mercoledì 14 febbraio 2024

Giacomo Ramella Pralungo ai funerali di Vittorio Emanuele, ultimo erede al trono d’ Italia

Il feretro di Vittorio Emanuele condotto in Duomo;


In virtù di problemi tecnici dei giorni scorsi, e scusandoci per il ritardo, pubblichiamo questo articolo sulla presenza di Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e articoli di storia, archeologia e mistero, ai funerali di Vittorio Emanuele di Savoia, ultimo erede al Trono italiano in rispetto al proprio orientamento monarchico.


Vi è una folla numerosa all’ esterno del Duomo di Torino, a cui si accede con biglietto di invito: si contano quattrocento persone all’ interno e oltre trecento all’ esterno. La giornata è fredda e piovosa. A rendere omaggio al Principe di Napoli ci sono rappresentanti dell’ aristocrazia e del bel mondo, e ovviamente reali come il Principe sovrano Alberto II di Monaco, il nipote Serge di Jugoslavia e Carlo di Borbone, oltre che l’ ex Regina di Spagna Sofia. Presenti anche l’ Arciduca Martino di Asburgo Lorena, il Ganduca George di Russia e Fuad d’ Egitto come rappresentante della famiglia reale egiziana. Non c’ erano rappresentanti della famiglia reale britannica, che comunque ha inviato una calorosa lettera di condoglianze. Assenti per motivi di salute le sorelle del defunto, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Vi sono inoltre le delegazioni delle Guardie d’ Onore del Pantheon, un’ associazione sorta nel 1878 per prestare il servizio di guardia alle tombe dei monarchi italiani presso il Pantheon e mantenere viva la memoria legata a Casa Savoia, al Risorgimento e alle tradizioni militari nazionali. Sono invece assenti le istituzioni, dal Presidente della Regione Piemonte al sindaco di Torino. Giacomo Ramella Pralungo scuote il capo, fermamente contrario alla grande mancanza di rappresentanti dello Stato: «Il solo esponente dell’ attuale governo ad essersi presentato ieri alla camera ardente a Venaria è stato il Presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha reso omaggio al feretro e si è stretto in un abbraccio con il figlio Emanuele Filiberto prima di salutare il resto della Famiglia, dicendo di essere venuto in visita sia pubblica che privata e che ci sono luci e ombre, che non bisogna dimenticare che grazie ai Savoia c’ è stata l’ unità d’ Italia. I dignitari della Repubblica già disertarono il funerale di Re Umberto II all’ abbazia di Hautecombe, nella Savoia francese di cui la Famiglia Reale è originaria, con la sola eccezione di Maurizio Moreno, console generale d’ Italia a Lione: con la loro latitanza, i vertici dello Stato mandano un messaggio di presa di distanza dal nostro passato e dalla storia italiana, come se gli ottantacinque anni di Monarchia non fossero mai trascorsi. I francesi hanno avuto due Monarchie, due Imperi e cinque Repubbliche eppure hanno preservato una forte continuità storica e istituzionale: li considero un grande esempio da cui dovremmo imparare la giusta lezione!».

Lo scrittore monarchico si guarda un po’ intorno, poi riprende a parlare con tono basso, ma fermo: «Sono sempre stato monarchico, e da quando avevo vent’ anni mi sono avvicinato ai Savoia Aosta poiché credo che anche dopo la proclamazione della Repubblica questo particolare ramo della Dinastia abbia portato avanti degnamente la tradizione della Monarchia, con precisione e costanza. Sua Altezza Reale il Duca Amedeo, venuto a mancare nel 2021 e che stimavo grandemente, e Suo figlio Aimone, che il 4 giugno 2022 incontrai a Superga per la messa in suffragio del Padre, hanno sempre denotato intelligenza, garbo, misura, modestia e preparazione e io Li reputo pienamente all’ altezza di portare la Corona italiana. Il Principe Vittorio Emanuele ha invece avuto una filosofia di vita più discutibile, poco prudente per la Sua posizione, tuttavia al di là delle cronache giudiziarie e degli scandali, nonché della disputa dinastica con gli Aosta, rimaneva il figlio del Re, il grande Umberto II, e l’ ultimo Principe ereditario del Regno d’ Italia. Come tale, io l’ ho sempre sinceramente rispettato e credo che oggi si debba andare oltre le polemiche, dinastiche o politiche che siano.».

Giacomo Ramella Pralungo;


Gli chiediamo quanto sia importante per lui essere qui oggi, lui contempla le molte persone presenti e sorride riflettendo bene e valutando con cura le parole: «Ha la sua importanza, certamente. Alle mie orecchie sono giunti molti commenti critici mossi in nome della Repubblica e dell’ antifascismo su questi funerali qui a Torino, che storicamente è stata culla della Casa Reale tanto che la Diocesi ha accolto la Sua richiesta non soltanto perché un funerale non si nega a nessuno, ma ricordando che è un momento di preghiera, non uno strumento per giudicare le persone, soprattutto in modo politico. Tutta questa asprezza mi ricorda quanto sappiamo essere settari e poco precisi noi italiani: ricordiamoci che il Principe era una persona che ha scontato senza colpe un vero e proprio ‘reato di cognome’, pagando al posto di altri e venendo sempre chiamato a scusarsi per l’ operato di Suo nonno, Re Vittorio Emanuele III. I Savoia sono stati usati come capro espiatorio di quanto ha fatto il Fascismo, e ciò che gli antimonarchici ovviamente omettono è che un Sovrano costituzionale, come allora fu Re Vittorio Emanuele, era tenuto secondo la Costituzione vigente a convalidare l’ operato del Suo governo, che per quanto dittatoriale procedeva secondo l’ iter procedurale in vigore. Anche quando si impose nel 1922 portò avanti un misto tra pressioni e rispetto formale della legge. Era il Parlamento ad avere il potere di opporre un veto, dando al Re la possibilità di procedere con la deposizione del Duce, ma ciò non avvenne fino al 25 luglio 1943. Vittorio Emanuele III avrebbe potuto abdicare e salvare il proprio buon nome manifestando chiaramente il proprio dissenso, ma i fascisti avrebbero instaurato una Repubblica di cui avrebbero avuto pieno controllo, agendo finalmente con totale libertà, cosa che in effetti avvenne con la Repubblica Sociale nel 1943, sebbene fosse uno Stato fantoccio nelle mani del Terzo Reich.». Dopo qualche istante di riflessione, aggiunge: «Tornando al Principe, la Sua figura era nota soprattutto per le cronache giudiziarie fin dagli Anni Settanta, quando venne indagato per traffico internazionale di armi in alcuni Paesi mediorientali che erano sotto embargo quando era intermediario per conto della Agusta S.p.A., e per il ferimento mortale del giovane Dirk Hamer nel 1978 all’ isola di Cavallo, in Corsica, per poi essere protagonista nel 2006 dell’ inchiesta Vallettopoli, in cui fu imputato per corruzione, concussione, gioco, falso e sfruttamento della prostituzione, tutte accuse da cui fu assolto mentre sul piano più personale fece vari scivoloni in occasione di determinate interviste rilasciate negli anni precedenti al ritorno in Italia. Eppure stato l’ ultimo pretendente al Trono d’ Italia e io sono qui per rispetto verso l’ istituzione della Monarchia e in ricordo della nostra storia. Come Sua Altezza Reale il Duca Aimone ha così bene espresso nel Suo messaggio alla Famiglia, con la morte di Vittorio Emanuele, così come avvenuto per quella di Suo padre Amedeo, si è chiuso un capitolo della storia sia d’ Italia che della Famiglia Reale.».

