L’
esercito russo ha invaso l’ Ucraina la notte tra il 23 e 24 febbraio scorso. Da
allora si sono susseguite reazioni di solidarietà al Paese dell’ Europa
orientale e di severo sdegno verso la Russia, tra sanzioni economiche e aiuti
militari all’ Ucraina. Questa crisi politica, diplomatica, militare ed
economica preoccupa molto Giacomo Ramella Pralungo, autore di narrativa e di
articoli storici e culturali, che ha desiderato trasmettere un messaggio in cui
espone la propria panoramica su quanto sta accadendo.
Occhieppo
Superiore, 2 marzo 2022;
Per
capire quello che sta succedendo in queste ore occorre partire da molto
lontano: l’ identità russa, infatti, ebbe origine attorno a Kiev, e non nei
pressi di Mosca o San Pietroburgo. Le popolazioni Rus si aggregarono verso l’ anno
1000 nei territori che sono oggi in Ucraina orientale, in opposizione fin da
allora a un regime polacco-lituano che comprendeva Leopoli, conquistata nel
1349 da Casimiro il Grande, Re di Polonia. Come ha detto nei giorni scorsi lo
stimato professor Alessandro Barbero: «Non c’ è mai stato alcun dubbio che l’ identità
russa, il popolo russo, la cultura russa nascono nella Rus di Kiev.». Più
tardi, questi protorussi convertiti al Cristianesimo ortodosso si espansero
verso nord e il centro di gravità si spostò verso Mosca mentre l’ Ucraina divenne
gradualmente la periferia dell’ Impero russo, consolidato da Ivan il Terribile
che per primo assunse il titolo di Zar di tutte le Russie. Mosca e Kiev rimasero
però inseparabili, dal punto di vista religioso, politico ed economico: l’
Ucraina si confermò come il granaio della Russia, e oggi lo è anche dell’
Europa se pensiamo che i produttori di pasta italiani in questi giorni si sono
lamentati per il blocco delle forniture causato dall’ invasione.
Leopoli fu invece per secoli parte dell’ Impero austriaco e quindi cattolica: i confini attuali dell’ Ucraina vennero tracciati alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con la sconfitta del Nazismo e l’ espansione verso ovest dell’ Unione Sovietica, mossa che faceva parte dell’ ossessione per la sicurezza di tutti i regimi politici di Mosca, dagli Zar a Stalin e da Krusciov a Putin. Per sua sfortuna, l’ Ucraina è estesa, andando da Luhansk nel Donbass a Leopoli, presso il confine polacco, milleduecento chilometri più in là. La conseguenza inevitabile è che Leopoli gravita verso la cattolica Polonia e l’ Europa occidentale, mentre Luhansk è ortodossa, parla russo e guarda verso Mosca. Sono le radici di un nazionalismo ucraino e di un nazionalismo russo che si sono combattuti sotterraneamente ma cruentemente per tutto il Novecento, come negli anni Trenta, quando in Ucraina ci fu una terribile carestia, con milioni di morti, ricordata oggigiorno come un genocidio deliberatamente attuato da Stalin. Negli stessi anni, Stepan Bandera, nazionalista ucraino, organizzò l’ assassinio del Ministro degli Interni polacco nel 1934, e nel 1941 si mise al servizio dei nazisti quando Hitler invase l’ Unione Sovietica. Dopo la guerra, movimenti separatisti di guerriglia rimasero attivi in Ucraina orientale per molti anni, mentre nel 1991, al momento della dissoluzione dell’ Unione Sovietica, il Presidente degli Stati Uniti Bush e il Cancelliere tedesco Kohl erano preoccupatissimi della possibilità di una superpotenza dotata di armi nucleari frammentata in undici Stati indipendenti in preda al caos politico e spesso ostili fra loro, come Armenia e Azerbaigian. Quindi Stati Uniti e Germania trattarono diplomaticamente per bilanciare la potenza militare propria e quella della Russia, allora presieduta dal filooccidentale Boris Eltsin, e promisero di non espandere verso Oriente la NATO, organizzazione militare creata nel 1949 per contrapporsi alla potenza sovietica. Se un calcolo va fatto, la stessa NATO, essendo stata concepita in funzione difensive contro uno Stato che non esisteva più, si sarebbe dovuta estinguere a sua volta, ma questo non accadde e, al contrario, fece rapidamente aderire le tre repubbliche baltiche Estonia, Lettonia e Lituania, oltre alla Polonia. Nonostante gli ammonimenti del diplomatico e storico George Kennan, gli Stati Uniti cercarono di coinvolgere anche Georgia e Ucraina, Stati di confine che la Russia non poteva accettare come avamposti di potenze straniere. La situazione rimase fluida finché queste due repubbliche conservarono governi più o meno amici di Mosca, ma era destinata a precipitare quando a Kiev e a Tbilisi arrivarono regimi antirussi, sull’ onda di una rivoluzione popolare come accadde nel 2014 in Ucraina. Da allora, a Kiev si sono succeduti vari governi di breve durata, in genere legati agli oligarchi che si erano spartiti le ricchezze sovietiche al momento del crollo del Comunismo, mentre a Mosca si consolidava il potentato di Vladimir Putin. Forse una soluzione diplomatica si sarebbe potuta trovare sulla base di una neutralizzazione dell’ Ucraina, come proposto recentemente dall’ ex ambasciatore italiano a Mosca Sergio Romano, ma nessuno si fidava di nessuno e dalle parole si è passati alle armi.
