Un
giovane scrittore di fantascienza e articoli storici, incuriosito dalla
filosofia buddhista, in una nuvolosa giornata d’ inverno incontrò un lama
buddhista di scuola tibetana: tra i due nacque una cordiale e simpatica
amicizia che dura tuttora.
Appassionato
di storia e culture antiche, scrittore di narrativa fantascientifica e dedito
alla spiritualità, slegata dalla religione in senso stretto, dal 2009 Giacomo
Ramella Pralungo è in amichevoli rapporti con lama Paljin
Tulku Rinpoce, monaco buddhista di tradizione tibetana, discepolo di vari lama
e ghesce fuggiti dal Tibet, gradualmente occupato dalla Repubblica Popolare Cinese
durante gli Anni Cinquanta e trasformato in una regione dell’ immenso Paese
comunista.
«Le filosofie orientali mi hanno sempre
molto attratto.»
spiega Giacomo dopo aver messo da parte la penna con cui lavorava ad alcuni
appunti «E il Buddhismo mi ha molto incuriosito a proposito della questione
della sofferenza e su come risolverla. Nel 2006 mi avvicinai molto a questa
particolare filosofia, ed ero alla ricerca di qualche maestro con cui dialogare
e approfondire la mia conoscenza in proposito.».
Qualche
tempo dopo venne a sapere del monastero Samten Ling, un piccolo centro situato nel
paese di Graglia, sulle Alpi Biellesi, a pochi chilometri da casa sua. Fece
alcune ricerche, e scoprì che era stato fondato nel 1991 da lama Paljin Tulku
Rinpoce, unico lama italiano, e negli anni era diventato un importante punto di
riferimento per moltissimi praticanti di Buddhismo:
«La
vita stessa di questo lama mi impressionò molto: nato ad Addis Abeba nel 1941
da genitori torinesi, lasciò la colonia con la famiglia ad appena un anno. Diplomato in mercatologia alla LUISS, si laureò all’ Istituto Superiore di Scienze Umane e Sociali di Urbino, lavorando come dirigente d’ azienda. Nel 1978, quando si recò per lavoro a Kathmandu, incontrò per la prima
volta alcuni monaci tibetani, fatto che lo portò a maturare per la prima volta
un profondo interesse per il Buddhismo, tanto da intraprendere una ricerca
spirituale che nel 1982 lo portò a divenire discepolo di alcuni grandi lama e a
farsi monaco lui stesso.».
Lama
Paljin ricevette insegnamenti e iniziazioni da lama di due scuole diverse,
ossia la Gelug, a qui appartiene il XIV Dalai Lama, e la Kagyu, di cui fa parte
il XVII Karmapa. Nel 1985, in Svizzera, gli fu trasmessa l’ iniziazione di
Kalachakra dal Dalai Lama, e da quel momento segue frequentemente i suoi
insegnamenti in Europa e in India, mentre nel 1995 si recò in Ladakh, una
regione dell’ India settentrionale ai piedi dell’ Himalaya, strettamente legata
al Tibet, ove fu riconosciuto come la reincarnazione di un insigne lama vissuto
intorno al 1600 e che contribuì a diffondere il Buddhismo in tale zona, in una
cerimonia svoltasi alla presenza di centottanta monaci e numerosi laici. Da allora cessò l’ attività professionale per dedicarsi esclusivamente alla pratica e all’ insegnamento del Buddhismo.
«Riflettei a lungo
sulla possibilità di incontrarlo, finalmente presi un appuntamento e lo conobbi
nel gennaio 2009.» ricorda Giacomo «Ero veramente curioso, e partecipai
al termine della lezione che teneva ai suoi allievi: il suo modo di insegnare,
semplice e diretto, e il suo entusiasmo sincero mi colpirono molto
favorevolmente.».
Si
era aspettato di incontrare una guida spirituale pacata e distaccata, solenne e
seria, ma il lama, allora sessantottenne, lo impressionò molto soprattutto con
la sua sorridente gentilezza, oltre che con la sua naturalezza e cordialità,
con il suo quieto ottimismo e l’ accoglienza gentile e sincera. Durante il loro
primo incontro parlarono sia di Buddhismo che della sua esperienza decennale
come monaco e lama:
«Mi disse che buona
parte della vita del Buddha era avvolta nella leggenda, proprio come in seguito
sarebbe toccato a Gesù, e che i suoi quarantacinque anni di insegnamento, in
tutta evidenza, erano un tempo troppo ridotto perché avesse potuto
effettivamente trasmettere tutto ciò che gli era stato attribuito dalle
successive generazioni di maestri buddhisti. In ogni caso, la sua dottrina si
basa sulla rettitudine di pensiero, parola e azione: vivere le esperienze senza
attaccamento non vuol dire rimanersene inerti di fronte ai fatti dell’
esistenza, ma imparare ad affrontare le cose con un atteggiamento mentale
equilibrato, basato cioè sulla moderazione, evitando gli eccessi.».