Nato a Napoli nel 1937 dagli allora Principi di Piemonte, Umberto e Maria José del Belgio, Vittorio Emanuele fu proclamato alla nascita «principe dell’ Impero» e, secondo fonti diplomatiche britanniche, nel 1938 la madre si sarebbe accordata con il gerarca fascista Rodolfo Graziani e il capo della polizia Arturo Bocchini per tentare un colpo di Stato a opera di alcuni reparti delle forze armate, con Pietro Badoglio come comandante in capo, in un’ azione che sostituisse Benito Mussolini con un «avvocato milanese antifascista», probabilmente Carlo Aphel, e che costringesse Re Vittorio Emanuele III ad abdicare in favore di Umberto, a sua volta concorde con la moglie per rinunciare subito al trono in favore del piccolo Vittorio Emanuele: la stessa Maria José sarebbe stata nominata reggente del Regno in deroga allo Statuto Albertino, fino al compimento dei ventuno anni del giovanissimo sovrano. Questo piano, che coinvolgeva anche Italo Balbo, Galeazzo Ciano, antitedesco e ambizioso genero del Duce, tuttavia non andò oltre un incontro preliminare al castello di Racconigi e alcune riunioni a Milano, e trapelò solo molti anni dopo. Vittorio Emanuele continuò la sua vita normalmente, secondo i canoni di un erede al trono, e nel 1946, a seguito del referendum istituzionale del 2 giugno che vide l’ avvento della Repubblica, seguì Re Umberto II suo padre che lasciò volontariamente l’ Italia per evitare che gli scontri tra monarchici e repubblicani sfociassero nella guerra civile, venendosi però sbarrare la via del ritorno da un esilio sancito Tredicesima Disposizione Transitoria e finale della Costituzione della Repubblica. Dopo alcuni anni trascorsi in Portogallo, a Cascais, si trasferì in Svizzera con la madre, allontanatasi dal padre a cui era unita da un matrimonio combinato e infelice. Svolse l’ attività di intermediario finanziario, stringendo amicizie e legami d’ affari con grandi industriali, in particolare la famiglia Agusta. Nel 1972 sposò Marina Doria, contrariamente al parere del padre che gli negò il cosiddetto Regio assenso, il consenso formale necessario secondo le leggi dinastiche che i Savoia avevano adottato a fine Settecento, e secondo molti monarchici ciò gli avrebbe precluso il rango di erede dinastico automaticamente a vantaggio del cugino Amedeo di Aosta e dei suoi eredi, con cui nei decenni successivi fu in rotta. Nel 2002, quando venne abolita la norma costituzionale che obbligava gli ex sovrani, le loro consorti e i discendenti maschi all’ esilio, tornò in Italia dopo cinquantasette anni, e con un comunicato emesso da Ginevra dichiarò di accettare la fine della Monarchia.

Il Principe Vittorio Emanuele di Savoia;


«Negli anni, il Principe è stato una figura controversa, basti pensare alle risposte poco meditate ai giornalisti a domande relative alle leggi razziali firmate dal Re Suo nonno nel 1938 o sulla Sua disponibilità a giurare fedeltà alla Repubblica per tornare in Italia.» racconta l’ autore «Ma per mezzo degli ordini dinastici ha anche portato avanti opere benefiche verso i più poveri e i meno abbienti in Italia e nel mondo, e si è impegnato per la memoria della Sua Casa. Inoltre, va precisato che visse un esilio ingiusto, un bando incomprensibile e di mentalità medievale se pensiamo che nel 1946 aveva solo nove anni e mai aveva rivestito ruoli istituzionali in base ai quali potesse essere valutato. Oltre che su tutto ciò, io ho sempre riflettuto molto sul fatto che i figli e i nipoti di Benito Mussolini, a cui nessuno ha mai giustamente domandato di scusarsi per le sue azioni quali l’ instaurazione della dittatura, la promulgazione delle leggi razziali e l’ intervento in guerra a fianco della Germania con tutto ciò che purtroppo ne conseguì, hanno sempre vissuto tranquillamente in Italia, e Alessandra ha persino avuto un seggio nel Parlamento della Repubblica antifascista! Sono due pesi e due misure, è più che evidente...».

Giacomo dà un’ occhiata alle persone intorno a sé, dicendo di aver chiacchierato con molti di loro e di essere rimasto soddisfatto: «Vi sono alcuni monarchici, repubblicani e semplici curiosi, e tutti quanti, ma proprio tutti, hanno detto di essere qui per rispetto e fatto commenti concilianti, poiché Vittorio Emanuele era estraneo a molto di ciò che si è detto e che Torino per circa mille anni è stata culla della Sua Casa. Superga pertanto è la tomba della Sua famiglia. Il popolo ha dimostrato più saggezza dei politici della Repubblica e dei mezzi di comunicazione, indipendentemente dalle preferenze individuali.». Il feretro del Principe, recante la bandiera con lo scudo sabaudo, viene fatto uscire, e l’ autore di fantascienza e storia aggiunge: «Vittorio Emanuele non è mai stato Re, un militare, un diplomatico o altro. Dissento con certe sue posizioni e dichiarazioni, nonché con il Suo stile di vita più da uomo mondano che da aristocratico in senso stretto. Non ha lasciato un segno nella storia italiana e della Sua Casa, tuttavia apparteneva ad una stirpe che ha vissuto una parte molto importante della nostra storia, partendo dall’ anno 1000 fino al 1946. Tanto per fare un esempio, i Savoia furono protagonisti dell’ unità d’ Italia ponendosi sullo stesso piano delle altre Case Reali d’ Europa. Se la Monarchia fosse rimasta in vigore dopo il referendum, con l’ educazione tipica di un erede al Trono sarebbe un giorno divenuto un Re adeguatamente preparato al compito, ma così non fu e ora nel mio cuore sento che tocca al Duca Aimone e ai Suoi giovani eredi proseguire con la tradizione, e chissà che con un po’ di fortuna...».

lunedì 25 dicembre 2023

La ricorrenza del Natale tra forma e sostanza

Giacomo Ramella Pralungo;


Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e articoli storici, culturali e scientifici, desidera trasmettere i propri auguri accompagnati da una riflessione sul tema del Natale con la seguente lettera.


Occhieppo Superiore, 25 dicembre 2023


Anche quest’ anno è arrivato il giorno che per gli amici cristiani è Natale, e come sempre sono iniziati con largo anticipo i preparativi, tra acquisti per regali, pranzi e cenoni, addobbi e così via discorrendo. Sebbene sia soltanto la seconda festività più importante della cristianità, la principale è infatti quella pasquale, la ricorrenza del Natale è la più affascinante e sentita da tutti, complice il periodo invernale che a differenza di questi ultimi anni un tempo portava la neve e quindi induceva a radunarsi tra le calde mura di casa, attorno ad un bel camino.

Come è risaputo, io mi sono allontanato dal Cristianesimo nel 2004, appena compiuti i vent’ anni, assumendo una posizione super partes nei riguardi delle religioni interessandomi più propriamente ad una libera spiritualità, e continuo tuttora a rispettare Gesù come libero pensatore e maestro spirituale svincolato dagli schemi della tradizione ebraica del suo tempo, mosso da un desiderio altruistico. Attualmente ho il piacere di continuare a leggere e documentarmi in materia di religione, ma con un occhio più indipendente e analitico, e anche valutando i testi sacri trovo per mia stessa sorpresa interessanti basi di riflessione in alternativa alle consuetudini e notando determinate contraddizioni che con un atteggiamento più da credente nella maggior parte dei casi non si considerano. Una delle cose che da irreligioso più trovo evidenti è il modo in cui chi invece continua a definirsi cristiano credente, per quanto non strettamente praticante, «si ricorda di santificare le feste», come dice il terzo comandamento.

Festa natalizia;


Ormai da molto tempo noto che già a novembre la gente inizia a pensare ai preparativi natalizi, e con l’ avvento dei mercatini si lancia a capofitto nelle relative spese, in una gara all’ acquisto migliore e più economico in modo tale da presentarsi «come si conviene» a questa fatidica data. Fin da quando ero bambino, ricordo che il Natale ha sempre portato questa frenesia, non dico quindi nulla di nuovo, tuttavia oggi si tende molto di più a festeggiarlo ma senza considerare il suo significato e valore, e neppure l’ episodio religioso da cui trae la sua origine, che ovviamente è la nascita di Gesù. Io sono cresciuto in un ambiente in cui la religione non ha mai avuto un’ importanza preminente, sebbene ovviamente fosse rispettata, ma quando ero alle elementari nella mia Casa si aveva l’ abitudine di andare in chiesa, cosa per nulla gravosa dato che portava via un’ ora di tempo al massimo, e, più tardi, di recitare una preghiera così che il motivo alla base della ricorrenza fosse correttamente considerato, per poi procedere con gli auguri, lo scambio dei doni e i festeggiamenti. Non vi era nulla di rigidamente formale o bigotto, solo un minimo di coerenza: se si celebra un compleanno è infatti logico porgere gli auguri al festeggiato. Oggi invece non è più così. In mezzo alla febbre dei preparativi quasi più nessuno rivolge un pensiero al significato del Natale: ci si scambia qualche vago augurio e i doni, poi ci si siede a tavola per mangiare in abbondanza e allegria parlando di tutto e di più. Talvolta, anche di recente, ho domandato a persone di mia conoscenza con cui mi permetto di avere un minimo di dialogo il senso che danno al Natale, e la risposta più comune che ho ricevuto è stata conferma di una certa confusione e superficialità: «C’ è sempre stato. Natale è Natale…».

