mercoledì 14 febbraio 2024

Giacomo Ramella Pralungo ai funerali di Vittorio Emanuele, ultimo erede al trono d’ Italia

Il feretro di Vittorio Emanuele condotto in Duomo;


In virtù di problemi tecnici dei giorni scorsi, e scusandoci per il ritardo, pubblichiamo questo articolo sulla presenza di Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa fantascientifica e articoli di storia, archeologia e mistero, ai funerali di Vittorio Emanuele di Savoia, ultimo erede al Trono italiano in rispetto al proprio orientamento monarchico.


Vi è una folla numerosa all’ esterno del Duomo di Torino, a cui si accede con biglietto di invito: si contano quattrocento persone all’ interno e oltre trecento all’ esterno. La giornata è fredda e piovosa. A rendere omaggio al Principe di Napoli ci sono rappresentanti dell’ aristocrazia e del bel mondo, e ovviamente reali come il Principe sovrano Alberto II di Monaco, il nipote Serge di Jugoslavia e Carlo di Borbone, oltre che l’ ex Regina di Spagna Sofia. Presenti anche l’ Arciduca Martino di Asburgo Lorena, il Ganduca George di Russia e Fuad d’ Egitto come rappresentante della famiglia reale egiziana. Non c’ erano rappresentanti della famiglia reale britannica, che comunque ha inviato una calorosa lettera di condoglianze. Assenti per motivi di salute le sorelle del defunto, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Vi sono inoltre le delegazioni delle Guardie d’ Onore del Pantheon, un’ associazione sorta nel 1878 per prestare il servizio di guardia alle tombe dei monarchi italiani presso il Pantheon e mantenere viva la memoria legata a Casa Savoia, al Risorgimento e alle tradizioni militari nazionali. Sono invece assenti le istituzioni, dal Presidente della Regione Piemonte al sindaco di Torino. Giacomo Ramella Pralungo scuote il capo, fermamente contrario alla grande mancanza di rappresentanti dello Stato: «Il solo esponente dell’ attuale governo ad essersi presentato ieri alla camera ardente a Venaria è stato il Presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha reso omaggio al feretro e si è stretto in un abbraccio con il figlio Emanuele Filiberto prima di salutare il resto della Famiglia, dicendo di essere venuto in visita sia pubblica che privata e che ci sono luci e ombre, che non bisogna dimenticare che grazie ai Savoia c’ è stata l’ unità d’ Italia. I dignitari della Repubblica già disertarono il funerale di Re Umberto II all’ abbazia di Hautecombe, nella Savoia francese di cui la Famiglia Reale è originaria, con la sola eccezione di Maurizio Moreno, console generale d’ Italia a Lione: con la loro latitanza, i vertici dello Stato mandano un messaggio di presa di distanza dal nostro passato e dalla storia italiana, come se gli ottantacinque anni di Monarchia non fossero mai trascorsi. I francesi hanno avuto due Monarchie, due Imperi e cinque Repubbliche eppure hanno preservato una forte continuità storica e istituzionale: li considero un grande esempio da cui dovremmo imparare la giusta lezione!».

Lo scrittore monarchico si guarda un po’ intorno, poi riprende a parlare con tono basso, ma fermo: «Sono sempre stato monarchico, e da quando avevo vent’ anni mi sono avvicinato ai Savoia Aosta poiché credo che anche dopo la proclamazione della Repubblica questo particolare ramo della Dinastia abbia portato avanti degnamente la tradizione della Monarchia, con precisione e costanza. Sua Altezza Reale il Duca Amedeo, venuto a mancare nel 2021 e che stimavo grandemente, e Suo figlio Aimone, che il 4 giugno 2022 incontrai a Superga per la messa in suffragio del Padre, hanno sempre denotato intelligenza, garbo, misura, modestia e preparazione e io Li reputo pienamente all’ altezza di portare la Corona italiana. Il Principe Vittorio Emanuele ha invece avuto una filosofia di vita più discutibile, poco prudente per la Sua posizione, tuttavia al di là delle cronache giudiziarie e degli scandali, nonché della disputa dinastica con gli Aosta, rimaneva il figlio del Re, il grande Umberto II, e l’ ultimo Principe ereditario del Regno d’ Italia. Come tale, io l’ ho sempre sinceramente rispettato e credo che oggi si debba andare oltre le polemiche, dinastiche o politiche che siano.».