Ora
rimangono solo il sibilo dei missili e le sofferenze delle popolazioni. La
motivazione ufficiale di questo conflitto è la protezione degli ucraini filorussi,
suddivisi in due zone dell’ Ucraina autoproclamatesi repubbliche indipendenti
di Donetsk e Lugansk, e la smilitarizzazione del Paese che Putin vorrebbe
neutrale e fuori dall’ orbita dell’ Europa occidentale. Le motivazioni reali
sono invece la volontà della Russia di riportare l’ Ucraina nella propria
orbita, creare in Ucraina un governo filo russo che la allontani dall’ Europa
occidentale e impedire un ulteriore spostamento della NATO verso est e quindi
tornare a creare dei «Paesi cuscinetto» tra Russia ed Europa occidentale.
Sono
profondamente addolorato a causa del conflitto in Ucraina, che in tutta
evidenza non può vincere questa guerra. Il diritto all’ autodeterminazione dei
popoli, lo sdegno nei confronti di chi invade un altro Paese non cambiano il
fatto che l’ Ucraina non ha la forza per resistere all’ assalto di una potenza
tanto vasta e forte come la Russia. Non può vincere senza la discesa in campo
delle potenze occidentali, ma ciò significherebbe la Terza Guerra Mondiale, una
guerra nucleare. E se dovesse accadere non avrebbe più importanza chi aveva
ragione, non varrebbero più gli ideali, la ragion di Stato, l’ eroismo della
lotta contro l’ oppressore. Intere città sarebbero distrutte, le vittime sarebbero
milioni. Il tributo umano sarebbe talmente alto da annientare qualunque
ragione.
Per
quanto privi di senno, i capi di Stato non si spingeranno fino a questo punto.
Non sarebbe conveniente per nessuno e in fondo tutti lo sanno. Ma non possono
neanche perdere la faccia al cospetto del ciclope russo, mostrare al mondo che
non siamo noi ad essere i più forti. Così si sta scegliendo la terza
possibilità: aiutare l’ Ucraina a resistere e nel frattempo logorare Putin
colpendone l’ economia, la finanza, le banche. Ma lui non cederà, almeno non
subito. Perché il popolo russo patirà la fame ma i potenti non ne saranno toccati.
Non così profondamente. L’ opinione pubblica si schiererà contro il governo, ma
questo farà ciò che ha sempre fatto davanti al malcontento e alle sofferenze
del popolo: lo ignorerà. Il malumore si diffonderà nell’ esercito, alla fine
colpirà anche gli oligarchi che vedranno diminuiti i loro beni e privilegi ma
questa strategia impiegherà tempo per dare i suoi frutti. Nel frattempo noi
continueremo ad inviare armi al popolo ucraino. Già da giorni donne, ragazzi e
bambini raccolgono bottiglie di vetro per costruire bombe incendiarie, Kiev è una
trincea a cielo aperto e in Occidente i giornali esaltano il loro eroismo. Sono
loro l’ ultima difesa. Resisteranno e combatteranno, migliaia saranno le
vittime e un giorno un fotografo immortalerà per la commozione delle future
generazioni il ritratto di una ragazza che imbraccia un fucile per resistere
all’ invasore. Alla fine, dopo questa logorante guerriglia, entrambe le parti
saranno più disposte a trovare un accordo. E qualcuno forse esulterà, perché
Putin è stato fermato, il grande malvagio è stato sconfitto, ma per fermare un
male noi nel frattempo avremmo contribuito a creare un male anche peggiore.
Perché non importa quante saranno le vittime, non importa la devastazione e la
carneficina che provoca la guerra, l’ Occidente non poteva perdere la faccia...
Il
nostro mondo è diventato così interdipendente che il violento conflitto tra due
Paesi ha inevitabilmente un impatto notevole sul resto del mondo. La guerra si
combatte sul campo, eppure i suoi risvolti si manifestano con altrettanta
crudeltà in tutto il mondo, tra aumento dei costi dell’ energia e del
riscaldamento, della benzina, dei beni alimentari e crollo dell’ economia già
zoppicante a causa del COVID-19, delle speculazioni e perfino degli attentati
dell’ 11 settembre 2001 al Centro di Commercio Mondiale di New York. Il Novecento
è stato notoriamente il secolo che ha visto due guerre mondiali, il Duemila
deve essere quello del dialogo, come alternativa alla pericolosità della guerra
moderna, che oggi per sua natura si combatte senza quartiere e provocando danni
devastanti su più fronti, e non soltanto su quello militare. Basti pensare a
quello intricato e delicato della diplomazia, un’ arte subdola e raffinata da
cui dipende la pace per mezzo di trattative e accordi che fungeranno da base
per le successive decisioni internazionali.
Mi
auguro vivamente che la pace venga ristabilita il più velocemente possibile, e
che i responsabili di questa indecente crisi si assumano le loro responsabilità.
Grazie Giacomo, hai scritto un articolo molto interessante. Stiamo vivendo un periodo molto triste e brutto, speriamo che la diplomazia riesca in qualcosa. Sei molto bravo, i tuoi scritti di leggono volentieri, ti ammiro. Grazie ancora, buona serata.
RispondiEliminaGrazie infinite a lei per il gentile apprezzamento, non scontato. Grazie ai mezzi di comunicazione ho il potere di arrivare alla gente e nelle case private senza suonare il campanello, pertanto devo arrivarci con garbo e sostanza. Se anche solo una persona apprezza, nel mio caso per fortuna sono in molti, significa che nel mio piccolo sto facendo bene e ho la responsabilità di continuare con attenzione. A presto.
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