Tutto questo mi porta ad un tema di cui spesso mi capita di parlare, quello delle consuetudini, della tendenza ad agire ripetitivamente senza saperne il motivo e l’ utilità, ma solo perché «è sempre stato così». L’ abitudinarietà fa parte del funzionamento della nostra mente, indubbiamente, ed è anche utile perché ci aiuta a vivere con praticità e regolarità. Anche nella vita di tutti i giorni tendiamo a muoverci con l’ ausilio di orari e ritualità, semplificandoci l’ esistenza, tuttavia stiamo assistendo alla deriva dell’ automatismo, ossia il fare le cose in un certo modo senza saperne affatto il motivo, e questo mi fa ricordare le parole di T. S. Eliot, il celebre poeta e saggista statunitense premiato nel 1948 con il Nobel per la letteratura, nel poema «La roccia»: «Dov’ è la Vita che abbiamo perduto vivendo?». Io dico sempre che una persona intelligente deve sapere tutto quello che fa e perché, mentre un credente di qualsivoglia religione deve riflettere sulla propria fede e accettarne i valori fondamentali solo dopo averli capiti dal suo punto di vista e comportarsi di conseguenza nella vita di tutti i giorni. Questo dovrebbe valere anche nei festeggiamenti di oggi, altrimenti sarebbe più logico non festeggiare alcunché! Un’ altra cosa che mi capita di ripetere molte volte è che si deve prestare molta attenzione sia alla sostanza che alla forma, perché alla lunga si influenzano reciprocamente: guardandomi attorno, però, vedo molti preparativi formali ma con ben poca o addirittura nessuna consapevolezza riguardante la sostanza.

La celebre partita di pallone a Ypres;


Il 7 dicembre 2018 pubblicai sul mio sito informatico un articolo, «Quando il Natale veniva più decorosamente festeggiato in trincea», in cui affermai che un tempo il Natale era vivamente percepito dai cristiani come un giorno speciale, unico nel suo genere, nel quale si sentivano più buoni trasmettendo all’ ambiente una speciale carica di positività ed ottimismo che, non soggetta a limitazioni, si propagava in ogni direzione nell’ ambiente come un profumo o un’ onda luminosa o sonora, tornando peraltro indietro apportando risultati amplificati in accordo alla purezza e all’ intensità con cui era stata generata. Non di rado allietava con effetti riequilibranti e risananti persino i pochi non credenti, che oggi, invece, sono nettamente aumentati. Era un giorno così particolare che durante gli anni della tremenda Grande Guerra portò ad un particolare miracolo oggi poco ricordato: in occasione del Natale 1914 vi fu una tregua durante la quale le trincee videro il cessate il fuoco, e i soldati di entrambi gli schieramenti, tedeschi e britannici, dopo aver sepolto i cadaveri dei commilitoni uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti, lasciarono le rispettive fosse per festeggiare la ricorrenza insieme, fraternizzando e scambiandosi doni e cibo. I versi di una canzone popolare di Mike Harding, «Christmas 1914», si rifanno proprio a questo particolare evento, omesso dai libri di storia: «I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno.». La partita a pallone ebbe luogo nei pressi della cittadina belga di Ypres, entro la «terra di nessuno», lo spazio che divideva le trincee britanniche da quelle germaniche: fu il momento fondamentale di quella che sarebbe passata alla storia come «Tregua di Natale». Dopo aver ordinato alle truppe di non interrompere per nessun motivo i combattimenti, le quali evidentemente non obbedirono, i comandi britannico e tedesco fecero arrivare nelle prime linee alcuni piccoli pacchi dono natalizi contenenti dolci, liquori, tabacco, alberelli natalizi e candele. La sera della vigilia, a Ypres i tedeschi addobbarono le postazioni scambiandosi gli auguri e cantando vari motivetti natalizi. Qualcuno intonò la canzone «Stille nacht», la versione germanica della celebre «Silent night» britannica. Da quel momento, e per buona parte della serata, i soldati dei due eserciti non smisero di cantare, ognuno nella propria lingua e al riparo della propria postazione. E il giorno dopo deposero le armi per festeggiare insieme: un grande avvenimento nel bel mezzo di un inferno dall’ inarrestabile violenza!


Oggi, a centonove anni di distanza da quel particolare giorno, viene spontaneo interrogarsi sul legame tra chi si definisce ancora credente e il Natale e, più ingenerale, con la fede che segue. Dalla mia posizione, io che sono irreligioso penso con ferma convinzione che ricorrenze come quella di oggi andrebbero vissute con più consapevolezza del relativo significato da chi continua ad essere cristiano. Magari ci si potrebbe affannare un po’ meno nei preparativi e nelle spese, perché l’ esperienza ci insegna che anche nella semplicità si può giungere al bello e al decoroso, l’ importante è che chi decide di festeggiare ricordi anche solo per un momento il Figlio del suo Dio, imparando la nobile lezione di quei valorosi giovani che lottarono e morirono orribilmente lungo le linee trincerate della Grande Guerra nel cuore della nostra Europa, oggi come allora soggetta a profonde divisioni politiche e nazionaliste. Gente coraggiosa e degna di rispetto che oggi purtroppo non c’ è più, dinnanzi alla quale solo pochi di noi reggerebbero al confronto, persone di grande nobiltà che combattevano un conflitto che non capivano e che dividevano senza problemi tra di loro e addirittura con il nemico quel poco che avevano, dando alla ricorrenza di oggi un significato particolarmente profondo e commovente in un contesto tutt’ altro che scontato, dimostrando una saggezza e una compassione infinitamente superiori alle nostre. Gente dinnanzi alla quale io stesso chino il capo con riguardo. E’ più che evidente che il Natale venne ahimè più degnamente festeggiato nel doloroso inferno delle trincee piuttosto che nella nostra lodata «civiltà» dei centri urbani, veri e propri deserti interiori sepolti dalla pesante coltre della sabbia della superficialità e del conformismo, in cui forma e sostanza vengono sempre più tristemente lasciate a sé stesse…


Con i miei più cordiali auguri di buon Natale e felice anno nuovo.


Giacomo Ramella Pralungo

lunedì 13 novembre 2023

La forza e la responsabilità dell’ atto di comunicare

Giacomo Ramella Pralungo;


Giacomo Ramella Pralungo, autore di romanzi di narrativa fantascientifica e articoli culturali, storici e scientifici, considera la comunicazione una disciplina di grande importanza, da non sottovalutare, in grado di favorire la conoscenza e la consapevolezza ma anche l’ indebolimento dell’ autonomia e della capacità di pensare autonomamente, se usata scorrettamente.


Come romanziere e articolista, lei da anni è impegnato nel settore della comunicazione. Che cosa vuol dire per lei comunicare?


«Comunicare significa trasmettere un’ idea, un principio, qualcosa di preciso e concreto. Equivale a far capire qualcosa nel modo più esatto possibile. Non a caso, le parole hanno un significato preciso, e spesso addirittura più di uno. Ecco quindi che una parola detta in un certo modo piuttosto che in un altro può attribuire a seconda dei casi significati diversi a ciò che si cerca di dire. Comunicare è quindi un’ azione molto vasta e particolare, che richiede una grande cura.».


La comunicazione, quindi, è una disciplina dalla grande forza.


«Chi comunica, come gli scrittori e i giornalisti, esercita una grande influenza sulla società. Inoltre, mentre la vita umana è breve, gli scritti restano e si conservano per secoli. Purtroppo, alcuni testi sono stati all’ origine di grandi sofferenze, come quelli che hanno diffuso le concezioni estreme del Nazionalsocialismo e del Comunismo. Chi comunica ha il potere di causare più o meno direttamente il bene o il male di milioni di vite, quindi è bene che coltivi un atteggiamento onesto e imparziale, del tutto veritiero. I giornalisti in generale si interessano soltanto all’ attualità scottante, soprattutto quella orribile: in fondo a noi stessi consideriamo il delitto un atto imperdonabile e scioccante che non dovrebbe avvenire, ed è per questo che quando si verifica riempie le prime pagine dei giornali. Lo stesso accade per la corruzione e altri misfatti. Invece, crescere i propri figli, accudire i vecchi e gli ammalati ci sembrano comportamenti normali che non meritano di essere citati tra le notizie. Il difetto principale di questo atteggiamento è che un po’ alla volta ci porta a considerare gli omicidi, le violenze e altre atrocità come cose comuni. Rischiamo di pensare che la natura umana sia crudele e che non ci sia alcun mezzo per impedirle di esprimersi. Se un giorno ne saremo effettivamente convinti, non avremo più alcuna speranza per il futuro dell’ umanità.».


Lei è vicino alla filosofia buddhista, e a volte ha citato il valore buddhista del cosiddetto retto linguaggio.


