martedì 7 aprile 2020

«Credo che ci sia una lezione da trarre dal COVID-19»



Fin dall’ origine dei tempi, sono sempre serviti eventi drammatici per scuotere la gente dall’ apatia e invitarla a riflettere sulla caducità di tutte le cose e la fragilità della natura, quella umana compresa. Il 2020 non è un anno che ricorderemo con particolare piacere, direi piuttosto che si è rivelato un annus horribilis in piena regola. In questi ultimi mesi abbiamo assistito in tutto il mondo alla travolgente drammaticità della pandemia di COVID-19. Una malattia dall’ origine nebulosa e poco limpida, che molto opportunamente ci è stata tenuta nascosta, un’ epidemia che ben presto si è mossa portandosi via tante vite, finendo con il gettarci tutti in una cupa atmosfera di panico, incertezza ed isolamento preventivo. Ognuno di noi cerca, a modo proprio, di affrontare la vicenda. Soprattutto ora che la crisi è ancora in pieno svolgimento ed ha effetti non solo in ambito sanitario ma anche in quello psicologico, politico e finanziario, non è certamente facile parlarne e giungere ad un giudizio veramente corretto. Sicuramente, le prime sensazioni sono di turbamento, incredulità, incomprensione, ira e preoccupazione. Noi tutti, io compreso, stiamo provando tali emozioni in questi ultime settimane, quindi ciò che vi dico ora, in quanto persona normale, viene dal profondo della mia coscienza.

Mi rivolgo a voi in un tempo di crescente difficoltà. Un tempo di sconvolgimento nella vita del mondo intero che ha portato dolore, problemi economici ed enormi cambiamenti nella vita quotidiana di tutti. Un tempo scandito da una battaglia dura e penosa da combattere restando a casa, e che senz’ altro muterà il nostro modo di vivere. Innanzitutto tutto voglio precisare di essermi categoricamente rifiutato fin dall’ inizio di esporre il Tricolore e di cantare dalla finestra il Canto degli Italiani, non perché non amo la mia Patria ma perché le malattie non fanno sconti e hanno sempre il potere di andare oltre i confini nazionali e le differenze culturali che, occorre ricordarlo ancora una volta, esistono solo nella nostra mente: sono fermamente convinto che in un momento come questo si debba ragionare come una sola umanità, un unico genere! Detto questo, vorrei rendere io stesso omaggio al duro lavoro dei medici, degli infermieri del servizio sanitario e di tutti i volontari che stanno assistendo il prossimo. Il personale sanitario in particolare è chiamato ad un lavoro ai limiti delle sue doti e capacità, e come mai prima si è reso urgente ascoltare quelle persone competenti che, da differenti contesti, si stanno pronunciando nel fondamentale ambito della prevenzione: per quanto possibile, evitare un problema è molto meglio che dovervi fare i conti una volta che si è manifestato nella sua complessità. Io ho sempre profondamente ammirato dottori e paramedici per la loro energia e l’ impegno verso i pazienti e l’ unicità e irripetibilità di ogni persona, e ricordo di aver costantemente avuto una stima tutta particolare per il mondo della scienza, perché la nostra attuale qualità e speranza di vita, tra vaccini, interventi chirurgici e di altra natura, cure e così avanti, si basano proprio sulle magnifiche conquiste scientifiche.
Pertanto, ora mi si permetta cordialmente di biasimare la nostra «brava» classe politica, di tutti gli schieramenti che negli anni si sono avvicendati alla guida della nostra Nazione, a proposito dei vasti e numerosi tagli finanziari che ha imposto alla ricerca e alla consueta attività scientifica e medica: se scienziati, medici e personale infermieristico avessero avuto fin dal principio tutto ciò che risulta alla base del loro operato, sarebbero stati certamente in condizione di svolgere in modo ideale il proprio mestiere proteggendo le persone fragili e risparmiando a molte famiglie i ben noti lutti da cui invece sono state colpite, a cui si è aggiunto lo strazio di non poter rivedere mai più i defunti e neppure di poterli accompagnare nell’ estremo onore. Se anziché trastullarsi in lussi e privilegi degni soltanto della residenza reale di Versailles al tempo del Re Sole, i nostri ottimati avessero assicurato tali finanziamenti alla sanità, oggi il disastro sarebbe stato meno totale! E ora che il genocidio è in corso trovo assolutamente ridicolo volgersi al cielo su invito delle guide spirituali, quelle vaticane in testa, per invocare l’ aiuto di dei e angeli soprattutto ora che ci avviciniamo ad una nota e sentita ricorrenza quale la Pasqua! Il ricordo del Medioevo, ricco come fu di episodi di superstizione e follia mistica, a questo proposito può parlare benissimo al posto mio.

