mercoledì 28 marzo 2018

Lo sfruttamento commerciale della fantascienza



Giacomo Ramella Pralungo è un appassionato di fantascienza fin dall’ infanzia, e da quando ha cominciato ad interessarsi di letture e a scrivere lui stesso ne segue le principali opere con una grande attenzione: «Quando guardo un film non è raro che lo valuti con un’ ottica da autore, domandandomi come avrei impostato io stesso la storia, e quando leggo un libro cerco sempre di farne miei gli aspetti positivi e di comprendere l’ influenza che l’ epoca in cui esso è stato scritto ha avuto sul suo sviluppo.». Eppure, negli ultimi anni ha identificato una particolare tendenza, soprattutto da parte del cinema, a sfruttare questo particolare genere essenzialmente per ragioni di lucro, realizzando pellicole dalla trama di qualità mediocre o povere di messaggi saldi. Una propensione che intende biasimare con la pubblicazione di oggi, e da cui dichiara di volersi mantenere lontano come scrittore impegnato nel genere.

La fantascienza ha da sempre un immenso valore per me. Ho trascorso molti dei miei momenti più lieti leggendo libri oppure guardando film legati a questo genere, e con il tempo ho imparato a seguirne le trame prestando cura ai particolari e riflettendo sullo spirito fondamentale. Ho sempre sostenuto che il lato vincente della fantascienza non fosse soltanto il suo lato fantastico in quanto tale, che effettivamente ha il potere di incantare il pubblico, quanto i concetti che essa affronta per mezzo di storie immaginarie. La prima fantascienza aveva una forte base avventurosa ed era caratterizzata dalla meraviglia per i progressi della scienza, e ben presto, soprattutto intorno agli Anni Quaranta del secolo trascorso, si occupò molto delle ripercussioni del progresso scientifico. A partire dagli Anni Cinquanta, invece, con l’ avvento della corsa agli armamenti si instaurò nei confronti della scienza un atteggiamento molto più angosciato: la guerra fredda, il consumismo, la paura del diverso, la società di massa dominata da pubblicità e televisione divennero temi basilare della «fantascienza sociologica».
Dire che la fantascienza ha uno spirito, un’ anima, una sua forma di saggezza non è che la verità: che cosa sarebbero «La macchina del tempo» e «La guerra dei mondi» di Herbert George Wells senza la critica di fondo al genere umano, notoriamente abituato a rifiutarsi polemicamente di riconoscere forze più elevate delle proprie, e ai penosi sistemi sociali di sua creazione? Sarebbe mai esistito un telefilm chiamato «Star Trek», grande opera di Gene Roddenberry, senza l’ analisi di quanto avveniva negli Anni Sessanta, epoca scossa da razzismo, sessismo, bigottismo, pudori ormai arcaici, e dall’ avanzamento di una cultura diversa, più orientata alla modernità e alla scienza? George Lucas avrebbe mai concepito la serie cinematografica di «Guerre stellari» se non avessimo mai avuto un pantheon mitologico o un vasto e multiforme concetto di bene e male?
A grande dispetto dell’ apparenza fantastica e avventurosa, la fantascienza vanta un solidissimo fondamento sia logico che morale, e io dico sempre che proprio per questo è particolarmente adatta ad affrontare l’ antichissimo tema del bene e del male.

Con l’ andare del tempo, la fantascienza divenne sempre più familiare in grado di affascinare un grande pubblico di lettori e spettatori, generando serie letterarie, televisive e cinematografiche di grande pregio, di cui io stesso subisco il fascino fin da ragazzino: a dodici anni rimasi impressionato da «Independence Day», a tredici scoprì «Guerre stellari», a quindici lessi per la prima volta le opere di Wells, e nello stesso periodo entravo in contatto con «Star Trek», a sedici mi interessai approfonditamente alla serie di «Terminator», a ventuno a quella di «Jurassic Park», di cui a ventiquattro lessi i libri del magnifico Michael Crichton. Eppure, tanto come spettatore quanto come autore non posso fare a meno di notare quanto la maggior parte di queste produzioni classiche oggi sia finita nel mirino di superficiali e aridi interessi commerciali che, di fatto, ne hanno stravolto l’ ideale originario portando alla realizzazione di storie e pellicole dallo scarso valore narrativo. In una certa misura, ma nettamente inferiore, ciò avviene anche nella narrativa, dando vita a seguiti mediocri, poveri di idee a differenza del primo episodio, quasi regolarmente destinato a divenire punto di origine di una lunga soap opera atta a stabilire una forte fidelizzazione da parte del pubblico.
Personalmente, io non credo affatto che la vendita di opere, letterarie o cinematografiche che siano, rappresenti un fattore necessariamente negativo, eppure sono assolutamente convinto che non debba costituire l’ obiettivo primario: piuttosto, scopi fondamentali di un’ opera dovrebbero essere lo stimolo a riflettere, affascinare e intrattenere. Il semplice desiderio di profitto porta inevitabilmente a dar vita a prodotti privi di anima e dunque di vera attrattiva. Questo è vero soprattutto per la fantascienza, e a conferma di questo principio ho notato quanto a Hollywood e dintorni uno stuolo di produttori avidi abbiano riesumato determinate classiche dando vita a seguiti o a veri e propri riavvii che, di fatto, non hanno saputo mantenere il livello narrativo, comunicativo e qualitativo del passato.