«Sì, è vero. Secondo la tradizione, nel suo primo discorso dottrinario tenuto al Parco delle gazzelle di Sārnāth, vicino a Varanasi, la città santa degli induisti, il Buddha Śākyamuni espose il Nobile Ottuplice Sentiero, un modello di comportamento improntato sulla rettitudine di pensieri, parole e azioni. La retta parola implica l’ assunzione della nostra responsabilità di ciò che diciamo, ponendo attenzione nella scelta delle parole e valutandole in modo che non producano effetti nocivi sugli altri e di conseguenza su noi stessi: occorre quindi evitare la menzogna, la maldicenza, l’ offesa e il pettegolezzo vano, concentrandosi quindi sulla chiarezza e la sincerità, così da evitare i fraintendimenti e le opinioni errate. Anche il fatto di parlare di cose che non conosciamo o che non abbiamo doverosamente compreso andrebbe evitato: è ben più costruttivo concentrarsi su ciò di cui invece abbiamo esperienza diretta!».


Quindi, per lei comunicare è solo il passo finale, e non è possibile se non si ha un argomento, qualcosa da esprimere.


«Certamente. Le parole e gli altri mezzi di comunicazione sono solo un veicolo del messaggio, e senza di esso perdono la loro utilità. Oggi viviamo nell’ era delle informazioni, ma purtroppo molti di noi parlano molto ma senza dire nulla. Anche nella vita quotidiana, ormai, siamo abituati a parlare così, tanto per riempire il tempo e nulla di più. Al contrario, io credo che ci si dovrebbe soffermare maggiormente a riflettere su ciò che vorremmo trasmettere a chi ci circonda. Anche una comune chiacchierata tra amici, dinnanzi a una buona tazza di tè, può divenire bella e produttiva, se si basa su qualcosa di interessante. Sempre come disse il Buddha: ‘Prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile, ed infine se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.’.».


Uno dei punti fermi del suo modo di esprimersi, di comunicare, è farlo in un italiano puro, libero da termini stranieri nella forma sia orale che scritta, quanto da quelli volgari.


«Purtroppo, questo è un altro dei maggiori difetti del mondo di oggi. Attualmente le parole inglesi si sono intrufolate nella nostra lingua come un virus, e quasi non c’ è più nessuno che parli un italiano tradizionale. Di recente mi è capitato di lamentarmi di questa tendenza, e mi sono sentito rispondere: ‘Ma ormai è così, è la moda generale. Che vuoi farci? Bisognava evitarla vent’ anni fa.’. Io credo che questo mondo dipenda da noi, lo Spirito Santo è impegnato altrove (risata), quindi occorre cominciare da noi per migliorare ciò che ci accade intorno. Evito volontariamente le parole inglesi e di altre lingue e tutti mi capiscono benissimo, inoltre non uso mai quelle volgari poiché ho compreso l’ educazione ricevuta dai miei genitori e trovo spontaneo metterla in pratica. Qualcuno alle volte mi ha detto che so di vecchio, in realtà il decoro, anche linguistico, è un valore classico che ancora non è passato di moda. Si può parlare ed essere gradevoli senza alcun bisogno di ricorrere a parolacce e concetti sconvenienti. Questo è esattamente ciò che faccio nella preparazione dei miei testi, e sento che è la via migliore.».


Che cosa pensa della crescente cultura della cancellazione, o del boicottaggio?


«Credo che sia una scempiaggine di quest’ epoca offuscata, in cui i valori stanno paurosamente venendo meno senza che vengano sostituiti da qualcosa di meglio, a differenza di come avveniva in passato. Io non ho un orientamento politico in particolare, ma credo che sia una crociata portata avanti da una Sinistra che non sa più come proseguire la contestazione che da sempre è uno dei suoi valori portanti. Ora che il tradizionale terreno di scontro in cui il Comunismo è maturato è venuto meno, non si può più parlare di lotta di classe, di abbattimento di un sistema oppressivo e ingiusto e di dittatura del proletariato. La giustizia sociale a danno della reazione quindi passa attraverso la lotta ai valori tradizionali. Anziché parlare di pari opportunità per tutti, si cerca di calare la cortina di censura su ciò che animava il mondo di una volta, colpevole di ciò che a noi oggi pare arretrato, e imporre modelli diametralmente opposti. I mezzi di comunicazione, oggigiorno, sono purtroppo coinvolti sempre di più in questo genere di contrasto.».


Oggi, soprattutto grazie alla rete, è diventato molto facile non solo recepire informazioni, ma anche trasmetterle. E’ positivo, però sono aumentate anche le bufale.


«Infatti, oggi comunicare è divenuto molto facile grazie ai mezzi di comunicazione, Internet specialmente: si legge e si scrive nel giro di un istante. Basta anche solo un cellulare, e il gioco è fatto. Tuttavia non si riflette più sull’ autenticità o meno di ciò che viene trasmesso, e di conseguenza le false informazioni tendono a suscitare maggiore interesse e a vantare persino più credibilità di quelle vere. E la comunicazione diventa qualcosa di nocivo. Io lo trovo molto allarmante, e personalmente credo che abbia ragione il professor Alessandro Barbero che, come storico e divulgatore, pone molta attenzione alle fonti: ‘Quando sentiamo dire una certa cosa, prima di tutto occorre chiedere a chi ci parla dove l’ ha saputo.’.».


Quindi, anche il pubblico ha la sua parte di responsabilità in tema di comunicazione?


«E’ vero: chi riceve un messaggio deve soppesarlo con cura, e ha la stessa responsabilità di chi lo emette. La comunicazione è un fenomeno interdipendente, che collega tutti tra loro. Il retto linguaggio di cui parlava il Buddha Śākyamuni ci tocca tutti, chi in un modo e chi in un altro.».


Grazie per aver condiviso il suo parere.


«Molte grazie a voi, per questa bella conversazione. E’ sempre un vero piacere.».

venerdì 27 ottobre 2023

Israele fermi l’ apartheid contro i palestinesi


Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e articoli storici, culturali e scientifici, ha presentato una lettera in cui espone il proprio pensiero sui drammatici eventi che hanno luogo in Terra Santa, esprimendo seri dubbi sulla politica israeliana, che non esita a definire apartheid, e piena solidarietà al popolo palestinese.


Nei giorni scorsi il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è intervenuto durante una riunione del Consiglio di Sicurezza, il principale organo esecutivo delle Nazioni Unite, per commentare la situazione nella Striscia di Gaza. Parlando del feroce attacco del 7 ottobre compiuto dal gruppo radicale islamista Hamas, dicendo che per quanto le violenze non siano giustificabili, «è importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non siano avvenuti nel vuoto: il popolo palestinese è stato sottoposto a cinquantasei anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e piagata dalla violenza, la loro economia soffocata, la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le loro speranze per una soluzione politica alla loro situazione sono svanite». Il discorso è stato immediatamente molto criticato da vari esponenti istituzionali di Israele perché ritenuto non sufficientemente empatico nei confronti delle violenze subite dagli israeliani e al contempo troppo poco duro con Hamas, che Israele e altri Paesi considerano da tempo un’ organizzazione terroristica. Dall’ istituzione dello Stato di Israele nel 1948, i governi che si sono avvicendati hanno creato e preservato un sistema di leggi, politiche e pratiche progettate per opprimere e dominare le e i palestinesi. Questo sistema funziona in modi diversi nelle diverse aree in cui Israele esercita il controllo sui diritti dei palestinesi, ma l’ intento è sempre lo stesso: privilegiare gli ebrei israeliani a spese dei palestinesi. Come si legge in un messaggio pubblicato in rete nel marzo 2019 dal Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: «Israele non è lo Stato di tutti i suoi cittadini, ma piuttosto lo Stato-nazione del popolo ebraico e solo il loro.».

