Giacomo
Ramella Pralungo ci accoglie sulla porta con un ampio sorriso, e ci guida in
giardino, ove serve il tè: «Scoprì questo particolare
piacere grazie a mia madre, quando avevo otto o nove anni. Ho ripreso per
qualche tempo quest’ abitudine nel periodo in cui morì, e l’ ho definitivamente
conservata negli ultimi dieci anni.».
Aggiunge
che è molto raro per lui mangiare o prendere il tè in giardino, ma sente di voler
rimediare perché ogni volta che gli capita avverte chiaramente il forte legame
tra uomo e ambiente, e ogni illusione di essere qualcosa di distaccato e oltre
le leggi della natura decade: «Stiamo sempre più recando danno al nostro
ecosistema in nome del profitto o, peggio ancora, del progresso, e sono sicuro
che tra cento anni, se non prima, avremo evidenti motivi per dolercene.».
A
proposito di progresso, noi tutti viviamo in un mondo in continuo e rapido
mutamento. Che cosa ne pensa?
«Il
cambiamento è una naturale caratteristica di tutte le cose: anche una montagna
è incessantemente soggetta a qualche variazione, benché osservandola a valle
non si noti. Peraltro penso che senza cambiamenti qualcosa si addormenti in
noi, inducendoci al ristagno. Negli ultimi quattro milioni di anni l’
evoluzione biologica e il progresso sociale e materiale ci hanno consentito di
mutare da australopitechi primordiali a esseri umani capaci di svolgere attività
sofisticate e di semplificarsi la vita. Chissà che cosa saremo tra altri
quattro milioni di anni, se per qualche motivo non ci estingueremo prima? Eppure
non si può negare che negli ultimi cento anni ci siamo evoluti troppo in fretta
sia socialmente che tecnologicamente, al punto che per ironia stiamo faticando
moltissimo a mantenere il passo che noi stessi ci siamo dati. Io penso che
dovremmo rallentare un po’ per familiarizzare con le conoscenze e l’ esperienza
fin qui acquisite e poi riprendere il cammino.».
Quello
tra tradizione e modernità è un contrasto antico ma sempre attuale.
«Ha
assolutamente ragione, e mai come oggi il dibattito è stato tanto aperto. Nel mondo
di oggi, così come è sempre avvenuto nel corso della nostra storia, le
differenze tra i più anziani e i più giovani sono più che evidenti, perché gli
avvenimenti storici e i cambiamenti sociali, tecnologici e addirittura
professionali hanno portato a cambiamenti epocali. Oggi abbiamo risolto molti
problemi e superato varie manchevolezze del passato, abbiamo tante comodità che
fino a poco tempo fa non c’ erano e sotto questo aspetto è importante che sia
così. Eppure siamo alle prese con nuovi problemi e manchevolezze che
risolveremo con un ulteriore progresso, e così avanti finché il genere umano uscirà
di scena. Io dico sempre che devono esistere determinati valori fondamentali
che nel tempo devono rimanere sempre gli stessi, come la famiglia, l’ impegno
costante ed entusiastico per quello che si fa, la buona educazione, l’
altruismo, la cura per l’ ambiente, gli animali e la società in cui si vive,
per quanto la loro applicazione possa e debba logicamente adeguarsi ai tempi
che corrono perché altrimenti sfoceremmo in quel ristagno di cui parlavamo
prima. Peraltro mi piace aggiungere che il progresso deve essere sia materiale
che interiore: possiamo avere un’ automobile molto bella e moderna e una casa
zeppa di elettrodomestici efficienti e in grado di fare tutto, eppure essere
persone povere nella mente e nell’ animo, quindi in tutta evidenza non saremmo
di fronte ad alcun vero progresso.».
