venerdì 27 ottobre 2023

Israele fermi l’ apartheid contro i palestinesi


Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e articoli storici, culturali e scientifici, ha presentato una lettera in cui espone il proprio pensiero sui drammatici eventi che hanno luogo in Terra Santa, esprimendo seri dubbi sulla politica israeliana, che non esita a definire apartheid, e piena solidarietà al popolo palestinese.


Nei giorni scorsi il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è intervenuto durante una riunione del Consiglio di Sicurezza, il principale organo esecutivo delle Nazioni Unite, per commentare la situazione nella Striscia di Gaza. Parlando del feroce attacco del 7 ottobre compiuto dal gruppo radicale islamista Hamas, dicendo che per quanto le violenze non siano giustificabili, «è importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non siano avvenuti nel vuoto: il popolo palestinese è stato sottoposto a cinquantasei anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e piagata dalla violenza, la loro economia soffocata, la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le loro speranze per una soluzione politica alla loro situazione sono svanite». Il discorso è stato immediatamente molto criticato da vari esponenti istituzionali di Israele perché ritenuto non sufficientemente empatico nei confronti delle violenze subite dagli israeliani e al contempo troppo poco duro con Hamas, che Israele e altri Paesi considerano da tempo un’ organizzazione terroristica. Dall’ istituzione dello Stato di Israele nel 1948, i governi che si sono avvicendati hanno creato e preservato un sistema di leggi, politiche e pratiche progettate per opprimere e dominare le e i palestinesi. Questo sistema funziona in modi diversi nelle diverse aree in cui Israele esercita il controllo sui diritti dei palestinesi, ma l’ intento è sempre lo stesso: privilegiare gli ebrei israeliani a spese dei palestinesi. Come si legge in un messaggio pubblicato in rete nel marzo 2019 dal Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: «Israele non è lo Stato di tutti i suoi cittadini, ma piuttosto lo Stato-nazione del popolo ebraico e solo il loro.».

L’ esodo palestinese del 1948, conosciuto soprattutto nel mondo arabo, e fra i palestinesi in particolare, come nakba, che significa «catastrofe» in arabo, è l’ allontanamento forzato della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del 1947-48, al termine del mandato britannico, e durante la guerra arabo-israeliana del 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele. Durante tale conflitto, più di settecentomila arabi palestinesi abbandonarono città e villaggi o ne furono espulsi e, successivamente, si videro rifiutare ogni loro diritto al ritorno nelle proprie terre, sia durante che al termine del conflitto. La proporzione fra i palestinesi che erano fuggiti o che furono cacciati, le cause e le responsabilità dell’ esodo, il suo carattere accidentale o intenzionale, come pure il diniego, dopo la cessazione dei combattimenti, del diritto al ritorno degli abitanti arabo-palestinesi, musulmani e cristiani, sono un soggetto fortemente dibattuto sia da parte degli studiosi della questione israelo-palestinese, che degli storici specialisti degli eventi di tale periodo. Questo esodo è anche all’ origine del successivo problema dei rifugiati palestinesi, che costituisce uno dei contenziosi più difficili da risolvere del più ampio conflitto arabo-israeliano e israelo-palestinese. A settantacinque anni dalla loro espulsione, la sofferenza e lo sfollamento dei profughi palestinesi sono una realtà quotidiana. I palestinesi che sono fuggiti o sono stati espulsi dalle loro case in quello che oggi è Israele, insieme ai loro discendenti, hanno il diritto al ritorno così come stabilito dal diritto internazionale. Tuttavia, non hanno praticamente alcuna prospettiva di poter tornare alle loro case, molte delle quali distrutte da Israele, o ai villaggi e alle città da cui provengono. Israele non ha mai riconosciuto questo loro diritto. Negare una casa ai palestinesi è al centro del regime di apartheid imposto da Israele ai palestinesi. L’ espropriazione delle proprietà dei palestinesi non si è fermata e la nakba è diventata l’ emblema dell’ oppressione che i palestinesi devono affrontare ogni giorno, da decenni. Oggi, oltre cinque milioni e seicentomila palestinesi rimangono rifugiati e non hanno diritto al ritorno. Almeno altri centocinquantamila corrono il rischio reale di perdere la casa a causa della brutale pratica israeliana di demolizioni di case o sgomberi forzati. La nuova ricerca di Amnesty International dimostra che Israele impone un sistema di oppressione e dominazione sulle e sui palestinesi in tutte le aree sotto il suo controllo: in Israele e nei Territori occupati, e contro i rifugiati palestinesi, in modo che a beneficiarne siano le e gli ebrei israeliani. Ciò equivale all’ apartheid ed è proibita dal diritto internazionale. Leggi, politiche e pratiche volte a mantenere un sistema crudele di controllo sulle e sui palestinesi, li hanno frammentati geograficamente e politicamente, spesso impoveriti in un costante stato di paura e insicurezza.

L’ apartheid non è accettabile in nessuna parte del mondo. Quindi perché il mondo accetta quello in corso contro i palestinesi? I diritti umani sono stati a lungo tenuti da parte dalla comunità internazionale quando ha affrontato la lotta e la sofferenza pluridecennale della popolazione palestinese. Di fronte alla brutalità della repressione israeliana, la popolazione palestinese chiede da oltre vent’ anni che venga compreso che la politica israeliana è una politica di apartheid. Nel corso del tempo, a livello internazionale, il trattamento riservato da Israele ai palestinesi ha iniziato a essere considerato in maniera sempre più ampia come apartheid. Tuttavia, i governi con la responsabilità e il potere di fare qualcosa si sono rifiutati di intraprendere qualsiasi azione significativa per chiedere conto a Israele delle sue responsabilità. Al contrario, si sono nascosti dietro un processo di pace moribondo a scapito dei diritti umani. Sfortunatamente, la situazione odierna non vede alcun progresso verso una soluzione, ma anzi il peggioramento dei diritti umani per i palestinesi. Amnesty International chiede a Israele di porre fine al crimine internazionale dell’apartheid, smantellando le misure di frammentazione, segregazione, discriminazione e privazione, attualmente in atto contro la popolazione palestinese.