L’ esodo palestinese del 1948, conosciuto soprattutto nel mondo arabo, e fra i palestinesi in particolare, come nakba, che significa «catastrofe» in arabo, è l’ allontanamento forzato della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del 1947-48, al termine del mandato britannico, e durante la guerra arabo-israeliana del 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele. Durante tale conflitto, più di settecentomila arabi palestinesi abbandonarono città e villaggi o ne furono espulsi e, successivamente, si videro rifiutare ogni loro diritto al ritorno nelle proprie terre, sia durante che al termine del conflitto. La proporzione fra i palestinesi che erano fuggiti o che furono cacciati, le cause e le responsabilità dell’ esodo, il suo carattere accidentale o intenzionale, come pure il diniego, dopo la cessazione dei combattimenti, del diritto al ritorno degli abitanti arabo-palestinesi, musulmani e cristiani, sono un soggetto fortemente dibattuto sia da parte degli studiosi della questione israelo-palestinese, che degli storici specialisti degli eventi di tale periodo. Questo esodo è anche all’ origine del successivo problema dei rifugiati palestinesi, che costituisce uno dei contenziosi più difficili da risolvere del più ampio conflitto arabo-israeliano e israelo-palestinese. A settantacinque anni dalla loro espulsione, la sofferenza e lo sfollamento dei profughi palestinesi sono una realtà quotidiana. I palestinesi che sono fuggiti o sono stati espulsi dalle loro case in quello che oggi è Israele, insieme ai loro discendenti, hanno il diritto al ritorno così come stabilito dal diritto internazionale. Tuttavia, non hanno praticamente alcuna prospettiva di poter tornare alle loro case, molte delle quali distrutte da Israele, o ai villaggi e alle città da cui provengono. Israele non ha mai riconosciuto questo loro diritto. Negare una casa ai palestinesi è al centro del regime di apartheid imposto da Israele ai palestinesi. L’ espropriazione delle proprietà dei palestinesi non si è fermata e la nakba è diventata l’ emblema dell’ oppressione che i palestinesi devono affrontare ogni giorno, da decenni. Oggi, oltre cinque milioni e seicentomila palestinesi rimangono rifugiati e non hanno diritto al ritorno. Almeno altri centocinquantamila corrono il rischio reale di perdere la casa a causa della brutale pratica israeliana di demolizioni di case o sgomberi forzati. La nuova ricerca di Amnesty International dimostra che Israele impone un sistema di oppressione e dominazione sulle e sui palestinesi in tutte le aree sotto il suo controllo: in Israele e nei Territori occupati, e contro i rifugiati palestinesi, in modo che a beneficiarne siano le e gli ebrei israeliani. Ciò equivale all’ apartheid ed è proibita dal diritto internazionale. Leggi, politiche e pratiche volte a mantenere un sistema crudele di controllo sulle e sui palestinesi, li hanno frammentati geograficamente e politicamente, spesso impoveriti in un costante stato di paura e insicurezza.

L’ apartheid non è accettabile in nessuna parte del mondo. Quindi perché il mondo accetta quello in corso contro i palestinesi? I diritti umani sono stati a lungo tenuti da parte dalla comunità internazionale quando ha affrontato la lotta e la sofferenza pluridecennale della popolazione palestinese. Di fronte alla brutalità della repressione israeliana, la popolazione palestinese chiede da oltre vent’ anni che venga compreso che la politica israeliana è una politica di apartheid. Nel corso del tempo, a livello internazionale, il trattamento riservato da Israele ai palestinesi ha iniziato a essere considerato in maniera sempre più ampia come apartheid. Tuttavia, i governi con la responsabilità e il potere di fare qualcosa si sono rifiutati di intraprendere qualsiasi azione significativa per chiedere conto a Israele delle sue responsabilità. Al contrario, si sono nascosti dietro un processo di pace moribondo a scapito dei diritti umani. Sfortunatamente, la situazione odierna non vede alcun progresso verso una soluzione, ma anzi il peggioramento dei diritti umani per i palestinesi. Amnesty International chiede a Israele di porre fine al crimine internazionale dell’apartheid, smantellando le misure di frammentazione, segregazione, discriminazione e privazione, attualmente in atto contro la popolazione palestinese.

Le autorità israeliane hanno fatto tutto ciò attraverso quattro principali strategie: frammentazione in domini di controllo, espellendo centinaia di migliaia di palestinesi e distruggendo centinaia di villaggi palestinesi, in quella che è stata una pulizia etnica; espropri di terra e proprietà, in cui i palestinesi sono stati confinati in enclavi separate e densamente popolate; segregazione e controllo, che vede Israele negare ai palestinesi i loro diritti alla nazionalità e allo status uguali, mentre i palestinesi nei Territori palestinesi occupati affrontano severe restrizioni alla libertà di movimento da parte di Israele che limita anche i diritti delle e dei palestinesi all’ unificazione familiare in modo profondamente discriminatorio; privazione di diritti economici e sociali, con i palestinesi che vivono forti limitazioni discriminatorie nell’ accesso e nell’ uso di terreni agricoli, acqua, gas e petrolio tra le altre risorse naturali, così come restrizioni nell’erogazione di servizi sanitari, di istruzione e di servizi di base.

Ebrei antisionisti a Trafalgar Square, luglio 2006;


Il popolo palestinese è sistematicamente sottoposto a demolizioni di case e sgomberi forzati, e vive nella costante paura di perdere le loro case. Per più di settant’ anni, Israele ha spostato con la forza intere comunità palestinesi. Centinaia di migliaia di case palestinesi sono state demolite, causando terribili traumi e sofferenze. Più di sei milioni di palestinesi rimangono rifugiati, la maggior parte di questi vive in campi profughi anche al di fuori di Israele e dei Territori palestinesi occupati. Ci sono più di centomila palestinesi negli Territori palestinesi occupati e altri sessantottomila all’ interno di Israele a rischio imminente di perdere le loro case, molti per la seconda o terza volta.

Il popolo palestinese è intrappolato in un circolo vizioso. Israele richiede loro di ottenere un permesso per costruire o anche solo di erigere una struttura come una tenda, ma a differenza delle e dei richiedenti ebrei israeliani raramente rilascia loro un permesso. Molti palestinesi sono costretti a costruire senza permesso. Israele poi demolisce le case palestinesi sulla base del fatto che sono state costruite illegalmente. Israele usa queste politiche discriminatorie di pianificazione e suddivisione in zone per creare condizioni di vita insopportabili per costringere le e i palestinesi a lasciare le loro case per permettere l’ espansione dell’insediamento ebraico. Mohammed Al-Rajabi, un residente della zona di Al-Bustan a Silwan, la cui casa è stata demolita dalle autorità israeliane il 23 giugno 2020 sulla base del fatto che era stata costruita illegalmente, ha descritto ad Amnesty International l’impatto devastante sulla sua famiglia: «E’ estremamente difficile da affrontare. Potrebbe essere difficile da esprimere a parole… e ho percepito che è stato più difficile per i miei figli che per noi. Erano davvero entusiasti che avessimo questa nuova casa. Conserverò le foto di quel giorno e le mostrerò ai miei figli quando saranno grandi, così non dimenticheranno quello che ci è successo. Dirò loro, ‘vedete che tipo di ricordi ho da trasmettervi?’. Il mio piano era che avessero una casa calda e familiare vicino ai loro cari e ai loro familiari. Ora sto trasmettendo i ricordi della distruzione della loro prima casa d’ infanzia.».

Israele ha commesso metodicamente gravi violazioni dei diritti umani contro i palestinesi per decenni. Violazioni come il trasferimento forzato, la detenzione amministrativa, la tortura, le uccisioni illegali e le lesioni gravi, e la negazione dei diritti e delle libertà fondamentali sono state ben documentate da Amnesty International e da altri. E’ chiaro che il sistema dell’ apartheid israeliano viene mantenuto commettendo questi abusi, che sono stati perpetrati nella quasi totale impunità. Questi abusi fanno parte di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione palestinese, portato avanti nel contesto del regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematico di Israele sui palestinesi, e quindi costituiscono crimini contro l’ umanità di apartheid. Le autorità israeliane hanno goduto dell’ impunità per troppo tempo. L’ incapacità internazionale di chiedere conto a Israele significa che le e i palestinesi continuano a soffrire ogni giorno. E’ ora di alzare la voce, di stare con i palestinesi e dire a Israele che l’ apartheid non può più essere tollerato. Per decenni, i palestinesi hanno chiesto la fine dell’ oppressione in cui vivono, e personalmente ritengo che si debba ricordare a Israele che in passato lo stesso popolo ebraico ha subito pregiudizi e persecuzioni violenti e ingiusti, soprattutto istigati dai cristiani e dalle autorità ecclesiastiche che lo accusava di deicidio e lo relegava a tutte quelle professioni immorali, come l’ usura, e, più in generale a quelle che non gli avrebbe conferito un vantaggio su coloro che seguivano la pura dottrina. Quanto subito durante il Terzo Reich dovrebbe fungere da lezione di tolleranza e solidarietà, ma purtroppo i palestinesi pagano troppo spesso un prezzo terribile per lottare per i loro diritti, e da tempo chiedono che il mondo li aiuti. Che questo sia l’ inizio della fine del sistema di apartheid di Israele contro la popolazione palestinese.


