lunedì 16 gennaio 2023

«Beati coloro che possono dire di vivere in un Paese civile!»

Giacomo Ramella Pralungo;

Da anni interessato al fenomeno mafioso, Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa e articoli storici, ha seguito la grande notizia di oggi relativa all’ arresto del pericoloso capomafia Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, che ha deciso di commentare con questa lettera che pubblichiamo.


Occhieppo Superiore, 16 gennaio 2023


Poche ore fa, Matteo Messina Denaro, il temuto e potente capo di Cosa Nostra che per circa trent’ anni è sfuggito alla cattura in parte per abilità e in parte conseguentemente alla sua solida ed efficace rete di protezione, è stato finalmente arrestato dai carabinieri del ROS mentre si trovava con documenti falsi in una clinica privata a Palermo, dove un anno fa è stato operato e da allora stava facendo terapie in occasione di ricoveri diurni con il nome di Andrea Bonafede.

L’ arresto di un malavitoso eccellente provoca sempre una grande sensazione, come fu per Bernardo Provenzano nel 2006 e per Salvatore Riina prima ancora, nel 1993: oggi, come allora, ci saranno parole, paroloni ed elogi atti a celebrare questa grande vittoria da parte della civiltà, ma mi si permetta di dire che l’ arresto dei cosiddetti «uomini d’ onore», come i mafiosi chiamano sé stessi, è solamente una piccola parte della battaglia poiché essi non sorgono mai intrinsecamente, risultando piuttosto un sintomo dei difetti e delle manchevolezze della società civile a cui noi tutti apparteniamo! Lo disse con tanta esattezza Giovanni Falcone: «La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione.». Anni fa, io stesso scrissi e pubblicai un libro di narrativa di genere mafioso, «Il signore del crimine», che preparai dopo anni di lunghe e attente ricerche che mi portarono ad una drammatica conclusione: il crimine organizzato, tra cui la realtà di Cosa Nostra, è un mercato redditizio che vanta un’ elevata richiesta, i padrini sono professionisti del crimine che fanno affari laddove li trovano. In uno Stato di diritto e su di esso basato, in cui tale disciplina si evolve costantemente trovando sempre nuove e adeguate soluzioni alle necessità e ai problemi della popolazione, la criminalità, se germogliasse stenterebbe a raggiungere le dimensioni di cui purtroppo siamo a conoscenza nel nostro Paese, che ne rimane drammaticamente infangato, e avremmo conferma del detto secondo cui il crimine non paga. Invece, molti di noi, io stesso ahimè compreso, sono portati a dire: «Beati coloro che possono dire di vivere in un Paese civile!».

La cattura di Matteo Messina Denaro;


L’ altra parte della battaglia contro il crimine organizzato è la più dura eppure la meno combattuta, poiché consiste nell’ opposizione al sistema che dà vita a Cosa Nostra, nel curare quelle piaghe della società civile che rendono possibile la criminalità e talvolta vedono la complicità degli stessi alti dignitari che dovrebbero contrastarla, ma che la tollerano in quanto i fuorilegge spesso si rivelano una preziosa risorsa laddove non osano esporsi di persona oppure perché essi dispongono di mezzi utili in qualche modo alle esigenze del loro mandato, volutamente ignorando i valori della democrazia a cui devono il loro scranno, che rendono ben poco onorevole. Quella contro la malavita è, come purtroppo temo, una battaglia che la società civile di cui lo Stato è garante molto probabilmente non può o addirittura non vuole combattere davvero, come dimostrato dal fatto che la cattura dei grandi padrini di cui abbiamo notizia avvengono dopo molti decenni di latitanza. Che in tali incarcerazioni ci sia lo zampino della stessa malavita, nell’ intento di mandare in disarmo gli ormai antiquati padrini in favore di una nuova generazione di capi?


Giacomo Ramella Pralungo

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