Giacomo Ramella Pralungo;


Gli chiediamo quanto sia importante per lui essere qui oggi, lui contempla le molte persone presenti e sorride riflettendo bene e valutando con cura le parole: «Ha la sua importanza, certamente. Alle mie orecchie sono giunti molti commenti critici mossi in nome della Repubblica e dell’ antifascismo su questi funerali qui a Torino, che storicamente è stata culla della Casa Reale tanto che la Diocesi ha accolto la Sua richiesta non soltanto perché un funerale non si nega a nessuno, ma ricordando che è un momento di preghiera, non uno strumento per giudicare le persone, soprattutto in modo politico. Tutta questa asprezza mi ricorda quanto sappiamo essere settari e poco precisi noi italiani: ricordiamoci che il Principe era una persona che ha scontato senza colpe un vero e proprio ‘reato di cognome’, pagando al posto di altri e venendo sempre chiamato a scusarsi per l’ operato di Suo nonno, Re Vittorio Emanuele III. I Savoia sono stati usati come capro espiatorio di quanto ha fatto il Fascismo, e ciò che gli antimonarchici ovviamente omettono è che un Sovrano costituzionale, come allora fu Re Vittorio Emanuele, era tenuto secondo la Costituzione vigente a convalidare l’ operato del Suo governo, che per quanto dittatoriale procedeva secondo l’ iter procedurale in vigore. Anche quando si impose nel 1922 portò avanti un misto tra pressioni e rispetto formale della legge. Era il Parlamento ad avere il potere di opporre un veto, dando al Re la possibilità di procedere con la deposizione del Duce, ma ciò non avvenne fino al 25 luglio 1943. Vittorio Emanuele III avrebbe potuto abdicare e salvare il proprio buon nome manifestando chiaramente il proprio dissenso, ma i fascisti avrebbero instaurato una Repubblica di cui avrebbero avuto pieno controllo, agendo finalmente con totale libertà, cosa che in effetti avvenne con la Repubblica Sociale nel 1943, sebbene fosse uno Stato fantoccio nelle mani del Terzo Reich.». Dopo qualche istante di riflessione, aggiunge: «Tornando al Principe, la Sua figura era nota soprattutto per le cronache giudiziarie fin dagli Anni Settanta, quando venne indagato per traffico internazionale di armi in alcuni Paesi mediorientali che erano sotto embargo quando era intermediario per conto della Agusta S.p.A., e per il ferimento mortale del giovane Dirk Hamer nel 1978 all’ isola di Cavallo, in Corsica, per poi essere protagonista nel 2006 dell’ inchiesta Vallettopoli, in cui fu imputato per corruzione, concussione, gioco, falso e sfruttamento della prostituzione, tutte accuse da cui fu assolto mentre sul piano più personale fece vari scivoloni in occasione di determinate interviste rilasciate negli anni precedenti al ritorno in Italia. Eppure stato l’ ultimo pretendente al Trono d’ Italia e io sono qui per rispetto verso l’ istituzione della Monarchia e in ricordo della nostra storia. Come Sua Altezza Reale il Duca Aimone ha così bene espresso nel Suo messaggio alla Famiglia, con la morte di Vittorio Emanuele, così come avvenuto per quella di Suo padre Amedeo, si è chiuso un capitolo della storia sia d’ Italia che della Famiglia Reale.».

Nato a Napoli nel 1937 dagli allora Principi di Piemonte, Umberto e Maria José del Belgio, Vittorio Emanuele fu proclamato alla nascita «principe dell’ Impero» e, secondo fonti diplomatiche britanniche, nel 1938 la madre si sarebbe accordata con il gerarca fascista Rodolfo Graziani e il capo della polizia Arturo Bocchini per tentare un colpo di Stato a opera di alcuni reparti delle forze armate, con Pietro Badoglio come comandante in capo, in un’ azione che sostituisse Benito Mussolini con un «avvocato milanese antifascista», probabilmente Carlo Aphel, e che costringesse Re Vittorio Emanuele III ad abdicare in favore di Umberto, a sua volta concorde con la moglie per rinunciare subito al trono in favore del piccolo Vittorio Emanuele: la stessa Maria José sarebbe stata nominata reggente del Regno in deroga allo Statuto Albertino, fino al compimento dei ventuno anni del giovanissimo sovrano. Questo piano, che coinvolgeva anche Italo Balbo, Galeazzo Ciano, antitedesco e ambizioso genero del Duce, tuttavia non andò oltre un incontro preliminare al castello di Racconigi e alcune riunioni a Milano, e trapelò solo molti anni dopo. Vittorio Emanuele continuò la sua vita normalmente, secondo i canoni di un erede al trono, e nel 1946, a seguito del referendum istituzionale del 2 giugno che vide l’ avvento della Repubblica, seguì Re Umberto II suo padre che lasciò volontariamente l’ Italia per evitare che gli scontri tra monarchici e repubblicani sfociassero nella guerra civile, venendosi però sbarrare la via del ritorno da un esilio sancito Tredicesima Disposizione Transitoria e finale della Costituzione della Repubblica. Dopo alcuni anni trascorsi in Portogallo, a Cascais, si trasferì in Svizzera con la madre, allontanatasi dal padre a cui era unita da un matrimonio combinato e infelice. Svolse l’ attività di intermediario finanziario, stringendo amicizie e legami d’ affari con grandi industriali, in particolare la famiglia Agusta. Nel 1972 sposò Marina Doria, contrariamente al parere del padre che gli negò il cosiddetto Regio assenso, il consenso formale necessario secondo le leggi dinastiche che i Savoia avevano adottato a fine Settecento, e secondo molti monarchici ciò gli avrebbe precluso il rango di erede dinastico automaticamente a vantaggio del cugino Amedeo di Aosta e dei suoi eredi, con cui nei decenni successivi fu in rotta. Nel 2002, quando venne abolita la norma costituzionale che obbligava gli ex sovrani, le loro consorti e i discendenti maschi all’ esilio, tornò in Italia dopo cinquantasette anni, e con un comunicato emesso da Ginevra dichiarò di accettare la fine della Monarchia.