Le autorità israeliane hanno fatto tutto ciò attraverso quattro principali strategie: frammentazione in domini di controllo, espellendo centinaia di migliaia di palestinesi e distruggendo centinaia di villaggi palestinesi, in quella che è stata una pulizia etnica; espropri di terra e proprietà, in cui i palestinesi sono stati confinati in enclavi separate e densamente popolate; segregazione e controllo, che vede Israele negare ai palestinesi i loro diritti alla nazionalità e allo status uguali, mentre i palestinesi nei Territori palestinesi occupati affrontano severe restrizioni alla libertà di movimento da parte di Israele che limita anche i diritti delle e dei palestinesi all’ unificazione familiare in modo profondamente discriminatorio; privazione di diritti economici e sociali, con i palestinesi che vivono forti limitazioni discriminatorie nell’ accesso e nell’ uso di terreni agricoli, acqua, gas e petrolio tra le altre risorse naturali, così come restrizioni nell’erogazione di servizi sanitari, di istruzione e di servizi di base.

Ebrei antisionisti a Trafalgar Square, luglio 2006;


Il popolo palestinese è sistematicamente sottoposto a demolizioni di case e sgomberi forzati, e vive nella costante paura di perdere le loro case. Per più di settant’ anni, Israele ha spostato con la forza intere comunità palestinesi. Centinaia di migliaia di case palestinesi sono state demolite, causando terribili traumi e sofferenze. Più di sei milioni di palestinesi rimangono rifugiati, la maggior parte di questi vive in campi profughi anche al di fuori di Israele e dei Territori palestinesi occupati. Ci sono più di centomila palestinesi negli Territori palestinesi occupati e altri sessantottomila all’ interno di Israele a rischio imminente di perdere le loro case, molti per la seconda o terza volta.

Il popolo palestinese è intrappolato in un circolo vizioso. Israele richiede loro di ottenere un permesso per costruire o anche solo di erigere una struttura come una tenda, ma a differenza delle e dei richiedenti ebrei israeliani raramente rilascia loro un permesso. Molti palestinesi sono costretti a costruire senza permesso. Israele poi demolisce le case palestinesi sulla base del fatto che sono state costruite illegalmente. Israele usa queste politiche discriminatorie di pianificazione e suddivisione in zone per creare condizioni di vita insopportabili per costringere le e i palestinesi a lasciare le loro case per permettere l’ espansione dell’insediamento ebraico. Mohammed Al-Rajabi, un residente della zona di Al-Bustan a Silwan, la cui casa è stata demolita dalle autorità israeliane il 23 giugno 2020 sulla base del fatto che era stata costruita illegalmente, ha descritto ad Amnesty International l’impatto devastante sulla sua famiglia: «E’ estremamente difficile da affrontare. Potrebbe essere difficile da esprimere a parole… e ho percepito che è stato più difficile per i miei figli che per noi. Erano davvero entusiasti che avessimo questa nuova casa. Conserverò le foto di quel giorno e le mostrerò ai miei figli quando saranno grandi, così non dimenticheranno quello che ci è successo. Dirò loro, ‘vedete che tipo di ricordi ho da trasmettervi?’. Il mio piano era che avessero una casa calda e familiare vicino ai loro cari e ai loro familiari. Ora sto trasmettendo i ricordi della distruzione della loro prima casa d’ infanzia.».

Israele ha commesso metodicamente gravi violazioni dei diritti umani contro i palestinesi per decenni. Violazioni come il trasferimento forzato, la detenzione amministrativa, la tortura, le uccisioni illegali e le lesioni gravi, e la negazione dei diritti e delle libertà fondamentali sono state ben documentate da Amnesty International e da altri. E’ chiaro che il sistema dell’ apartheid israeliano viene mantenuto commettendo questi abusi, che sono stati perpetrati nella quasi totale impunità. Questi abusi fanno parte di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione palestinese, portato avanti nel contesto del regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematico di Israele sui palestinesi, e quindi costituiscono crimini contro l’ umanità di apartheid. Le autorità israeliane hanno goduto dell’ impunità per troppo tempo. L’ incapacità internazionale di chiedere conto a Israele significa che le e i palestinesi continuano a soffrire ogni giorno. E’ ora di alzare la voce, di stare con i palestinesi e dire a Israele che l’ apartheid non può più essere tollerato. Per decenni, i palestinesi hanno chiesto la fine dell’ oppressione in cui vivono, e personalmente ritengo che si debba ricordare a Israele che in passato lo stesso popolo ebraico ha subito pregiudizi e persecuzioni violenti e ingiusti, soprattutto istigati dai cristiani e dalle autorità ecclesiastiche che lo accusava di deicidio e lo relegava a tutte quelle professioni immorali, come l’ usura, e, più in generale a quelle che non gli avrebbe conferito un vantaggio su coloro che seguivano la pura dottrina. Quanto subito durante il Terzo Reich dovrebbe fungere da lezione di tolleranza e solidarietà, ma purtroppo i palestinesi pagano troppo spesso un prezzo terribile per lottare per i loro diritti, e da tempo chiedono che il mondo li aiuti. Che questo sia l’ inizio della fine del sistema di apartheid di Israele contro la popolazione palestinese.


Giacomo Ramella Pralungo

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