Fin dall’ infanzia ho sempre avuto una grande passione per la storia, oltre che per
la narrativa e la fantascienza. Ricordo che il passato mi ha sempre molto
incuriosito, che mi sono sempre chiesto come fossimo arrivati a realizzare un
mondo esattamente come questo, e quanto rimanesse oggi dei grandi fatti e delle
grandi scoperte dei tempi passati. L’ importanza che ho imparato a dare alla
continuità del tempo trovò un’ importante conferma quando iniziai le scuole
superiori, ove i miei insegnanti mi dissero che conoscere la storia è
fondamentale per capire al meglio il mondo di oggi e perfino noi stessi. Peraltro,
più di recente qualcuno mi ha detto che se non si conosce la storia si è come
una foglia che non sa di essere parte di un albero: tutte queste affermazioni
mi hanno profondamente colpito, e le ho fatte mie, tuttavia nel corso dei miei
studi ho presto dovuto confrontarmi con un’ altra verità, piuttosto triste,
secondo cui, tanto per citare un noto proverbio, la storia è scritta dai
vincitori. Quanto di quel che sappiamo del nostro passato corrisponde
effettivamente al vero e non a un’ operazione di riscrittura atta a coprire il
lato rovescio e meno roseo di determinati avvenimenti fondamentali, o a
esaltare il lato buono di personaggi discutibili resisi colpevoli di colpe
inammissibili?
Partigiani in azione sui monti biellesi |
Contemporaneamente alla mia attività di romanziere, nel mese di novembre dell’ anno 2015 iniziai per puro caso a pubblicare su «Il Biellese», nota testata giornalistica della provincia di Biella, di cui sono originario, alcuni articoli di storia e personaggi locali, mentre su www.neteditor.it presi a pubblicarne altri di storia e cultura più generale: in entrambi i casi compresi fin dall’ inizio quanto fosse importante attenersi rigorosamente ai fatti, senza travisarli facendo prevalere una tesi a scapito di un’ altra. Lo scorso 21 febbraio, un martedì, dopo una lunga riflessione e attente considerazioni ho deciso di pubblicare su «Il Biellese» un articolo dalle implicazioni piuttosto delicate, «Gli eccessi oscurati dell’ azione partigiana», in cui mi sono concentrato sul lato rovescio Resistenza italiana, che dall’ 8 settembre 1943 ai primi giorni del maggio 1945 si opposero al Nazifascismo.
Negli
ultimi settant’ anni si è dichiarato e scritto molto sui valori e l’ azione dei
partigiani, lodandone grandemente il coraggio e il valore. Io stesso sono
convinto che tutto il popolo italiano sia debitore nei loro riguardi, avendo
contribuito al ristabilimento della democrazia perduta in Italia, e sono molto
fiero di poter affermare che molti parenti materni furono partigiani. Eppure,
come studioso di storia, credo che sia imperativo rammentare che alcuni
partigiani commisero certi errori. A tal proposito ricordo molto bene le parole
di mia madre, secondo cui non tutti i fascisti furono cattivi e non tutti i
partigiani furono buoni, e molte persone anziane di mia conoscenza hanno spesso
confermato che i partigiani ebbero ampie occasioni per portare avanti vendette,
eccidi e calcoli politici che la storiografia dei vincitori occultò abilmente
con una spessa cortina di silenzio. In quei giorni penosi non vi fu alcuno
schieramento composto da cavalieri senza macchia, e fino a oggi la Resistenza è
stata quasi sempre solo lodata. Tuttavia troppe lodi prive di senso critico non
giovano mai a nessuno.
