenersi in esercizio per rimanere in forma, e poiché costituisce la dimora della nostra mente è fondamentale evitarne l’ atrofizzazione. Analogamente ai rompicapi e agli scacchi, leggere mantiene il cervello sempre impegnato, prevenendo o rallentando lo sviluppo delle demenze senili. Quando si è immersi in una lettura, ci si ritrova in una diversa realtà, in cui ci si dimentica dei problemi quotidiani e lavorativi: un testo scritto bene aiuta ad allontanarsi dalle tensioni e a concedersi un po’ di rilassamento. Leggere è peraltro un ottimo metodo per nutrire il pensiero: quando si è in circostanze difficili, si può perdere il denaro, il lavoro, la casa e anche la salute, ma non le proprie conoscenze. Quello che si apprende leggendo si aggiunge invariabilmente al proprio bagaglio culturale, e tornerà utile nei momenti più inaspettati.
Più si legge, più il proprio modo di esprimersi migliora: le parole nuove vanno ad aggiungersi a quelle che costituiscono il vocabolario quotidiano, e naturalmente esprimersi bene e in modo articolato viene in aiuto anche nel contesto lavorativo, e stimola la propria autostima. Anche la memoria ha i suoi limiti, ma il cervello, nella sua meraviglia, può ricordare tutto con una certa disinvoltura: leggendo un libro occorre ricordare un certo novero di personaggi, di retroscena, storie e sfumature, dato che tutti i dettagli si intrecciano con la trama, e tale allenamento rappresenta un notevole beneficio per le sinapsi, spingendo la qualità della nostra memoria verso nuovi traguardi. Leggere con attenzione un libro giallo aiuta a sviluppare la capacità critica e analitica del pensiero, così da analizzare i dettagli e valutando la trama, determinando se sia stata scritta in modo soddisfacente o se i personaggi sono appropriati. Tale stimolo può estendersi anche alla vita quotidiana e lavorativa, recando enormi vantaggi proprio grazie alla tendenza a osservare e stimare gli elementi. Quando si legge un libro, un racconto o un articolo, l’ attenzione si riversa sul contenuto del testo, mentre il resto del mondo rimane fuori lasciandoci immersi in ogni dettaglio. Se si legge per almeno un quarto d’ ora prima di andare a lavoro si raggiungerà un maggiore livello di concentrazione, che senz’ altro sarà di aiuto sul posto di lavoro. Nello stesso modo in cui i musicisti si influenzano a vicenda, stabilendo dapprima chi è il maestro e chi l’ apprendista, gli scrittori imparano come scrivere in prosa proprio leggendo le opere degli altri: io stesso ho subito l’ influenza di grandi autori come Herbert George Wells, Frank Herbert e Michael Crichton, dei quali mi considero un discepolo, e posso confermare pienamente la verità di questo questo principio! Oltre al rilassamento che accompagna la lettura, l’ argomento può letteralmente condurre in un mondo di pace interiore e tranquillità: i testi spirituali fanno abbassare la pressione sanguigna dando un senso di calma estrema, mentre leggere libri incentrati sul come aiutare sé stessi aiuta profondamente chi soffre di determinati disturbi comportamentali o malattie mentali. Allontanandosi per qualche tempo dai convenzionali sistemi di intrattenimento, come la televisione, gli spettacoli teatrali o musicali in città, piuttosto che il cinema, è possibile aprire un libro e passando degnamente una parte del proprio tempo, riempiendo il proprio spirito e tornando a sé stessi nel qui e ora senza bisogno di immergersi nel caos urbano o di spendere cifre astronomiche. Naturalmente non sto invitando nessuno a boicottare abitualmente le tradizionali forme di spettacolo, come fanno i monaci, in favore della sola lettura, ma a scegliere una sana via di mezzo capace di toccare entrambe le realtà.
Quindi, possiamo concludere con una certa sicurezza che leggere sia un gran bel modo di avere cura di sé stessi!

