Giacomo
Ramella Pralungo è un appassionato di fantascienza fin dall’ infanzia, e da
quando ha cominciato ad interessarsi di letture e a scrivere lui stesso ne
segue le principali opere con una grande attenzione: «Quando guardo un film non
è raro che lo valuti con un’ ottica da autore, domandandomi come avrei
impostato io stesso la storia, e quando leggo un libro cerco sempre di farne
miei gli aspetti positivi e di comprendere l’ influenza che l’ epoca in cui esso
è stato scritto ha avuto sul suo sviluppo.». Eppure, negli ultimi anni ha
identificato una particolare tendenza, soprattutto da parte del cinema, a
sfruttare questo particolare genere essenzialmente per ragioni di lucro,
realizzando pellicole dalla trama di qualità mediocre o povere di messaggi
saldi. Una propensione che intende biasimare con la pubblicazione di oggi, e da
cui dichiara di volersi mantenere lontano come scrittore impegnato nel genere.
La fantascienza ha
da sempre un immenso valore per me. Ho trascorso molti dei miei momenti più
lieti leggendo libri oppure guardando film legati a questo genere, e con il
tempo ho imparato a seguirne le trame prestando cura ai particolari e
riflettendo sullo spirito fondamentale. Ho sempre sostenuto che il lato
vincente della fantascienza non fosse soltanto il suo lato fantastico in quanto
tale, che effettivamente ha il potere di incantare il pubblico, quanto i
concetti che essa affronta per mezzo di storie immaginarie. La prima
fantascienza aveva una forte base avventurosa ed era caratterizzata dalla
meraviglia per i progressi della scienza, e ben presto, soprattutto intorno
agli Anni Quaranta del secolo trascorso, si occupò molto delle ripercussioni
del progresso scientifico. A partire dagli Anni Cinquanta, invece, con l’
avvento della corsa agli armamenti si instaurò nei confronti della scienza un atteggiamento
molto più angosciato: la guerra fredda, il consumismo, la paura del diverso, la
società di massa dominata da pubblicità e televisione divennero temi basilare della
«fantascienza sociologica».
Dire
che la fantascienza ha uno spirito, un’ anima, una sua forma di saggezza non è
che la verità: che cosa sarebbero «La macchina del tempo» e «La guerra dei
mondi» di Herbert George Wells senza la critica di fondo al genere umano,
notoriamente abituato a rifiutarsi polemicamente di riconoscere forze più
elevate delle proprie, e ai penosi sistemi sociali di sua creazione? Sarebbe
mai esistito un telefilm chiamato «Star Trek», grande opera di Gene
Roddenberry, senza l’ analisi di quanto avveniva negli Anni Sessanta, epoca
scossa da razzismo, sessismo, bigottismo, pudori ormai arcaici, e dall’
avanzamento di una cultura diversa, più orientata alla modernità e alla
scienza? George Lucas avrebbe mai concepito la serie cinematografica di «Guerre
stellari» se non avessimo mai avuto un pantheon mitologico o un vasto e multiforme
concetto di bene e male?
A
grande dispetto dell’ apparenza fantastica e avventurosa, la fantascienza vanta
un solidissimo fondamento sia logico che morale, e io dico sempre che proprio
per questo è particolarmente adatta ad affrontare l’ antichissimo tema del bene
e del male.
Con l’ andare del
tempo, la fantascienza divenne sempre più familiare in grado di affascinare un
grande pubblico di lettori e spettatori, generando serie letterarie, televisive
e cinematografiche di grande pregio, di cui io stesso subisco il fascino fin da
ragazzino: a dodici anni rimasi impressionato da «Independence Day», a tredici
scoprì «Guerre stellari», a quindici lessi per la prima volta le opere di
Wells, e nello stesso periodo entravo in contatto con «Star Trek», a sedici mi
interessai approfonditamente alla serie di «Terminator», a ventuno a quella di
«Jurassic Park», di cui a ventiquattro lessi i libri del magnifico Michael
Crichton. Eppure, tanto come spettatore quanto come autore non posso fare a
meno di notare quanto la maggior parte di queste produzioni classiche oggi sia
finita nel mirino di superficiali e aridi interessi commerciali che, di fatto,
ne hanno stravolto l’ ideale originario portando alla realizzazione di storie e
pellicole dallo scarso valore narrativo. In una certa misura, ma nettamente
inferiore, ciò avviene anche nella narrativa, dando vita a seguiti mediocri,
poveri di idee a differenza del primo episodio, quasi regolarmente destinato a
divenire punto di origine di una lunga soap opera atta a stabilire una forte
fidelizzazione da parte del pubblico.
Personalmente,
io non credo affatto che la vendita di opere, letterarie o cinematografiche che
siano, rappresenti un fattore necessariamente negativo, eppure sono
assolutamente convinto che non debba costituire l’ obiettivo primario:
piuttosto, scopi fondamentali di un’ opera dovrebbero essere lo stimolo a
riflettere, affascinare e intrattenere. Il semplice desiderio di profitto porta
inevitabilmente a dar vita a prodotti privi di anima e dunque di vera
attrattiva. Questo è vero soprattutto per la fantascienza, e a conferma di
questo principio ho notato quanto a Hollywood e dintorni uno stuolo di produttori
avidi abbiano riesumato determinate classiche dando vita a seguiti o a veri e
propri riavvii che, di fatto, non hanno saputo mantenere il livello narrativo,
comunicativo e qualitativo del passato.