Il
lama era facilmente riuscito a creare un clima disteso e cordiale, molto
personale, nel quale ebbe a dire che tutto muta costantemente, quindi pensare
che la vita sia monotona e sempre uguale sarebbe piuttosto superficiale:
«Se
osservassimo a fondo le nostre giornate, scopriremmo che tutto in noi è in
continuo cambiamento: non solo gli abiti o le abitudini, ma anche l’ atteggiamento
mentale nei confronti di cose e persone. Tutto quanto si modifica da un momento
all’ altro: questi sono i segni evidenti e inarrestabili del divenire.».
Da
allora il giovane scrittore e il lama rimasero amici, scambiandosi negli anni
varie lettere via posta elettronica. Giacomo tornò più volte a visitarlo:
«La
figura di questo italiano che, affascinato dal Buddhismo tibetano, volle farsi
monaco e intraprendere il duro e intenso percorso per divenire lama, mi ha davvero
affascinato. Passare da una cultura a un’ altra non è certo una cosa semplice,
e il più delle volte viene persino scoraggiata. Benché abbia vissuto per molti
anni a stretto contatto con i tibetani in Oriente, nel loro remoto ambiente
tradizionale, non ha perduto un briciolo della sua mentalità occidentale: ha
fede nel Buddhismo ma non ha acquisito la superstizione tipica dei tibetani,
rispetta i suoi maestri ma ha sempre riflettuto molto sull’ insegnamento che
gli hanno trasmesso, officia i rituali sfarzosi e complessi tipici del
Buddhismo tibetano ma vive e diffonde tale filosofia come uno strumento pratico
di risveglio interiore ed evoluzione sociale.».
Giacomo
si sente notoriamente più vicino alla spiritualità che alla religione, convinto
com’ è che la prima punti direttamente e concretamente alla cura dello spirito
che ogni essere vivente ha in sé, indipendentemente dalla religiosità o da
qualsivoglia altra differenza, mentre l’ altra impone di seguire una credenza o
una serie di rituali e preghiere, tutti elementi che presentano un certo freno
al percorso interiore in quanto limitano il libero arbitrio. Conversando con
lama Paljin si è sempre trovato molto a suo agio, dal momento che durante i
loro incontri hanno essenzialmente parlato di natura umana, compassione e
saggezza, virtù morali ed esperienza quotidiana, importanti concetti universali
che vanno ben oltre le religioni, essendo legati propriamente all’ essere umano:
«Non ha mai tentato di impormi alcun
principio, si è sempre limitato a esporre opinioni maturate nel corso della sua
esperienza concreta. Una volta, durante una delle nostre conversazioni, mi
disse che solo l’ esperienza interiore può ricondurci alla grandezza dell’ universo
e metterci in condizione di cambiare, di crescere: quando tutti i livelli di
coscienza si fondono al centro del nostro cuore, avviene il risveglio.».
Il
lama aggiunse che nel Buddhismo la fede è un atteggiamento di fiducia che porta
a credere in ciò che convince, anziché in qualcosa posto al di sopra di noi: «Continua
a provare finché non avrai la dimostrazione che ciò che fai è giusto, e credi
solo quando otterrai un risultato. In Tibet, gli insegnamenti trasmessi dai maestri
hanno proprio la funzione di darci la possibilità di attingere a un risultato:
è esattamente quel che ci spinge a perseverare nella pratica.».
Altro
aspetto su cui tenne a esprimersi fu il valore della pace, dell’ altruismo e della
compassione:
«Nel
Buddismo, i rapporti umani dovrebbero poggiare su questi tre principi
fondamentali, legati a un sentire che non può essere prodotto artificiosamente,
ma che nasce spontaneamente in chi ritiene che la soluzione dei problemi del
mondo non si trovi in un comportamento egoistico. Queste sono le risposte
buddhiste alla ricerca di serenità che soprattutto oggi orienta gli uomini alle
religioni: la pace deve nascere da un equilibrato atteggiamento mentale, l’ altruismo
deve far comprendere come le cose che portano benessere a noi possono portarlo
a tutti gli uomini, e la compassione significa ‘fare di tutto perché gli altri
possano essere felici’. Il Buddhismo non è nichilismo, ma azione, quindi l’ uomo
non deve affacciarsi timidamente su questa soglia, ma attraversarla con
risolutezza per dar vita a un futuro migliore.».
Giacomo
e lama Paljin sono tuttora amici, e tra gli argomenti principali delle loro
conversazioni, oltre alla spiritualità, spiccano la situazione politica e
culturale del Tibet, il XIV Dalai Lama e la diffusione del Buddhismo in
Occidente.
Il Samten Ling di Graglia; |
«Quando
ci incontrammo la seconda volta, lama Paljin mi disse una cosa che, come
scrittore, mi toccò davvero di persona.» rammenta Giacomo poggiandosi sullo
schienale della sedia, sorridendo «Affermò che le parole non esistono di per sé,
ma le creiamo per esprimerci e intendere l’ infinito. In effetti, per me le parole
sono sempre state uno strumento per comunicare quel che sento e penso, per
trasmettere un preciso messaggio…».
Interessantissimo! Non avrei mai pensato che nel nostro paese potesse esistere un monastero Buddhista.
RispondiEliminaSpesso le cose migliori passano inosservate, mio caro amico. Io stesso sapevo di un centro di qualche genere a Graglia ma me ne sono interessato solo dopo che mi sono avvicinato al Buddhismo.
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