Eppure, nonostante la piacevolezza, l’ utilità e gli immensi benefici della lettura sulla salute, la nostra Italia risulta un Paese che proprio nella lettura ha uno dei suoi punti più deboli: l’ Istituto nazionale di statistica afferma che nel 2016 il 57.6% degli italiani non ha letto nemmeno un libro di carta in un anno. Si tratta certamente di uno dei problemi più urgenti con cui siamo alle prese. All’ inizio degli Anni Sessanta solo il 16.3% degli italiani leggeva libri, ma allora tre quarti della popolazione nazionale aveva soltanto la licenza elementare, e l’ 8% soffriva ancora di analfabetismo.
Ma oggi perché zoppichiamo ancora così tanto nella lettura, registrando i livelli più bassi rispetto ad altri Paesi europei, e con grandi differenze sia territoriali che sociali? Leggere non è sufficiente, in quanto occorre capire appieno ciò che si sta recependo: tale abilità è molto bassa nella popolazione adulta italiana, non perché siamo un popolo di stupidi, tutt’ altro, ma in quanto non coltiviamo tale capacità, scegliendo più comodamente di limitarci a ripetere come pappagalli le parole, e il conseguimento di un semplice titolo di studio basta! Dietro qualsivoglia diploma o laurea vi è infatti una mente che deve essere costantemente coltivata e tenuta sveglia. Come disse il celebre linguista Tullio De Mauro, Ministro della pubblica istruzione tra il 2000 e il 2001, recentemente venuto a mancare, l’ analfabetismo di ritorno, in Italia piuttosto comune, va assolutamente sconfitto insistendo soprattutto sulla formazione degli adulti e la riduzione delle disuguaglianze: solo così la lettura potrà degnamente crescere. Peraltro occorre ricordare che tra i giovanissimi si è diffuso un forte calo della lettura nel contesto del tradizionale formato cartaceo in favore del formato digitale, che consente una lettura più rapida e meno impegnativa, ma molto discontinua. Rapidità ed efficacia non sono forse divenute le parole d’ ordine della società moderna, tutta dedita alla competizione?
A proposito del rapporto tra formato cartaceo e quello digitale, che comprende il libro elettronico, il telefono intelligente e il PC tavoletta, la maggior parte degli italiani, pur facendone un certo uso, continua a preferire il consueto libro di carta: normalmente, infatti, ci rivolgiamo al formato digitale per i testi più semplici, ma per i romanzi e gli scritti più complessi continuiamo a riconoscere al tradizionale formato cartaceo una posizione nettamente privilegiata.

Fatto piuttosto strano per un Paese come il nostro, noto e invidiato a livello mondiale per essere stato ed essere tuttora culla di una delle culture più vaste e sfaccettate di tutta la storia, in cui si sono generati fiotti di grandi scrittori, poeti, saggisti e filosofi dai tempi più antichi a quelli più attuali, noi italiani leggiamo poco, e non insegniamo abbastanza alle nuove generazioni il piacere della lettura, sia essa fine a sé stessa o finalizzata al miglioramento di noi stessi: la maggior parte delle persone riconosce di non aver letto un libro nell’ ultimo anno, e alcuni addirittura non ne hanno mai letto uno in tutta la vita! Peraltro risulta in costante aumento chi non legge il giornale, sebbene occorra precisare che le testate italiane di oggi non sono più qualificate come in passato.
Il problema deriva principalmente da una crisi sociale e culturale ormai talmente estesa che non possiamo nascondere fingendo che non esista, legata soprattutto all’ abbandono scolastico e all’ analfabetismo di ritorno piuttosto che all’ impiego del mezzo televisivo, vissuto come unico grande polo attrattivo e ricreativo passivo, per nulla impegnativo. In un certo senso si può affermare che anche il costo dei singoli libri non incoraggia ad imbarcarsi nella lettura, dal momento che molti testi hanno raggiunto prezzi elevati: in Francia i tascabili riscuotono invece un grande successo nelle vendite con circa centrotrenta milioni di pezzi venduti, vantando una qualità soddisfacente e un prezzo che oscilla al massimo tra i tre e i dieci euro. Forse è il caso di rifletterci sopra.

Se leggere, e soprattutto riflettere con intelligenza su ciò che si legge, beneficia la nostra mente rifornendola di nuovi dati che stimolano la comprensione della realtà e affinano il pensiero, e addirittura influisce positivamente sulle condizioni fisiche del nostro cervello, perché negarsene scivolando in un uno stato di progressiva pigrizia e intorpidimento mentale, finendo con il diventare esseri in condizioni vegetative? In passato ci è stato più volte ricordato che un popolo di ignoranti si governa più facilmente, attraendolo e seducendolo con quelle che lo stesso De Mauro chiamava «corbellerie e mistificazioni», ma oggi siamo talmente impantanati nello stagno dell’ ignoranza da aver votato politici a loro volta grandemente ignoranti: meno del 30% della nostra popolazione capisce come funziona la politica italiana, e il 70% vota possedendo scarse informazioni e con un’ elementare capacità di analisi. Conseguentemente, il 90% dei parlamentari casualmente intervistati all’ ingresso in aula non hanno saputo rispondere a semplici domande di cultura generale o di politica attuale! A complicare ulteriormente le cose, i principali tagli alle spese che i vari governi hanno compiuto negli ultimi anni sono proprio a danno della cultura.
Tutto ciò è rivoltante, assolutamente indegno di quella nazione civile che l’ Italia può e deve essere di fronte al mondo, e pur non volendo essere pessimista temo davvero che la crisi culturale che stringe la nostra meravigliosa nazione come in una morsa sia destinata a creare guai di gran lunga peggiori di quella economica e finanziaria. Perché un futuro sia possibile dovremo rimboccarci le maniche fin da questo momento e migliorare le nostre menti leggendo, leggendo e ancora leggendo!

Giacomo Ramella Pralungo

Giacomo Ramella Pralungo ai funerali di Vittorio Emanuele, ultimo erede al trono d’ Italia

Il feretro di Vittorio Emanuele condotto in Duomo; In virtù di problemi tecnici dei giorni scorsi, e scusandoci per il ritardo, pubblichia...