Tra gli esempi
principali di quest’ intervento erodente che posso citare spiccano i nuovi film
di «Star Trek», «Jurassic Park»,
«Guerre stellari», «Terminator»
e «Independence Day», generi innegabilmente sfruttati in modo particolarmente
inadeguato per una mera questione commerciale. Nel caso di «Star Trek» e in
quello di «Guerre stellari», epopee entrambe riprese dal regista, sceneggiatore
e produttore J. J. Abrams, siamo di fronte ad uno sviamento dello sviluppo
della trama e dei singoli personaggi: gli ammiratori storici e più attenti
fanno veramente fatica ad accettare un giovane Spock che piange e ride, sebbene
sia metà umano, e addirittura fidanzato con Nyota Uhura, oppure un anziano Luke
Skywalker che, affranto dai suoi fallimenti come maestro Jedi, abbandona la
Galassia in balia del Primo Ordine e di Kylo Ren, suo nipote ed ex allievo ora
succube di Snoke, misterioso individuo che padroneggia il lato oscuro della
Forza, arrivando persino a gettare via la sua vecchia spada laser tesagli dalla
giovane Rey e ad affermare che è giunto il tempo della fine dell’ ordine degli
Jedi. Peraltro, il fatto che non sia stato dato un epilogo alle vicende dell’
equipaggio dell’ USS Enterprise E, comandata dal capitano Jean-Luc Picard in
favore di un viaggio nel passato con cui si è creata una realtà alternativa ai
tempi di James T. Kirk, condita da numerose inesattezze, e il ridimensionamento
del ruolo di personaggi quali Luke, Han Solo, Chewbacca e Leila Organa,
relegati a destini inadeguati a quanto avrebbero anziché potuto compiere dopo
la sconfitta dell’ Impero Galattico, dimostra quanto la produzione non abbia
compreso la storia e il significato essenziale di queste due serie.
«Jurassic
Park», recentemente tornato in auge con la trilogia di «Jurassic World», per
quanto rappresenti una storia tutto sommato accettabile e gradevole rimane
destinata a lasciare interdetti gli ammiratori della prima ora, dal momento che
dopo quattordici anni propone l’ apertura di un nuovo parco dei dinosauri, con
un nome differente e un gruppo di personaggi alternativi, ad eccezione del dottor
Henry Wu, subdolo e geniale genetista alla guida della squadra di clonatori che
ha riportato in vita le più spettacolari specie di dinosauri. Neanche a dirlo, questo
secondo parco subisce la stessa fine del primo, con l’ evasione degli
inarrestabili dinosauri dai loro recinti, liberi di fare una strage di persone
inermi. A proposito di «Terminator», infine, il quinto e ultimo film di questa
leggendaria serie ideata da James Cameron nei primi Anni Ottanta mostra una
storia pasticciata e senza senso, colma di errori e insensatezze e povera della
robustezza narrativa che invece ha caratterizzato la trilogia originaria,
soprattutto i primi due episodi diretti da Cameron, mentre per il seguito di «Independence
Day», diretto da Roland Emmerich, vale il principio secondo cui un’ epopea
cinematografica può avere successo solo se si parte proprio con l’ idea di
realizzare una serie: il primo film si chiudeva infatti con la sconfitta e lo
sterminio degli alieni che intendevano invadere e decimare la Terra, e visti gli
ottimi incassi si decise di realizzare due seguiti, ma occorre tenere presente
che dopo vent’ anni è estremamente difficile proseguire la storia con la stessa
qualità narrativa.
Dalla valutazione
dei seguiti e dei riavvii di tutte queste serie, che per me rappresentano
tuttora la base della mia fantascienza, mi è del tutto chiaro che lo
sfruttamento della fantascienza a fini commerciali rappresenta un fenomeno
negativo, destinato ad impoverire inutilmente un genere narrativo meraviglioso
e particolarmente ricco di contenuti e sfaccettature. Tanto come estimatore di
tale genere, sia nella sua forma letteraria che cinematografica oppure
televisiva, quanto come autore mi definisco assolutamente contrario al fenomeno.
Ogni volta che penso ad una storia da cui poi ricavo un libro, è mia abitudine
inserire idee e messaggi narrativi ben precisi e addirittura citare un fatto
storico realmente accaduto, o un personaggio davvero vissuto, perché credo
fermamente che la vera narrativa sia soprattutto uno strumento di
comunicazione, non soltanto di intrattenimento. Non vi è nulla di male nel
guadagnare qualche soldo, intendiamoci, ma è imperativo che un libro o un film
di fantascienza debba avere un’ anima, un’ idea di fondo. Io stesso non voglio
essere ricordato come un autore che scrive tanto per fare, ma come uno che
crede in quello che fa, che ragiona sulla realtà che lo circonda e che
trasmette le proprie impressioni nelle sue pagine. Per me, scrivere e
pubblicare sono un mezzo potente con cui entro nelle case altrui senza bussare
alla porta, dunque trovo molto importante farlo bene e con sostanza.
Giacomo Ramella
Pralungo
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