venerdì 28 luglio 2017

Un tè con Giacomo Ramella Pralungo


Giacomo Ramella Pralungo ci accoglie sulla porta con un ampio sorriso, e ci guida in giardino, ove serve il : «Scoprì questo particolare piacere grazie a mia madre, quando avevo otto o nove anni. Ho ripreso per qualche tempo quest’ abitudine nel periodo in cui morì, e l’ ho definitivamente conservata negli ultimi dieci anni.».
Aggiunge che è molto raro per lui mangiare o prendere il tè in giardino, ma sente di voler rimediare perché ogni volta che gli capita avverte chiaramente il forte legame tra uomo e ambiente, e ogni illusione di essere qualcosa di distaccato e oltre le leggi della natura decade: «Stiamo sempre più recando danno al nostro ecosistema in nome del profitto o, peggio ancora, del progresso, e sono sicuro che tra cento anni, se non prima, avremo evidenti motivi per dolercene.».

A proposito di progresso, noi tutti viviamo in un mondo in continuo e rapido mutamento. Che cosa ne pensa?

«Il cambiamento è una naturale caratteristica di tutte le cose: anche una montagna è incessantemente soggetta a qualche variazione, benché osservandola a valle non si noti. Peraltro penso che senza cambiamenti qualcosa si addormenti in noi, inducendoci al ristagno. Negli ultimi quattro milioni di anni l’ evoluzione biologica e il progresso sociale e materiale ci hanno consentito di mutare da australopitechi primordiali a esseri umani capaci di svolgere attività sofisticate e di semplificarsi la vita. Chissà che cosa saremo tra altri quattro milioni di anni, se per qualche motivo non ci estingueremo prima? Eppure non si può negare che negli ultimi cento anni ci siamo evoluti troppo in fretta sia socialmente che tecnologicamente, al punto che per ironia stiamo faticando moltissimo a mantenere il passo che noi stessi ci siamo dati. Io penso che dovremmo rallentare un po’ per familiarizzare con le conoscenze e l’ esperienza fin qui acquisite e poi riprendere il cammino.».

Quello tra tradizione e modernità è un contrasto antico ma sempre attuale.

«Ha assolutamente ragione, e mai come oggi il dibattito è stato tanto aperto. Nel mondo di oggi, così come è sempre avvenuto nel corso della nostra storia, le differenze tra i più anziani e i più giovani sono più che evidenti, perché gli avvenimenti storici e i cambiamenti sociali, tecnologici e addirittura professionali hanno portato a cambiamenti epocali. Oggi abbiamo risolto molti problemi e superato varie manchevolezze del passato, abbiamo tante comodità che fino a poco tempo fa non c’ erano e sotto questo aspetto è importante che sia così. Eppure siamo alle prese con nuovi problemi e manchevolezze che risolveremo con un ulteriore progresso, e così avanti finché il genere umano uscirà di scena. Io dico sempre che devono esistere determinati valori fondamentali che nel tempo devono rimanere sempre gli stessi, come la famiglia, l’ impegno costante ed entusiastico per quello che si fa, la buona educazione, l’ altruismo, la cura per l’ ambiente, gli animali e la società in cui si vive, per quanto la loro applicazione possa e debba logicamente adeguarsi ai tempi che corrono perché altrimenti sfoceremmo in quel ristagno di cui parlavamo prima. Peraltro mi piace aggiungere che il progresso deve essere sia materiale che interiore: possiamo avere un’ automobile molto bella e moderna e una casa zeppa di elettrodomestici efficienti e in grado di fare tutto, eppure essere persone povere nella mente e nell’ animo, quindi in tutta evidenza non saremmo di fronte ad alcun vero progresso.».

Infatti, oggigiorno, per progresso si intende solo lo sviluppo materiale in quanto tale, e non la sua utilità e nemmeno le conseguenze sulle persone…

«E’ uno degli effetti collaterali della rivoluzione industriale che ha animato l’ Occidente europeo. Noi di solito siamo abituati a sostenere con forza il miglioramento del tenore di vita e dei trasporti, nonché il conseguente aumento demografico e l’ espansione delle città, ma con l’ andare del tempo abbiamo toccato un estremo dopo l’ altro: le comodità materiali erano così desiderabili da divenire il fine ultimo del processo di evoluzione venuto a instaurarsi, al punto che oggi ci affidiamo molto più del dovuto alle nostre realizzazioni, delegando ad esse ogni cosa e divenendone dipendenti, siamo alle prese con la sovrappopolazione e un’ eccessiva urbanizzazione che stanno letteralmente distruggendo l’ ambiente planetario. Peraltro, le persone sono divenute parte di un ingranaggio folle che le ha trasformate in unità produttive che valgono solo per quello che producono: oggi uomini e donne non sono più i beneficiari di quel grande balzo in avanti auspicato dalla rivoluzione industriale, ne sono vittime. E gli anziani, un tempo visti come saggi ed esempi di vita per via della loro saggezza, sono divenuti un peso perché con l’ età avanzata non sono più in grado di contribuire al meccanismo. No, questo non è assolutamente progresso!».

Quindi lei è a favore di un connubio tra tradizione e sviluppo, in un contesto di antropocentrismo?

«Sì, tradizione e sviluppo possono senz’ altro combinarsi, e credo che sia un valido principio. Determinate popolazioni orientali, come gli indiani e soprattutto i giapponesi, hanno adottato questa visione, mantenendo le proprie antiche tradizioni e combinandole con le moderne innovazioni. Il progresso, in ogni sua forma, è stato concepito per il bene dell’ essere umano, e i prodotti tecnologici devono rimanere strumenti che le persone devono rispettare e considerare entro i giusti limiti: l’ uomo non deve smettere di camminare solo perché ha l’ automobile o la motocicletta, così come non deve rinunciare a far di conto in favore della calcolatrice o evitare di scrivere lettere a mano da mandare tramite la posta tradizionale ricorrendo esclusivamente a quella elettronica. Migliorare e semplificarsi la vita è il vero obiettivo del progresso, non ricorrere abitualmente a tecnologie sempre più autonome da cui un giorno farsi gestire e condizionare l’ esistenza.».

E’ quello che sostiene nei suoi romanzi di fantascienza?

«La fantascienza nacque e si sviluppò proprio considerando questo principio: l’ impatto di una scienza, di una scoperta e di una tecnologia sull’ umanità. Herbert George Wells e Michael Crichton hanno pubblicato storie esemplari con le quali hanno espresso molto bene l’ esigenza di procedere gradualmente e intelligentemente lungo la via dello sviluppo tecnico e scientifico: è il solo modo per riempire il nostro cesto con frutti veramente utili. Io stesso ho riconosciuto la validità delle loro considerazioni, e le ho fatte mie.».

E’ per l’ importanza che attribuisce sia ai metodi tradizionali che a quelli moderni che lei pubblica i suoi libri sia in formato cartaceo che in quello digitale?

«Certamente, è proprio per questo. Oggi il libro elettronico è una realtà ormai impostasi nelle nostre vite, e ha il vantaggio di poter custodire al proprio interno l’ equivalente di una biblioteca, quindi ben venga laddove se ne vede il bisogno. Se devo essere sincero ne ho uno anche io (risata)! Ma il libro di carta continua giustamente a mantenere il proprio fascino, e molte persone mi hanno detto chiaramente che sfogliarne le pagine e sentire persino l’ odore della carta restano esperienze imparagonabili. Anche in questo caso siamo davanti a una bella combinazione tra tradizione e modernità.».

Grazie per il tè e la bella intervista.

«Grazie a voi, è stato un vero piacere.».

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