Sempre più spesso mi domando in quale modo le future generazioni giudicheranno gli eventi di quest’ anno tumultuoso. Oserei dire che la storia avrà una visione un po’ più assennata rispetto a quella di alcuni nostri commentatori contemporanei, e arricchirà il nostro giudizio con quella dimensione di saggezza e credibilità che spesso manca in coloro il cui compito è offrire pareri al pubblico sulle cose importanti del mondo. Nessuna istituzione, neppure la politica, può e deve sottrarsi allo scrutinio di coloro che si è impegnata a servire. Io, per parte mia, credo fermamente che ci sia una precisa lezione da trarre dal COVID-19 e dalle epocali conseguenze del suo passaggio in mezzo a noi. Questa virulenza sta infatti smascherando limiti e manchevolezze nel sistema politico ed economico sia nazionale che internazionale, per esempio gettando l’ uno contro l’ altro come lupi affamati svariati Paesi del Vecchio continente e le maggiori potenze occidentali e orientali, le cui borse valori peraltro non sono mai state chiuse dando luogo a un animato terremoto finanziario. Ha confermato ancora una volta quanto i mezzi di comunicazione di massa abbiano tradito il loro obiettivo fondamentale, ossia informare la gente e guidarla fino alla sponda della conoscenza e, soprattutto, della consapevolezza, mettendosi al servizio dei meschini interessi di un particolare schieramento politico o addirittura ideologico. Come diceva il grande Giampaolo Pansa, che ho sempre molto ammirato, il giornalismo si è tramutato in carta straccia.
Questa pandemia ci ha condotto ad un bivio epocale, e la strada che abbiamo intrapreso pare proprio quella di un ulteriore restringimento delle nostre libertà e del crescente individualismo. Il timore che il prossimo possa essere un untore può risultare devastante per il costituirsi di una consapevolezza in cui la realtà va necessariamente declinata con il «noi» e non l’ «io». Fin dagli Anni Settanta siamo soggetti ad un modello economico neoliberista che, proprio come un virus, è diventato una pandemia: dopo il «Trentennio glorioso» di matrice keynesiana, in cui gli Stati svolgevano un ruolo preponderante, l’ elezione di Margareth Thatcher a Primo ministro britannico e quella di Ronald Reagan a Presidente degli Stati Uniti, tale modello si è rapidamente propagato, e con la caduta del Muro di Berlino si è diffuso ovunque, mutandosi in un modello sociale in cui empatia, solidarietà e senso di comunità hanno fatto posto a quell’ individualismo sfrenato e funzionale al fine di renderci tutti consumatori obbedienti. Del resto, la stessa Lady di Ferro fu piuttosto chiara quando disse: «La società non esiste, esistono solo gli individui.». Un ulteriore pericolo è la militarizzazione della società a cui stiamo assistendo: io di certo non dimenticherò mai le immagini relative alle bare di Bergamo mentre venivano portate via dall’ esercito, in quanto monito della forzata segregazione e l’ inevitabile distanza sociale che, temo, anticiperanno scenari a cui non siamo abituati e che inevitabilmente faranno maturare cambiamenti personali e collettivi in senso distopico. Il COVID-19 verrà sconfitto, io l’ ho sempre pensato, ma ciò che dovrebbe inquietare davvero è lo strascico che tale esperienza globale lascerà su di noi e come queste nuove paure potranno essere usate per limitare ancor di più le nostre libertà e i nostri pensieri, nella miglior tradizione dittatoriale. E’ dalla Seconda Guerra Mondiale che il mondo non viveva una condizione di tale portata.
Ormai è evidente a tutti quanto la politica sia debole, un luogo caotico in cui una moltitudine di delegati discute all’ infinito senza giungere a nulla, tenendo in piedi un groviglio di leggi inestricabile ed inadeguato mentre la corruzione dilaga e gli interessi sia settari che economici hanno precedenza su tutto. E le corti giudiziarie impiegano ancora più tempo per risolvere le cause di cui si occupano, barcamenandosi tra cavilli e interpretazioni personali con cui negano alla giustizia il corso che le è dovuto. No, così proprio non va: la politica, come gli antichi greci tanto sapientemente affermavano, significa «arte del buon governo», pertanto ora ha l’ irrinunciabile compito di concepire e attuare una nuova visione, di insegnare che questo agente patogeno non ci deve dividere ma unire, di ricordare che siamo tutti quanti legati. Esiste una rete invisibile che ci connette reciprocamente, così come il mondo è connesso all’ universo, e solo insieme potremo vincere la difficoltà: questa è la vera politica!

Se è vero, come abitualmente si dice, che l’ umano si distingue dal resto della famiglia animale per intelligenza, disciplina, cortese determinazione e comprensione vicendevole allora credo proprio che dovremmo finalmente cominciare a fare uso di queste qualità. Ogni crisi, pur essendo di per sé un problema, curiosamente consente l’ indubbia opportunità di disfarsi delle sue cause, apportando un miglioramento. Sia come singoli che come popolazione abbiamo quindi il dovere di trarre forza da ciò che sta succedendo, cercando sollievo al dolore e preparandoci ad affrontare attivamente il futuro, cambiando intelligentemente la pericolosa rotta precedentemente intrapresa, come già venne fatto dalle passate generazioni che vissero in tempi di carestie, malattie e guerre. Essendo già sopravvissuti ad altre pandemie, anche più gravi di questa, sono assolutamente convinto che prevarremo pure questa volta, e che la vittoria apparterrà a ciascuno di noi. Ma il superamento del COVID-19 sarà solo una parte della battaglia: dopo, infatti, ci attenderà la realizzazione di un futuro migliore sia del passato che del presente. Andrà tutto bene? E’ auspicabile. Tornerà tutto come prima? Sarebbe un errore madornale, la conferma che non abbiamo imparato nulla dalle vicende passate, e comunque non lo ritengo neppure possibile perché ogni cosa muta in continuazione: nulla rimane mai lo stesso, neppure le montagne, nonostante l’ apparenza. Mi auguro vivamente, quindi, che nei prossimi anni potremo tutti guardarci indietro dopo aver intuito il significato della grande esperienza affrontata in risposta a questa sfida, e che chi verrà dopo di noi, pur ammirando i nostri sforzi, sappia evitare i nostri fallimenti.

Spero davvero che ognuno di noi, ovunque sia, mostri apertamente che cosa significhi essere umani. Possano i malati guarire velocemente e i morti riposare in pace, e che ciascuno di noi tragga la lezione che più reputa opportuna da tutto questo dramma, confortandosi ricordando che giorni migliori torneranno, che un giorno saremo di nuovo con le nostre famiglie e i nostri amici.

Giacomo Ramella Pralungo

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