mercoledì 27 giugno 2018

«Io sono Giacomo» nelle parole del suo autore



L’ autobiografia è un genere letterario che il critico francese Philippe Lejeune definì «il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’ accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità». Chi decide di parlare di sé e della propria storia agisce per vari motivi, soprattutto la necessità di rivedere i propri trascorsi, le vicende dello spirito e del pensiero, l’ attività di studio e di ricerca, nonché di ripercorrere la via di crescita personale e professionale compiuta, di fare autoanalisi o anche più semplicemente di lasciare a chi verrà in futuro memoria della propria vita.
Con «Io sono Giacomo», edito su www.lulu.com in formato sia cartaceo che elettronico, Giacomo Ramella Pralungo ha voluto intraprendere questo non semplice tentativo.

Un’ autobiografia rappresenta una realizzazione molto particolare. E’ più complesso e anche delicato in confronto ad un normale romanzo, saggio o articolo a cui lei è senz’ altro più abituato. Che cosa l’ ha spinta ad intraprendere un progetto particolare come questo?

«Negli anni, data la mia passione personale per la storia, sento di aver sviluppato la mentalità tipica di chi studia questa disciplina: tutto ciò che siamo in questo momento dipende da quel che accadde in passato, e quel che siamo ora influenzerà le nostre persone future. Pensavo a questo progetto ormai da qualche tempo, e l’ ho concepito essenzialmente come conseguenza di un’ osservazione di me stesso, rinforzato da una certa distanza temporale da determinati avvenimenti, sia positivi che negativi, così da presentare una narrazione maggiormente lucida e meno soggettiva. In altre parole, sentivo che i tempi erano maturi per guardarmi indietro come uno specchio che riflette le immagini senza lasciarsi trascinare in giudizi o punti di vista, raccontando i fatti sottolineando le mie reazioni come risposte in quel particolare frangente.».
La versione cartacea del libro;

Che effetto le ha fatto ripercorrere a ritroso la sua esistenza, e sapere che ora è pubblica?

«Lavorare a questo libro è stato come realizzare un romanzo, solo che questa volta racconto una storia vera. Per la prima volta, il protagonista sono io stesso (risata)! E’ stato molto impegnativo soprattutto per quanto riguarda le mie capacità di memoria: ho dovuto sforzare alquanto le mie funzioni mnemoniche per essere il più possibile esauriente e la mia intelligenza in modo tale da esporre i fatti senza lasciarmi coinvolgere, come fanno gli osservatori, che si tengono nascosti in modo tale da non alterare quello che studiano. Certi passaggi sono più facili da leggere, altri invece sono maggiormente difficili, ma nell’ insieme sento che guardarmi indietro mi ha fatto molto bene e di aver reso piuttosto positivamente l’ atmosfera degli eventi e la loro concatenazione. Mi fa quindi molto piacere che il risultato possa arrivare al maggior numero possibile di persone, e consiglio vivamente a tutti di svolgere questo particolare esercizio psicologico, credo infatti che dovremmo osservarci tutti quanti molto di più e meglio di quanto siamo abituati a fare nel nostro caro Occidente, tanto dedito allo sviluppo materiale ma così poco a quello interiore del singolo individuo (risata)!».

A che cosa voleva dare risalto con questa particolare narrazione?

«Al fatto che quello che noi siamo in questo momento dipende dallo sviluppo costante di noi e delle nostre caratteristiche fondamentali attraverso il lungo e ininterrotto percorso chiamato ‘vita’. Ognuno di noi nasce composto in un determinato modo, e il corso della vita contribuisce a far emergere ed evolvere certi aspetti di noi, ma con la comprensione e l’ esperienza dobbiamo costantemente cercare di darci una direzione, potenziando le nostre caratteristiche positive e attenuando quelle negative. Perché noi possiamo evolverci tanto in fretta da cambiare, oppure distruggerci come tante altre specie prima di noi. Il futuro non è mai veramente scritto: è un mondo di infinite possibilità e conseguenze. Innumerevoli scelte definiscono il nostro avvenire: ogni scelta, ogni attimo, è un’ onda nel fiume del tempo. Molte onde cambiano la marea.».

Lei è riuscito ad evolversi positivamente?

«In parte, sicuramente sì. Sento di essermi evoluto, alcuni miei aspetti negativi si sono effettivamente alleggeriti e non essendo ancora morto ho ancora molto lavoro da fare (risata)!».

Che cosa le è risultato più difficile raccontare, e cosa invece è stato più semplice?

«I fatti relativi all’ anno 2004, periodo che non ricordo affatto con piacere, sono stati i più difficili da raccontare, soprattutto senza lasciarmi coinvolgere soggettivamente. Quelli legati all’ infanzia e alla mia formazione culturale sono stati invece i più semplici. In ogni caso ho reputato importante mantenere un atteggiamento da cronista.».
La versione elettronica del libro;

Prima lei ha citato la sua passione per la storia, e leggendo il suo libro si ha effettivamente l’ impressione che lei dia importanza agli eventi passati, anche quelli che potrebbero apparire meno importanti.