Giacomo Ramella Pralungo

lunedì 25 settembre 2023

Giacomo consulta Papa Francesco circa il «Gesù storico»: la risposta del Vaticano

Giacomo Ramella Pralungo;


Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e articoli storici, culturali e scientifici, ha inviato una lettera a Papa Francesco chiedendogli un parere sull’ indagine storica riguardante Gesù di Nazareth e l’ origine del Cristianesimo. Dopo due mesi, dal Vaticano è arrivata la risposta su carta intestata…


Accomodandosi alla scrivania, piena di libri e riviste soprattutto di storia, e qualcuna di fisica, astrofisica e fantascienza, Giacomo racconta di come nel 2004 smise di credere in Dio confutando rigorosamente la religione in cui fino ad allora aveva creduto: «Avevo appena compiuto vent’ anni, e da quattro studiavo il Cristianesimo di scuola cattolica con maggiore interesse in confronto all’ infanzia e alla prima giovinezza. Non sono cresciuto infatti in un ambiente di devoti. Desideravo capire tante cose, ma i dubbi con il tempo aumentarono così tanto che alla fine non resistetti e sconfessai la mia fede.». Per la prima volta cominciò ad interrogarsi su chi veramente fosse stato Gesù di Nazareth, l’ uomo da cui la Chiesa aveva successivamente tratteggiato il Christós, il Cristo della fede in greco: «Iniziai a considerarlo sotto una prospettiva differente: che cosa pensava, cosa provava, cosa amava e cosa invece disapprovava. Mi domandai che cosa avesse voluto cambiare del mondo che lo circondava e come percepiva la divinità adorata da secoli dal suo popolo, come fosse in grado di compiere i miracoli che gli vennero attribuiti, se fosse sicuro di capire a dovere i valori ebraici fondamentali e così via discorrendo. Adottai insomma una curiosità più propriamente storica, che mi accompagna tuttora (risata)! Oggi sono un ateo sbattezzato e considero il personaggio di Gesù esclusivamente sotto questo profilo.».

Mostra una lettera, datata 12 luglio 2023, in cui si è rivolto personalmente a Papa Francesco in tema di storia della religione cristiana: «Conoscere l’ origine e l’ evoluzione di una qualsivoglia religione è importante, perché prima di poter dire di credere si deve poter dire di sapere e aver capito: solo dopo si può scegliere se credere o no. Coloro che si fanno guidare dalla fede non riflettuta e dalle consuetudini per me denotano un atteggiamento molto comune, e piuttosto sbagliato. Le grandi figure spirituali della storia, come Abramo, Mosè, Siddhattha Gotama, Gesù, Maometto e così avanti sono da sempre ammantate di leggenda, ma negli ultimi cento anni sono state analizzate e con una certa serietà anche in ambito storico e archeologico. Come dico nella mia lettera, da qualche tempo io stesso sto seguendo una ricerca sulla storicità di Gesù, un tema dibattuto dal Settecento in Europa e che attualmente vede coinvolti non solo gli storici tradizionali ma anche teologi, scienziati e semplici credenti. Ho spiegato al Sommo pontefice che vorrei scrivere un articolo in proposito, e sviluppare l’ argomentazione in modo logico e tale da contribuire costruttivamente alla discussione, ragion per cui mi piacerebbe essere il più esatto e preciso possibile. Ho consultato il parere del celebre professor Alessandro Barbero, il quale sostiene l’ esistenza storica di Gesù e l’ importanza riformatrice del suo pensiero in un’ epoca in cui la Giudea era animata da una profonda rivoluzione spirituale, e tenendo conto della preparazione sia culturale che spirituale del Papa, nonché della grande importanza che accorda ai mezzi di comunicazione, avrei avuto il piacere di porre anche a lui alcune domande, la cui risposta mi sarebbe stata di particolare aiuto.».

Le otto domande presentate a Francesco, prosegue lo scrittore, misurate con grande attenzione, si basavano sull’ ebraicità di Gesù, in quanto nato ebreo ed educato secondo la religione tradizionale del suo popolo, e la possibilità che il Cristianesimo fosse sorto come corrente minoritaria dell’ Ebraismo, divenendo qualcosa di autonomo nel momento in cui i primi missionari da San Paolo in poi insegnarono ai non ebrei, soprattutto greci e romani. Affermazioni trascritte nei Vangeli di San Marco e San Matteo paiono piuttosto precise: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento.», «Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei samaritani, ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d’ Israele.», «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’ Israele.». Un’ altra domanda richiedeva una spiegazione ad affermazioni spigolose riportate soprattutto nei Vangeli di San Matteo e San Luca, in cui a Gesù vengono attribuite parole forti, se non addirittura aspre, che secondo molti mettono in discussione la sua immagine di uomo di pace: «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’ uomo saranno quelli stessi di casa sua.», e ancora: «I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti.».

Scorrendo con attenzione la lettera, l’ autore sorride: «Una questione in particolare che ho presentato all’ attenzione del Santo Padre riguarda l’ atipicità di Gesù come personaggio storico, essendo divenuto famoso dopo la sua morte, a differenza di altri come ad esempio Spartaco che, vissuto un secolo prima e seppure in modo diametralmente opposto, ossia con una ribellione armata, sfidò le autorità dell’ epoca. Intorno a Cristo vi è un particolare mistero, sia storicamente che spiritualmente. Curiosamente, la maggior parte delle persone pare poco interessata al suo personaggio, andando a messa con atteggiamento abitudinario per celebrare le feste senza un atteggiamento consapevole, ma solo perché è una consuetudine che le famiglie hanno sempre rispettato fin dall’ origine dei tempi. Siamo circondati dal Cristianesimo ma pensiamo poco a Gesù e agli ideali che lo hanno animato. Sono molto pochi quelli che si interrogano su chi davvero sia stato e cosa abbia fatto e insegnato. Ho domandato a Francesco che cosa ne pensi.». Un altro aspetto toccato dalle sue domande riguarda la sua natura di Messia promesso da Dio agli ebrei: «Questo è effettivamente un tema difficile, ma su cui ultimamente ho molto riflettuto. I cristiani affermano che Gesù sia il Messia promesso da Dio, mentre gli ebrei continuano tuttora a negarlo, ragion per cui aspettano ancora oggi quello vero e praticando la loro antica religione, la stessa dei tempi di Gesù. Secondo il popolo ebraico, infatti, il Messia deve stabilire il suo regno e inaugurare un’ era di pace, ricostruire il Tempio e rifondare il Sinedrio, ossia l’ assemblea dei sacerdoti, per poi ricondurre gli israeliti nella terra promessa da Dio ad Abramo, dando vita ad una nazione santa e rispettata da tutti i cui sacerdoti insegneranno la vera religione. Queste cose, scritte nell’ Antico Testamento, con Gesù non sono accadute e in più gli ebrei negano che lui fosse il figlio di Dio in rispetto del monoteismo, secondo cui un uomo non può essere divino, e confutano persino il principio che il Messia, in quanto inviato di Dio, possa essere ucciso dagli uomini. Io quindi mi chiedo: com’ è possibile che i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, che studiavano l’ Antico Testamento e le profezie relative al Messia, contenute nei Libri di Isaia, Zaccaria, Ezechiele e Amos, e da secoli vivevano nell’ attesa di questo Salvatore, prestando attenzione ai segni della sua venuta, non abbiano compreso che proprio Gesù fosse il Messia, e che ne abbiano persino preteso la condanna a morte da parte dei romani?».

Piazza San Pietro, sede del papato;


Una serie di riflessioni notevoli, sia storicamente che spiritualmente, a cui l’ autore non ha escluso una curiosità relativa agli anni mancanti: «Uno dei misteri principali relativi alla figura di Gesù è quella dei cosiddetti anni omessi dalle cronache evangeliche. I quattro testi di San Marco, San Matteo, San Luca e San Giovanni ignorano infatti ben diciotto anni della sua vita, compresi tra i dodici e i trenta. Sono il periodo della sua formazione, tra l’ apprendimento del mestiere paterno di falegname e lo studio della Torah, la Legge data da Dio agli uomini e che i rabbini da Mosè in poi hanno insegnato ad interpretare correttamente. Come potrebbe aver vissuto in questo periodo? E’ rimasto in Galilea, dividendosi tra lavoro, famiglia e studi religiosi presso la sinagoga di Nazareth? C’ è una possibilità che abbia lasciato la Giudea per un viaggio in Oriente, come si vocifera? Oppure che, come suo cugino San Giovanni Battista, abbia vissuto tra gli Esseni?».