«Gli eccessi oscurati dell’ azione partigiana» |
Tra
le righe di «Gli eccessi oscurati dell’ azione partigiana» ho voluto affrontare
il clima di accanimento e furore che alcuni partigiani perpetrarono inquinando
la nobiltà dell’ ideale originario, principalmente scagliandosi contro fascisti
veri o presunti, ma anche contro antifascisti di ideale non comunista. Secondo
certe fonti, tanta violenza era atta a sostenere l’ imposizione del Bolscevismo
in territorio italiano. Pur precisando che tali brutalità ebbero luogo in tutto
il territorio della Repubblica di Salò, ho dovuto concentrarmi sui fatti
avvenuti nella sola terra biellese, adeguandomi alla realtà locale di «Il
Biellese», ma i risultati della mia ricerca hanno avuto esiti ugualmente
interessanti, permettendomi ad esempio di scoprire che al valico del Bocchetto
di Sessera, situato tra la valle dello Strona di Mosso e la Val Sessera, vennero
trucidate decine di fascisti, tra cui molte donne che prima vennero
brutalizzate e stuprate, i cui cadaveri probabilmente giacciono tuttora sepolti
nel bosco sottostante. In seguito, Graglia fu teatro il 27 aprile 1945 dell’
uccisione di trentatré ufficiali del Raggruppamento Allievi Ufficiali catturati
a Cigliano e delle mogli di due di questi, una delle quali addirittura incinta,
da parte di una formazione di partigiani comunisti, e a Sordevolo, appena due
giorni dopo, ebbe luogo la fucilazione da parte dei garibaldini della 2º
Brigata di dieci militi del presidio di Cossato, fra cui un sacerdote
salesiano.
Il 28 febbraio scorso, ad una settimana dall’ uscita del mio articolo, il Comitato
biellese dell’ ANPI, l’ Associazione Nazionale Partigiani d’ Italia, ha
pubblicato su «Il Biellese», una dura risposta in cui mi si accusa di avere una
consapevolezza della storia piuttosto lacunosa e di sostenere libere
interpretazioni e affermazioni inaccettabili in quanto mosse da intenti
revisionisti. Avrei peraltro intenti incoerenti e ipocriti, come dimostrerebbe
una frase presente nel mio pezzo: «Nessuno intende disonorare il ricordo e la
maestà della Resistenza partigiana.».
Dopo
una scrupolosa lettura di quanto mi è stato rivolto ho ritenuto doveroso
inviare al giornale la mia risposta agli amici dell’ ANPI, e in attesa della
sua pubblicazione vorrei che fosse chiaro a tutti i miei lettori che ho sempre
preso molto sul serio tutte le mie pubblicazioni, arrivando persino a scegliere
con cura le singole parole, nella consapevolezza di essere soggetto all’
opinione pubblica, e che non avendo mai aderito a un’ ideologia e a un partito
politico io sono assolutamente il tipo meno adatto ad occuparmi di
revisionismo. Temo piuttosto di avere il sospetto che l’ ANPI stessa nutra un
preciso orientamento politico, questo almeno spiegherebbe i toni severi e la
prontezza della sua risposta al mio articolo, e a tal proposito mi permetto di
affermare che questo nuoce seriamente alla tutela e alla valorizzazione della
memoria e dei valori della Resistenza di cui si è assunta l’ impegno: la
trasmissione della conoscenza della storia e la politica sono da sempre due
cose inconciliabili, mosse da esigenze assai diverse tra loro.
La replica dell’ ANPI |
Noi
apparteniamo ad una generazione diversa da quella che visse e subì il conflitto
di Hitler e la guerra civile italiana, in cui agirono i partigiani, pertanto credo
che dopo settant’ anni dovremmo cominciare a smettere di affrontare il tema della
Resistenza solo in base ai rigidi e ormai obsoleti dettami della propaganda
secondo cui i fascisti furono tutti cattivi e i partigiani tutti buoni: denunciare
le mele marce nel cesto non significa affermare che il grande albero della
Resistenza fosse malato e in attesa di essere abbattuto, ma contribuire a mantenere
un ricordo più appropriato e preciso della storia. Io non ho fatto
assolutamente di tutta un’ erba un fascio, ho sempre sostenuto che vi furono
partigiani buoni esattamente quanto vi furono partigiani cattivi, e credo che
si possa comprendere facilmente con una lettura imparziale del mio articolo.
Vorrei
concludere sostenendo che se l’ ANPI riconoscesse gli errori compiuti dalle
pecore nere della grande famiglia dei partigiani, sull’ esempio dei principi
Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto di Savoia in occasione del loro rientro
in Italia alla fine del 2002, quando presero le distanze dagli errori e dalle
manchevolezze del loro antenato Vittorio Emanuele III, assumerebbe una maggiore
credibilità.
Giacomo Ramella
Pralungo
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