Infatti,
oggigiorno, per progresso si intende solo lo sviluppo materiale in quanto tale,
e non la sua utilità e nemmeno le conseguenze sulle persone…
«E’
uno degli effetti collaterali della rivoluzione industriale che ha animato l’
Occidente europeo. Noi di solito siamo abituati a sostenere con forza il
miglioramento del tenore di vita e dei trasporti, nonché il conseguente aumento
demografico e l’ espansione delle città, ma con l’ andare del tempo abbiamo
toccato un estremo dopo l’ altro: le comodità materiali erano così desiderabili
da divenire il fine ultimo del processo di evoluzione venuto a instaurarsi, al
punto che oggi ci affidiamo molto più del dovuto alle nostre realizzazioni,
delegando ad esse ogni cosa e divenendone dipendenti, siamo alle prese con la
sovrappopolazione e un’ eccessiva urbanizzazione che stanno letteralmente
distruggendo l’ ambiente planetario. Peraltro, le persone sono divenute parte
di un ingranaggio folle che le ha trasformate in unità produttive che valgono
solo per quello che producono: oggi uomini e donne non sono più i beneficiari
di quel grande balzo in avanti auspicato dalla rivoluzione industriale, ne sono
vittime. E gli anziani, un tempo visti come saggi ed esempi di vita per via
della loro saggezza, sono divenuti un peso perché con l’ età avanzata non sono
più in grado di contribuire al meccanismo. No, questo non è assolutamente
progresso!».
Quindi
lei è a favore di un connubio tra tradizione e sviluppo, in un contesto di
antropocentrismo?
«Sì,
tradizione e sviluppo possono senz’ altro combinarsi, e credo che sia un valido
principio. Determinate popolazioni orientali, come gli indiani e soprattutto i
giapponesi, hanno adottato questa visione, mantenendo le proprie antiche
tradizioni e combinandole con le moderne innovazioni. Il progresso, in ogni sua
forma, è stato concepito per il bene dell’ essere umano, e i prodotti
tecnologici devono rimanere strumenti che le persone devono rispettare e
considerare entro i giusti limiti: l’ uomo non deve smettere di camminare solo
perché ha l’ automobile o la motocicletta, così come non deve rinunciare a far
di conto in favore della calcolatrice o evitare di scrivere lettere a mano da
mandare tramite la posta tradizionale ricorrendo esclusivamente a quella elettronica.
Migliorare e semplificarsi la vita è il vero obiettivo del progresso, non
ricorrere abitualmente a tecnologie sempre più autonome da cui un giorno farsi
gestire e condizionare l’ esistenza.».
E’
quello che sostiene nei suoi romanzi di fantascienza?
«La
fantascienza nacque e si sviluppò proprio considerando questo principio: l’
impatto di una scienza, di una scoperta e di una tecnologia sull’ umanità.
Herbert George Wells e Michael Crichton hanno pubblicato storie esemplari con
le quali hanno espresso molto bene l’ esigenza di procedere gradualmente e
intelligentemente lungo la via dello sviluppo tecnico e scientifico: è il solo
modo per riempire il nostro cesto con frutti veramente utili. Io stesso ho
riconosciuto la validità delle loro considerazioni, e le ho fatte mie.».
E’
per l’ importanza che attribuisce sia ai metodi tradizionali che a quelli
moderni che lei pubblica i suoi libri sia in formato cartaceo che in quello
digitale?
«Certamente, è proprio per questo. Oggi il
libro elettronico è una realtà ormai impostasi nelle nostre vite, e ha il
vantaggio di poter custodire al proprio interno l’ equivalente di una
biblioteca, quindi ben venga laddove se ne vede il bisogno. Se devo essere
sincero ne ho uno anche io (risata)! Ma
il libro di carta continua giustamente a mantenere il proprio fascino, e molte
persone mi hanno detto chiaramente che sfogliarne le pagine e sentire persino
l’ odore della carta restano esperienze imparagonabili. Anche in questo caso
siamo davanti a una bella combinazione tra tradizione e modernità.».
Grazie
per il tè e la bella intervista.
«Grazie
a voi, è stato un vero piacere.».
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