Giacomo aggiunge poi un altro argomento su cui la ricerca si è concentrata, ossia il nazireato, un fenomeno religioso ebraico molto antico e comune ai tempi di Gesù: «Cristo è spesso chiamato Nazareno, in quanto la famiglia era di Nazareth, ove lui stesso secondo la tradizione ha vissuto dal ritorno dall’ Egitto fino all’ inizio dell’ insegnamento. Alcuni studiosi però fanno notare la somiglianza di questo termine con nazireo, dall’ ebraico Nazir, ossia ‘consacrato, separato’. Il nazireato è la consacrazione di un ebreo a Dio con il conseguente voto di seguire alcuni rigidi precetti di vita, come l’ astenersi dal consumo di uva e derivati, dal tagliarsi i capelli e dal partecipare a funerali ed entrare in un cimitero. Alcuni passi dei Vangeli fanno pensare che Gesù abbia effettivamente fatto voto di nazireato: l’ esaltazione del consumo rituale del vino come parte dell’ Eucaristia, e in particolare il bagno rituale purificatorio nel Vangelo di Marco 14:22-25 indicano che Gesù osservasse questo aspetto del voto di nazireato, quando disse: ‘In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.’. Il rituale purificatorio del battesimo con cui Gesù inizia poi ad insegnare ed il suo voto nel Vangelo di Marco 14:25 e Luca 22:15-18 alla fine di esso, rispettivamente riflettono i passi finali ed iniziali di purificazione con immersione in acqua e astensione dal vino inerenti al voto nazireo. Tali passi potrebbero indicare che Gesù intendesse identificarsi come nazireo, non bevendo il frutto della vigna prima della propria crocifissione e persino rifiutando il vino mescolato con fiele quando è sulla croce, come riferito da San Matteo. E’ quindi plausibile sostenere che Gesù fosse un nazireo?».

Un’ ultima curiosità tocca invece la questione dei luoghi di pellegrinaggio in Israele, legati agli eventi più importanti della vita di Gesù: «I grandi luoghi di pellegrinaggio cristiano, come la Basilica della Natività, quella del Santo Sepolcro e infine l’ Edicola dell’ Ascensione, ritenuti il luogo esatto in cui Gesù nacque, venne sepolto e infine ascese al cielo, vennero realizzati nel IV secolo dall’ Imperatore Costantino, per iniziativa della madre, Sant’ Elena. Questi posti vennero identificati tre secoli dopo la venuta di Gesù, quando Gerusalemme era completamente cambiata, e soprattutto quando la gente dell’ epoca era già morta. A tutto questo poi occorre aggiungere che nessuno assistette alla nascita di Gesù, che la posizione esatta della tomba offerta da Giuseppe d’ Arimatea era nota a pochissime persone e peraltro fu posta a restrizioni da un presidio di militari romani e che solo gli apostoli assistettero alla salita al cielo di Gesù. Con quanta certezza si può quindi affermare che questi siano il luogo effettivo in cui ebbero luogo le tappe fondamentali della vita di Cristo, un personaggio che divenne celebre solo molto tempo dopo la sua morte?».

Da tutte queste curiosità, conclude lo scrittore, ha avuto l’ idea di rivolgersi al Papa della Chiesa cattolica, che fin dall’ inizio del suo pontificato si è dimostrato molto comunicativo, costantemente attento nell’ impiego dei mezzi di comunicazione al fine di trasmettere idee precise: «E’ un gesuita, e per il suo ordine l’ istruzione è fondamentale: i singoli gesuiti vengono attentamente preparati per essere esperti di teologia e diritto canonico, ma spesso anche linguisti, storici e scienziati come strumento per diffondere il Cattolicesimo. Recita un celebre motto gesuita: ‘Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l’ uomo’. Tuttora esistono molte scuole che appartengono alla Compagnia di Gesù e in molti Paesi dell’ America Latina sono quelle di più alto livello. Mi sono rivolto a Francesco come uomo di cultura e comunicazione sperando vivamente nella sua collaborazione. Trovavo infatti di estremo interesse l’ idea di apprendere l’ opinione della massima autorità del mondo cattolico su questi avvincenti temi, così poco ovvi che, credo, bisognerebbe incominciare a trattare con obiettività e senza opinioni settarie, anzi avvicinandosi da più parti in un’ ottica di sforzo comune, confronto e ragionevolezza: la Chiesa stessa ne gioverebbe molto per sopravvivere!». L’ autore aggiunge di aver sempre saputo che dal Vaticano gli sarebbe giunta una risposta, che attendeva con viva curiosità, cosa in effetti avvenuta poco dopo la metà di settembre, con una missiva proveniente dalla Segreteria di Stato vaticana e datata 31 agosto 2023, che ci mostra: «Sono rimasto meravigliato dai toni della risposta, e trascorso qualche minuto, dopo averla letta due o tre volte, ammetto d’ aver avuto un moto di ilarità. In essa, infatti, i delegati papali mi dicono che il Santo Padre mi è riconoscente per ‘i sentimenti di filiale devozione’, e che ‘mentre invoca la celeste protezione della Vergine Maria, impartisce la Benedizione Apostolica, con l’ augurio di ogni bene nel Signore’. Il bello è che circa l’ istanza avanzata, pur apprezzando le motivazioni che la sostengono, gli stessi dignitari sono rammaricati ‘di dover comunicare che purtroppo non è possibile darvi seguito’.».

Insomma, nessuna risposta ufficiale dal papato. L’ autore ride compostamente: «Assolutamente nessuna, infatti! Io ho sempre pensato che una guida spirituale di qualsivoglia religione, non soltanto quella cristiana, debba vivere secondo i propri insegnamenti, dando l’ esempio e portando avanti un atteggiamento coerente e sincero, senza mentire sulle proprie qualità e conoscenze spirituali e neppure paura di ammettere la propria ignoranza. Dovrebbe attenersi ai fatti, e insegnare concetti e valori comprovati.». Mostra alcuni testi di Corrado Augias, come «Inchiesta su Gesù - Chi era l’ uomo che ha cambiato il mondo» e «Inchiesta sul Cristianesimo - Come si costruisce una religione», che dice di aver letto: «Sono fermamente convinto che la ricerca e l’ analisi storica siano nell’ interesse anche e soprattutto della comunità spirituale, per accertare ciò che le grandi figure spirituali a cui fa riferimento abbiano effettivamente detto e compiuto, poiché gli stessi sacerdoti ci dicono che proprio la loro vita è l’ esempio più importante di tutti. Quindi mi stupisce che la Chiesa di Roma non incoraggi la ricerca storica, guardandola piuttosto con diffidenza e ostacolandola laddove le risulta possibile.».

Papa Francesco, primo pontefice gesuita;


Gli domandiamo come procederà ora con la sua ricerca: «In realtà ho già accumulato materiale a sufficienza e dopo anni di letture e considerazioni ho maturato alcune idee, che sono in grado di motivare. Come dicevo prima, ho anche avuto la fortuna di accedere alle dichiarazioni del professor Alessandro Barbero, che negli anni ha parlato di Gesù tra storia e mito presentando opinioni molto interessanti. Tra breve vorrei iniziare a scrivere questo articolo, e in futuro vorrei preparare un saggio più esteso. Sarebbe stato interessante aggiungere a tutto questo il parere di un personaggio ecclesiastico, io lo trovavo addirittura equo da un punto di vista pratico e argomentativo, ma purtroppo sento che è stato confermato il proverbiale scetticismo che la Chiesa nutre da sempre verso la scienza: pensiamo al Medioevo, quando la definiva a chiare note una maledizione e un’ eresia condannando l’ Occidente ad oltre mille anni di arresto culturale per mezzo dei suoi roghi in piazza: per il clero, infatti, tutto ciò che vale la pena di sapere era già riferito nella Bibbia, senza alcun bisogno della ricerca. Poi, nel Seicento, venne la rivoluzione scientifica, un grande balzo in avanti che la Chiesa non ha saputo frenare come suppongo sperasse, e da cui sorsero l’ eliocentrismo copernicano e l’ evoluzionismo darwiniano, fino alla teoria del Big Bang. La fede religiosa ha perduto molto terreno negli ultimi quattrocento anni dinnanzi ai risultati degli studi scientifici, ed è sopravvissuta come semplice tradizione culturale, relegando l’ ordine sacerdotale alla custodia di un sistema ormai antiquato. Forse l’ impedimento della ricerca storica su Gesù rappresenta l’ ultima vera possibilità di difendere il proprio status di ‘detentori della pura dottrina e della parola di Dio’: pensiamo ad esempio al famoso detto secondo cui l’ Europa ha radici cristiane, nulla di più storicamente sbagliato! L’ Europa esisteva già prima della venuta di Gesù, e poggia su radici greco romane a cui il Cristianesimo stesso successivamente si è adeguato. Possiamo dire pertanto che il Cristianesimo ha radici europee (risata)…».

lunedì 18 settembre 2023

La vita nello spazio tra bufale e rivoluzione culturale secondo Giacomo Ramella Pralungo


Nel settembre 2023, Jaime Maussan, giornalista e ufologo messicano, ha stupito i parlamentari della Camera dei deputati del suo Paese durante una seduta dedicata al fenomeno degli UFO presentando i corpi mummificati di due presunti esseri non umani che sarebbero a suo dire la prova definitiva di vita extraterrestre sulla Terra mille anni fa. Recuperate in Perù nel 2017, tra le province di Nazca e Palpa, le creature, con i loro corpi minuscoli, le mani a tre dita e le teste allungate, sembrano uscite da un film di successo sull’ invasione aliena di Hollywood.