«E’ vero. Tutto influisce sul risultato e nulla si ripete mai: il contesto in cui viviamo agisce molto su di noi e sulla nostra evoluzione, ma è anche vero che ognuno di noi è unico e in continuo mutamento, dunque reagiamo costantemente agli stimoli a modo nostro e impariamo sempre cose nuove, influendo su quello stesso contesto in cui viviamo. Tutti noi abbiamo qualche rimpianto ripensando ai nostri trascorsi, ma se si tornasse nel passato con la macchina del tempo di H. G. Wells per tirare un filo allentato finiremmo per disfare la trama della nostra esistenza provocando conseguenze imprevedibili. Mai sottovalutare il potere dei dettagli.».

Qual’ è la lezione più importante che sente di aver imparato nella vita, e che ha trasmesso nel suo libro?

«Nella vita occorre tanta pazienza, e soprattutto non bisogna mai rinunciare ad essere sé stessi e a pensare a modo proprio. Noi siamo quello che siamo e dobbiamo migliorarci sempre per il bene nostro e degli altri, ma a modo nostro, liberi da tutti quei condizionamenti che la società ci inocula nella mente come un indottrinamento per fare di noi individui pubblicamente accettabili, riducendo la nostra libertà di essere e agire. Essere umani vuol dire proprio questo, se si vuole un automa è meglio rivolgersi ad una fabbrica cibernetica (risata)!».

Tante grazie, e auguri.

«Grazie infinite.».

giovedì 21 giugno 2018

Giacomo e l’ energia della meditazione



Da sempre molto interessato alla spiritualità e alla ricerca personale, nel 2008 Giacomo Ramella Pralungo scoprì gradualmente il grande dono della meditazione, particolare disciplina che da migliaia di anni è parte integrante di tutte le principali tradizioni religiose, dall’ Induismo al Buddhismo, senza dimenticare il Taoismo, il Cristianesimo e l’ Islam. Pratica poliedrica, ampia e di vasta portata, essa non è necessariamente legata alla religione, ma costituisce una tecnica volta all’ autorealizzazione: «In un primo momento mi avvicinai alla meditazione nel contesto buddhista, ma da quando ho preferito allontanarmi da questa filosofia in favore di una mentalità più autonoma e indipendente ho continuato a praticarla per lasciar riposare la mente nel suo stato naturale, come disciplina di miglioramento della mia condizione psicofisica.».

Nel dicembre 2014, l’ Organizzazione delle Nazioni Unite istituì su proposta di Narendra Modi, Primo ministro dell’ India, la Giornata internazionale dello Yoga. Tale ricorrenza ricade in una data molto particolare, il 21 giugno, giorno del solstizio d’ estate, che i praticanti di yoga chiamano Dakshinayana, termine sanscrito che indica il passaggio alla seconda metà dell’ anno, dunque una giornata particolarmente favorevole per valutare le proprie intenzioni, piantare i semi del cambiamento e purificare mente e corpo.
In questo giorno, Giacomo ha scelto di parlare della sua personale esperienza nell’ ambito della meditazione, e dei benefici concreti che ne ha ricavato.
«Fin da bambino ho sempre sentito molto parlare della meditazione, ma non avevo idea di che cosa significasse davvero.» spiega sistemando le gambe nella posizione del semi loto, ai piedi di un albero del suo giardino «Anzi, come la maggior parte degli occidentali sono cresciuto maturando convinzioni piuttosto inesatte in proposito, perché tra i non praticanti il termine meditazione ha una valenza leggendaria, e viene spesso utilizzato per indicare un’ estasi mistica o lo sviluppo di poteri miracolosi quali la levitazione, la chiaroveggenza o la telepatia per mezzo di una pratica segreta trasmessa in privato da maestro a discepolo. In realtà, meditare significa sviluppare una maggiore concentrazione e consapevolezza di sé stessi e di ciò che ci circonda.».
Giacomo si interessò concretamente alla meditazione a seguito del suo avvicinamento al Buddhismo, avvenuto nel 2006. La scuola con cui entrò per la prima volta in contatto fu quella tibetana, che pone l’ accento su una visione incentrata sull’ interdipendenza di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi in una precisa legge di causa ed effetto, dunque promuove due tipi di meditazione, dette Laktong e Shinè:
«Mi concentrai sulla tecnica Laktong, in cui si impiegano il pensiero e l’ analisi, per riflettere in uno stato di concentrazione profonda su alcuni argomenti particolari come ad esempio la natura effettiva delle cose, in antidoto contro l’ illusione.».
Gli fu molto utile per comprendere i concetti fondamentali della filosofia buddhista e anche per superare un particolare stato depressivo che da tempo lo seguiva costantemente come un’ ombra:
«Facevo spesso questo esercizio, sebbene non quotidianamente, e presto iniziai a sentimi più rilassato eppure piuttosto sveglio e mentalmente ricettivo.».