Il Principe Vittorio Emanuele di Savoia;


«Negli anni, il Principe è stato una figura controversa, basti pensare alle risposte poco meditate ai giornalisti a domande relative alle leggi razziali firmate dal Re Suo nonno nel 1938 o sulla Sua disponibilità a giurare fedeltà alla Repubblica per tornare in Italia.» racconta l’ autore «Ma per mezzo degli ordini dinastici ha anche portato avanti opere benefiche verso i più poveri e i meno abbienti in Italia e nel mondo, e si è impegnato per la memoria della Sua Casa. Inoltre, va precisato che visse un esilio ingiusto, un bando incomprensibile e di mentalità medievale se pensiamo che nel 1946 aveva solo nove anni e mai aveva rivestito ruoli istituzionali in base ai quali potesse essere valutato. Oltre che su tutto ciò, io ho sempre riflettuto molto sul fatto che i figli e i nipoti di Benito Mussolini, a cui nessuno ha mai giustamente domandato di scusarsi per le sue azioni quali l’ instaurazione della dittatura, la promulgazione delle leggi razziali e l’ intervento in guerra a fianco della Germania con tutto ciò che purtroppo ne conseguì, hanno sempre vissuto tranquillamente in Italia, e Alessandra ha persino avuto un seggio nel Parlamento della Repubblica antifascista! Sono due pesi e due misure, è più che evidente...».

Giacomo dà un’ occhiata alle persone intorno a sé, dicendo di aver chiacchierato con molti di loro e di essere rimasto soddisfatto: «Vi sono alcuni monarchici, repubblicani e semplici curiosi, e tutti quanti, ma proprio tutti, hanno detto di essere qui per rispetto e fatto commenti concilianti, poiché Vittorio Emanuele era estraneo a molto di ciò che si è detto e che Torino per circa mille anni è stata culla della Sua Casa. Superga pertanto è la tomba della Sua famiglia. Il popolo ha dimostrato più saggezza dei politici della Repubblica e dei mezzi di comunicazione, indipendentemente dalle preferenze individuali.». Il feretro del Principe, recante la bandiera con lo scudo sabaudo, viene fatto uscire, e l’ autore di fantascienza e storia aggiunge: «Vittorio Emanuele non è mai stato Re, un militare, un diplomatico o altro. Dissento con certe sue posizioni e dichiarazioni, nonché con il Suo stile di vita più da uomo mondano che da aristocratico in senso stretto. Non ha lasciato un segno nella storia italiana e della Sua Casa, tuttavia apparteneva ad una stirpe che ha vissuto una parte molto importante della nostra storia, partendo dall’ anno 1000 fino al 1946. Tanto per fare un esempio, i Savoia furono protagonisti dell’ unità d’ Italia ponendosi sullo stesso piano delle altre Case Reali d’ Europa. Se la Monarchia fosse rimasta in vigore dopo il referendum, con l’ educazione tipica di un erede al Trono sarebbe un giorno divenuto un Re adeguatamente preparato al compito, ma così non fu e ora nel mio cuore sento che tocca al Duca Aimone e ai Suoi giovani eredi proseguire con la tradizione, e chissà che con un po’ di fortuna...».

2 commenti:

  1. Carissimo, da buon monarchico fai bene il tuo dovere. In merito all'assenza dello stato italiano che, mi permetto di ricordarti, è una Repubblica, la presenza della SECONDA AUTORITA' DELLO STATO, il Presidente del Senato, ancorché in veste privata, vada considerata.

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  2. Mio caro amico, la ringrazio per il suo intervento. Sì, apprezzo la presenza di Ignazio La Russa, è stata molto importante. La ringrazio ancora.

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