Giacomo Ramella Pralungo, autore di fantascienza e appassionato di storia, considera questo episodio con un certo scetticismo, invitando a valutare le prove in sede scientifica anziché spettacolarizzarle nell’ interesse stesso degli studi in materia di vita aliena nello spazio.


Lei che cosa crede a proposito dell’ esposizione di queste creature che in quest’ ultimo periodo molto ha fatto discutere il mondo?

Jaime Muassan;


«Jaime Muassan ha esibito questi reperti in maniera spettacolare, ottenendo senza dubbio in tutto il mondo molta visibilità in appena poche ore, quando invece credo che avrebbe dovuto innanzitutto consegnarli alla comunità scientifica internazionale per accertarne l’ autenticità, lasciando le conclusioni al momento più opportuno. Questa persona già in passato ha presentato indizi che poi si sono rivelati fasulli, ragion per cui non mi stupirei se anche stavolta si trattasse di un colpo pubblicitario e nulla di più. Il fatto è che la teoria della vita extraterrestre ormai è comunemente accettata dalla scienza, ed è un argomento di estrema serietà e fondamento scientifico benché la gente comune dimostri tuttora un certo scetticismo in proposito. E neppure me ne stupisco, purtroppo, tenendo conto delle numerose sette ufologiche che si rifanno a messaggi spirituali inventati di sana pianta e attribuite ai missionari alieni per plagiare le menti più vulnerabili e dei ciarlatani in cerca di visibilità...».


Quindi per lei potrebbe essere l’ ennesimo falso?

L’ esibizione dei reperti alla Camera dei deputati;


«Io non lo escludo, proprio per il modo teatrale con cui ha avuto luogo e la grande attenzione di cui ha goduto fin da subito. Io infatti dico sempre che credere o dubitare a priori in qualcosa sia male, occorre piuttosto farsi qualche domanda a cui rispondere con atteggiamento equanime. Il tema della vita nello spazio è tra le cose che più meritano una valutazione obiettiva.».


Lei è un autore di fantascienza, e in passato ha più volte affermato di credere alla possibilità di vita intelligente nello spazio.


«Sì, certamente. E’ una questione di calcolo matematico: lo spazio è infinitamente vasto, tanto che la nostra mente fatica a comprenderne le implicazioni anche dopo un’ intera vita di studi astronomici e astrofisici. Sarebbe quindi irragionevole supporre che la vita, anche quella più propriamente intelligente, sia tipica di questo mondo soltanto. Io penso che la varietà e la malleabilità della vita sulla Terra sia così spiccata che dovremmo aspettarci qualcosa di livello esponenziale nel cosmo che ci circonda. Niente omini verdi e dischi volanti dotati di raggio della morte, direi, ma varietà infinite e meravigliose. Nulla è impossibile.».


Perché secondo lei molta gente fatica a crederci, invece?


«In parte è per le numerose figure dalla dubbia credibilità e moralità che negli anni hanno esposto racconti e rilasciato dichiarazioni dubbi e ragionevolmente contestati, ma c’ è dell’ altro. Noi siamo sempre stati soli su questo mondo, in questo particolare angolo di Galassia, e con l’ andare del tempo abbiamo maturato un atteggiamento piuttosto umanocentrico: noi ci consideriamo letteralmente il centro del mondo (risata)!

Abbiamo un atteggiamento mentale tendenzialmente dogmatico, che la rivoluzione scientifica dal Seicento fino ad oggi ha solamente attenuato, e non ancora risolto propriamente. Gli esempi, ahimè, sono molti: un millennio e mezzo fa tutti davano per certo che la Terra fosse il centro dell’ universo, e cinque secoli fa che fosse piatta, e così via discorrendo. Ci vuole molto tempo perché tra ipotesi, osservazione e deduzione per mezzo di prove e indizi e, soprattutto, tramite discussioni tra esperti, una nuova idea o un nuovo modo di considerare un principio si facciano strada tra di noi. A proposito di alieni, parliamo di esseri viventi che con la loro stessa esistenza metterebbero alla prova il nostro senso di priorità nell’ universo. Partiamo da Copernico, che rimise il Sole al centro dell’ universo conosciuto al posto della Terra, e arriviamo all’ evoluzione darwiniana per scoprire che siamo una fra le tante forme di vita su questa Terra. Poi si potrebbe scoprire che non siamo speciali neanche in tutto l’ universo, perché c’ è almeno una civiltà intelligente su un altro mondo: ecco, non saremmo soli! Ovviamente, sarebbe una cosa sconvolgente…».


E’ ciò che lei sostiene in un suo recente articolo, «Il mistero degli alieni».


«E’ vero, ho dedicato un articolo a questo argomento sul mio sito, ‘Due passi nel mistero’, pubblicato lo scorso 5 novembre 2022. In questo testo ho peraltro citato il lodevole intento che la NASA statunitense ha di recente assunto nel contesto delle proprie ricerche scientifiche, ossia l’ annuncio pubblico della vita aliena qualora dovesse essere confermata, il cui piano dovrà essere messo a punto con il coinvolgimento di scienziati, tecnologi e mezzi di comunicazione che si confronteranno tra loro innanzitutto per stabilire quali saranno le prove oggettive che consentiranno di affermare che si è davvero davanti a forme di vita aliena e, in secondo luogo, per determinare quale sarà il modo migliore per comunicare queste prove. Perché, una volta che verrà dato l’ annuncio, saremo dinnanzi ad un fatto storico senza precedenti e che non consentirà ripensamenti e smentite. Sarà una vera e propria rivoluzione culturale, che avrà un profondo impatto sulla civiltà umana intera e sui singoli individui.».


Come si immagina il primo contatto con una popolazione aliena?


«Non lo so proprio (risata)! Potrebbe essere per mezzo di segnali radio, coinvolgendo gli scienziati del SETI, o magari ci inviteranno in un luogo molto lontano della Galassia come in ‘Contact’, chi può dirlo? Oppure sbarcheranno con una navetta esplorativa come i vulcaniani di Star Trek in ‘Primo contatto’, anche se forse potremmo essere noi ad andare su uno dei loro mondi, venendo accolti con stupore da una popolazione ancora non evoluta abbastanza da viaggiare nel cosmo…».


Lei crede alla possibilità di un’ invasione?


«Questo direi proprio di no, anzi! E’ un tema classico della fantascienza, tutti siamo cresciuti con questo particolare genere letterario e cinematografico che risale al 1897, con il celebre ‘La guerra dei mondi’ del grande professor Herbert George Wells, che da sempre considero uno dei miei maestri letterari. Persino Orson Welles ci ricamò inavvertitamente un colpo di teatro nel 1938 con la sua celebre trasmissione radiofonica, e per la cronaca si era ispirato proprio al racconto di Wells (risata)!

Io credo che nello spazio esistano popoli più avanzati e altri più primitivi di noi, quindi suppongo che, se quelli più progrediti avessero voluto, già ci avrebbero assoggettati. E’ più verosimile supporre che qualche visitatore spaziale già sia stato qui sulla Terra, come suggeriscono alcuni archeologi convinti che alcune divinità antiche, ad esempio quelle sumere o delle civiltà precolombiane, fossero in realtà alieni adorati come dei dai nostri avi perché in possesso di un potere, la scienza e la tecnologia, che a loro era sconosciuto. Sento che questa teoria sia molto profonda e auspico che venga più seriamente presa in considerazione dalla comunità scientifica nell’ interesse della comprensione dei molti misteri ancora presenti nella conoscenza del nostro passato più lontano.».


Se ci pensiamo, è proprio ciò che in Messico sta dicendo Maussan…

Una presunta mummia esibita da Maussan;


«Infatti, lui sostiene che siamo dinnanzi a mummie di mille anni almeno, rimaste custodite qui sulla Terra fino al loro recente ritrovamento. L’ idea di antichi visitatori spiegherebbe molte cose, ma finora non è mai stato confermato nulla in proposito. Se questi reperti sono veri, che vengano sottoposti a esami scientifici di comprovata efficacia condotti da una squadra internazionale di esperti. Io sono certamente curioso di conoscere gli sviluppi di questa vicenda, per quanto io nutra il sospetto che sia l’ ennesimo siparietto destinato soltanto ad allontanare la gente dalla verità.».


La ringraziamo per la sua presenza.


«Io ringrazio voi per il tempo trascorso insieme, è sempre bello e utile per tentare di trasmettere idee che cercano di essere sensate.».

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