Tale apertura all’ indagine critica gli parve fondamentale nel suo sviluppo come persona, ed era particolarmente indicato nel raggiungimento dell’ Illuminazione, eppure al tempo stesso maturò la convinzione che rappresentasse una sorta di arma a doppio taglio, in quanto prevedeva un indottrinamento, l’ adozione di una visione ufficiale da seguire. Nel giro di qualche tempo, quindi, lasciò il Buddhismo tibetano, intriso di elementi mistici e leggendari e sostenitore di un’ immagine idealizzata del maestro, indicato come un vero e proprio Buddha vivente che avendo compreso gli insegnamenti appare come un’ autorità infallibile e indiscutibile, e si avvicinò alla scuola Zen, più spoglia della parte filosofica e mistica, maggiormente indirizzata alla pratica meditativa. Il suo stesso nome, tratto dal termine giapponese zen, derivante dal cinese chán, a sua volta tradotto dal sanscrito dhyāna, significa proprio «meditazione»:
«Qualcosa nella mia mente mi suggerì che questa disciplina meditativa mi avrebbe aiutato molto di più. Si tratta infatti di una pratica atta a rilassare totalmente mente e corpo, riscoprendo la nostra vera natura.».
Nella meditazione Zen, chiamata Zazen, ossia «meditazione seduta», si pone l’ attenzione semplicemente sul respiro e la posizione del corpo, senza scopi e aspettative, senza volere e pensare a nulla e nemmeno controllare i pensieri, così da calmare naturalmente la mente. La cosa essenziale è il risveglio dalla distrazione e dal torpore e tornare nella posizione corretta momento per momento:
«La funzione della mente consiste nel creare pensieri, e non c’ è modo di impedirglielo. In questa tecnica meditativa non si punta quindi a svuotarla dai pensieri o ad estraniarsi dalla realtà circostante, entrando in una sorta di trance: quando i pensieri sorgono vanno lasciati venire e andare liberamente, senza inseguirli o evitarli. Zazen consente di vederci così come siamo, senza giudizi e oltre gli schemi sociali che ci costringono ad un comportamento in contrasto con la nostra vera natura, causandoci quindi stress, insicurezza e infelicità. Per questo, una volta che si inizia a meditare, ci si alleggerisce un po’ alla volta dalle pesantezze della vita e se ne esce ogni volta più sicuri, più semplici.».
Tale forma di meditazione si rivelò molto efficace per Giacomo, che vi si accostò praticandola quotidianamente ogni mattina al risveglio. Di recente, pur essendosi allontanato dalla filosofia buddhista in generale e da qualsivoglia altra tradizione spirituale, ha scelto di perseverare con questa pratica:
«Dapprima, ovviamente, meditavo per raggiungere l’ Illuminazione, come il Buddha aveva fatto prima di me secondo la leggenda. Avevo quindi una motivazione religiosa, o più propriamente filosofica. Eppure io sono sempre stato più riflessivo che devoto, è una cosa più forte di me, quindi analizzando l’ idea pessimista che il Buddhismo nutre nei riguardi della vita, che in tono con l’ originaria tradizione induista definisce invariabilmente come una penosa fonte di dolore da cui bisogna sfuggire con la rinuncia ascetica, e il concetto stesso di Illuminazione, che trovai sfuggente e persino contraddittorio, pensai di dissociarmi da questa dottrina e tornare ad una mentalità autonoma e indipendente. Ma la meditazione mi aveva indubbiamente procurato vantaggi concreti, e per sua natura rappresenta una disciplina neutrale, che un bel giorno venne adottata da determinate tradizioni spirituali pur non essendo dipendente da nessuna di esse: sentivo quindi di dover puntare alla sua vera natura.».
Niente più religione o filosofia per Giacomo, che continua tuttora a beneficiare enormemente dell’ energia della meditazione, convinto dai risultati:
«Come ho già detto altre volte, io percepisco molto il valore della spiritualità, piuttosto che quello della religione, perché implica il benessere dello spirito che tutti abbiamo sulla base di metodi individuali. La religione è invece un prodotto strettamente umano maturato in specifiche epoche storiche e contesti culturali, basato su convinzioni, preghiere e rituali che ci vengono impressi nella mente fin da bambini, quindi la sua efficacia è nettamente più ridotta.».
Una copia del Fukanzazengi;