Tra gli esempi principali di quest’ intervento erodente che posso citare spiccano i nuovi film di «Star Trek», «Jurassic Park», «Guerre stellari», «Terminator» e «Independence Day», generi innegabilmente sfruttati in modo particolarmente inadeguato per una mera questione commerciale. Nel caso di «Star Trek» e in quello di «Guerre stellari», epopee entrambe riprese dal regista, sceneggiatore e produttore J. J. Abrams, siamo di fronte ad uno sviamento dello sviluppo della trama e dei singoli personaggi: gli ammiratori storici e più attenti fanno veramente fatica ad accettare un giovane Spock che piange e ride, sebbene sia metà umano, e addirittura fidanzato con Nyota Uhura, oppure un anziano Luke Skywalker che, affranto dai suoi fallimenti come maestro Jedi, abbandona la Galassia in balia del Primo Ordine e di Kylo Ren, suo nipote ed ex allievo ora succube di Snoke, misterioso individuo che padroneggia il lato oscuro della Forza, arrivando persino a gettare via la sua vecchia spada laser tesagli dalla giovane Rey e ad affermare che è giunto il tempo della fine dell’ ordine degli Jedi. Peraltro, il fatto che non sia stato dato un epilogo alle vicende dell’ equipaggio dell’ USS Enterprise E, comandata dal capitano Jean-Luc Picard in favore di un viaggio nel passato con cui si è creata una realtà alternativa ai tempi di James T. Kirk, condita da numerose inesattezze, e il ridimensionamento del ruolo di personaggi quali Luke, Han Solo, Chewbacca e Leila Organa, relegati a destini inadeguati a quanto avrebbero anziché potuto compiere dopo la sconfitta dell’ Impero Galattico, dimostra quanto la produzione non abbia compreso la storia e il significato essenziale di queste due serie.
«Jurassic Park», recentemente tornato in auge con la trilogia di «Jurassic World», per quanto rappresenti una storia tutto sommato accettabile e gradevole rimane destinata a lasciare interdetti gli ammiratori della prima ora, dal momento che dopo quattordici anni propone l’ apertura di un nuovo parco dei dinosauri, con un nome differente e un gruppo di personaggi alternativi, ad eccezione del dottor Henry Wu, subdolo e geniale genetista alla guida della squadra di clonatori che ha riportato in vita le più spettacolari specie di dinosauri. Neanche a dirlo, questo secondo parco subisce la stessa fine del primo, con l’ evasione degli inarrestabili dinosauri dai loro recinti, liberi di fare una strage di persone inermi. A proposito di «Terminator», infine, il quinto e ultimo film di questa leggendaria serie ideata da James Cameron nei primi Anni Ottanta mostra una storia pasticciata e senza senso, colma di errori e insensatezze e povera della robustezza narrativa che invece ha caratterizzato la trilogia originaria, soprattutto i primi due episodi diretti da Cameron, mentre per il seguito di «Independence Day», diretto da Roland Emmerich, vale il principio secondo cui un’ epopea cinematografica può avere successo solo se si parte proprio con l’ idea di realizzare una serie: il primo film si chiudeva infatti con la sconfitta e lo sterminio degli alieni che intendevano invadere e decimare la Terra, e visti gli ottimi incassi si decise di realizzare due seguiti, ma occorre tenere presente che dopo vent’ anni è estremamente difficile proseguire la storia con la stessa qualità narrativa.

Dalla valutazione dei seguiti e dei riavvii di tutte queste serie, che per me rappresentano tuttora la base della mia fantascienza, mi è del tutto chiaro che lo sfruttamento della fantascienza a fini commerciali rappresenta un fenomeno negativo, destinato ad impoverire inutilmente un genere narrativo meraviglioso e particolarmente ricco di contenuti e sfaccettature. Tanto come estimatore di tale genere, sia nella sua forma letteraria che cinematografica oppure televisiva, quanto come autore mi definisco assolutamente contrario al fenomeno. Ogni volta che penso ad una storia da cui poi ricavo un libro, è mia abitudine inserire idee e messaggi narrativi ben precisi e addirittura citare un fatto storico realmente accaduto, o un personaggio davvero vissuto, perché credo fermamente che la vera narrativa sia soprattutto uno strumento di comunicazione, non soltanto di intrattenimento. Non vi è nulla di male nel guadagnare qualche soldo, intendiamoci, ma è imperativo che un libro o un film di fantascienza debba avere un’ anima, un’ idea di fondo. Io stesso non voglio essere ricordato come un autore che scrive tanto per fare, ma come uno che crede in quello che fa, che ragiona sulla realtà che lo circonda e che trasmette le proprie impressioni nelle sue pagine. Per me, scrivere e pubblicare sono un mezzo potente con cui entro nelle case altrui senza bussare alla porta, dunque trovo molto importante farlo bene e con sostanza.

Giacomo Ramella Pralungo

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