Inoltre, il romanziere e articolista afferma che i benefici della meditazione sono stati studiati per anni dai neuroscienziati di grandi università come quella di Harvard e del Wisconsin, venendo ampiamente riconosciuti in sede scientifica: gli studiosi hanno confermato che meditare ha effetti molto benefici sul corpo e soprattutto sul cervello, perché stimola la produzione neuronale. A livello psicologico, ci si accorge di vedere le stesse cose di sempre con occhi diversi, provando emozioni insolite e vivendo più serenamente la quotidianità. Gli esperti hanno concluso che chi si dedica alla meditazione da almeno due anni possiede il dieci percento di equilibrio mentale in più rispetto a chi non si è mai avvicinato a questa pratica:
«La meditazione costante viene indicata da psicologi e psichiatri come un potente antidepressivo, in quanto attenua stress, ansia e depressione. Posso confermarlo per esperienza diretta, avendo sofferto di depressione io stesso. Ed è pure uno stimolo ideale per chiunque fatichi a concentrarsi.».
La pratica meditativa dona maggiore lucidità al cervello, quindi aiuta la memoria e la concentrazione grazie alle tecniche di rilassamento che hanno effetti notevoli anche sull’ empatia:
«I ricercatori dell’ Università di Boston affermano che la meditazione favorisce l’ empatia tra le persone, quindi promuove i migliori sentimenti e comportamenti riesumandoli dalle continue problematiche quotidiane, dalla vita frenetica e, soprattutto, dalla trappola tortuosa delle convenzioni sociali.».
Meditare aiuta peraltro ad incrementare la produttività sul lavoro, perché la mente impara a porre la massima attenzione al momento presente, e con la pratica si può abituare il cervello a raggiungere la massima concentrazione in qualsiasi momento, a partire dalle situazioni che la richiedono maggiormente, come l’ ambito lavorativo, a quelle più strettamente quotidiane e abituali, che si tendono a dare per scontate. Nei momenti di meditazione profonda, infatti, le onde cerebrali passano dalla tipologia beta, tipica dello stato di veglia, alla tipologia theta e delta:
«Si tratta di una prova della neuroplasticità del cervello, che è in grado di modificare sé stesso in base agli stimoli provenienti dall’ esterno, dall’ ambiente e dal corpo.».
Le risonanze magnetiche condotte ad Harvard su alcuni studenti che hanno frequentato un corso di otto settimane di meditazione hanno evidenziato un ispessimento della materia grigia, ossia l’ insieme di corpi dei neuroni presenti nell’ encefalo e nel midollo spinale, nelle aree cerebrali associate con la consapevolezza del proprio corpo e con la compassione per il prossimo. Parallelamente si sono registrate una diminuzione del volume dell’ amigdala, regione cerebrale associata allo stress e alla paura, e un aumento di materia grigia nella corteccia prefrontale, responsabile di alcune funzioni cognitive superiori come la concentrazione e la capacità decisionale. All’ Università del Wisconsin è peraltro emerso che agisce da antinfiammatorio, in quanto un’ attività costante sopprime l’ attività di alcuni geni legati all’ origine dei processi infiammatori, e agisce sul sistema nervoso simpatico promuovendo il rilascio di sostanze antinfiammatorie e riducendo la produzione di sostanze che stimolano i processi infiammatori. Riduce peraltro l’ ipertensione, rallenta il processo di invecchiamento cellulare, può essere più riposante del sonno, aiuta a sopportare meglio il dolore fisico.
«Peraltro, rappresenta una potente alleata per le donne.» aggiunge Giacomo «La pratica della meditazione e di altre discipline come il Taichi può attenuare i più comuni sintomi della menopausa, come le vampe di caldo improvviso, i disturbi dell’ umore e del sonno, i dolori ossei e muscolari: è quanto rivela uno studio approfondito nel 2010.».
Alla domanda di come lui stesso si senta da quando pratica la meditazione ogni mattina al risveglio, momento indicato da tutte le principali tradizioni come il più adatto, Giacomo sfodera un ampio sorriso:
«Mi sento mentalmente più lucido ed emotivamente più sereno e ordinato rispetto a prima. La mia mente riesce a recepire, analizzare e pensare con maggiore chiarezza. Come ho detto prima, in passato ho avuto forti disturbi depressivi e persino incontrollabili scoppi d’ ira, e ancora oggi ricordo molto bene come ci si sente. Sebbene alle volte mi capiti tuttora di sentirmi turbato, riesco a mantenere il controllo e a recuperare gradualmente la serenità. Questo è molto importante. Come disse Albert Einstein, la mente è come un paracadute, e funziona solo se è aperta.».

Giacomo Ramella Pralungo ai funerali di Vittorio Emanuele, ultimo erede al trono d’ Italia

Il feretro di Vittorio Emanuele condotto in Duomo; In virtù di problemi tecnici dei giorni scorsi, e scusandoci per il ritardo, pubblichia...