In
ricordo del referendum istituzionale del 1946, il 2 giugno è stato scelto come giorno
della Festa della Repubblica Italiana, la principale celebrazione nazionale atta
a ricordare la nascita dell’ Italia repubblicana. La cerimonia principale avviene
annualmente a Roma, alla presenza delle massime autorità governative e statali
italiane, ed è uno dei simboli patri italiani più noti. Giacomo Ramella
Pralungo, scrittore di fantascienza ed articolista storico, segue le
celebrazioni tramite l’ edizione straordinaria del telegiornale e dando di
tanto in tanto attente occhiate agli articoli pubblicati sulla rete informatica,
ma non pare particolarmente estasiato, come lui stesso afferma: «La Repubblica
Italiana è uno Stato di fatto, ma non di diritto.». Asserisce che negli ultimi settantatré
anni la politica italiana è stata pesantemente segnata da intrighi, scandali e
corruzione eppure non ci trova nulla di sorprendente se pensa a come l’ attuale
assetto dello Stato si impose nel 1946: «La Repubblica nacque con il piede
sbagliato e ancora oggi, a distanza di tanti anni, una certa parte della
cittadinanza esprime seri dubbi sulla validità del voto referendario. Io stesso
sono monarchico e assolutamente dubbioso della validità dell’ assetto di quello
Stato di cui sono cittadino.».
Sfogliando
alcuni libri, «I Savoia» di Gianni Oliva e «Morte di un Savoia» di Franco Fucci, Giacomo non nasconde la
propria tendenza monarchica, anzi, la difende: «Quando
ero bambino, mia madre fu la prima a parlarmi in modo favorevole della
monarchia, pur sottolineando che come in qualunque altro contesto umano anche in
quei tempi avvennero determinate cose sia positive che negative. E quante volte
l’ ho sentita esprimersi dubbiosamente sul referendum tra Corona e repubblica,
avvenuto quando aveva tre anni: diceva sempre che la Repubblica Italiana venne
al mondo con un furto pari a ben due milioni di voti favorevoli al sovrano!
Crescendo, io stesso ho cominciato a nutrire una certa simpatia per il sistema
monarchico, rimanendo colpito soprattutto dall’ importanza che attribuisce alla
tradizione e alla continuità.».
L’
autore afferma che per lui il 2 giugno è una giornata nazionale che come cittadino
non vive mai con entusiasmo, diversamente da quanto avviene il 17 marzo, l’ Anniversario
dell’ Unità d’ Italia, che percepisce come una giornata effettivamente
importante per la nazione: «Si tratta di una festa
fondamentale e molto più autentica, ma vergognosamente trascurata. Come se la
nostra nazione fosse spuntata come un fungo proprio nella ricorrenza di oggi…». Spiega che il referendum tra monarchia e repubblica,
in occasione del quale ventiquattro milioni di italiani furono a votare per
scegliere la forma dello Stato, in una votazione a suffragio universale e per
la prima volta aperta anche alle donne, avvenne in un contesto comprensibilmente
teso e drammatico: il Paese era appena uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, le
macerie dei bombardamenti alleati e le demolizioni dei nazisti in rotta
abbondavano ancora ovunque, con centinaia di migliaia di persone ancora sparse tra
i campi di prigionia in tutto il mondo e intere province tuttora sotto la
diretta occupazione e gestione militare straniera, in un clima in cui nonostante
le dichiarazioni ufficiali le violenze perduravano con il rischio di sfociare in
una guerra civile, che certe parti addirittura auspicavano allo scopo di
favorire la lotta di classe e il rovesciamento di un ordine ritenuto ingiusto
ed oppressivo, ormai debole e inadeguato: «Il 9 maggio 1946, re Vittorio
Emanuele III, in un estremo tentativo teso a salvare sia la monarchia in vista
del referendum che a confermare Casa Savoia sul trono in caso di vittoria,
abdicò a Napoli in favore del figlio, Umberto II, che gli successe come quarto sovrano
d’ Italia nel periodo più drammatico della storia sia nazionale che della famiglia
reale, regnando appena trentadue giorni, fino al successivo 10 giugno, in virtù
dell’ esito del referendum del 2 e 3 giugno, che si dimostrò sfavorevole alla
monarchia, che raccolse 10.718.502 voti contro i 12.718.641 favorevoli invece alla
repubblica.». Volendo evitare una crisi istituzionale ed una guerra civile,
entrambi i rischi erano assai concreti con un settentrione repubblicano e un meridione
monarchico, il sovrano scelse saggiamente di lasciare l’ Italia alla volta del
Portogallo, passando alla storia come «Re di Maggio».
La famiglia reale in esilio a Cascais; |
Alla
richiesta su che cosa pensi circa il referendum del 1946, Giacomo risponde fermamente
che fu un evento molto importante nella storia d’ Italia, eppure, a causa dei
metodi altamente dubbi e pasticciati con cui lo spoglio delle schede e l’
annuncio dell’ esito elettorale furono condotti, si intuì rapidamente la
presenza di forti brogli che avrebbero abilmente portato ad un distacco di
quasi due milioni di voti a svantaggio dell’ istituto monarchico, contribuendo
ad alimentare le già forti tensioni di quei giorni, che perdurarono negli anni
successivi in tutto il Paese: «In molti espressero i più ampi dubbi su quel che
accadde in occasione del referendum, e su come avvenne. In primo luogo, un plebiscito
è un avvenimento tipicamente democratico, quindi deve essere preparato ed
eseguito nella massima libertà, senza intimidazioni, minacce e violenze, ma purtroppo
questo non fu il clima in cui si svolse, soprattutto nell’ Italia
settentrionale, culla della Repubblica di Salò e del Secondo Risorgimento, animato
prevalentemente da partigiani di orientamento politico comunista e
filosovietico. Solo una minoranza di combattenti apparteneva a un differente
orientamento politico.». Il periodo non era assolutamente adatto allo svolgimento
di un referendum istituzionale di simile importanza, come prosegue: la guerra
in Europa era terminata appena un anno prima, e il Paese era sotto il diretto
controllo politico e militare degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell’
Unione Sovietica. Nel settentrione e nel centro le bande partigiane comuniste
continuavano ad assassinare chi non la pensava come loro: sacerdoti, ricchi,
titolati, cattolici, gli ultimi simpatizzanti fascisti rimasti e anche semplici
nemici personali, con cui si regolavano i conti senza esitazione in quanto si
temeva che sarebbero tutti stati un ostacolo all’ avvento del comunismo,
mutando l’ Italia in un Paese filosovietico: «Il Fascismo era stato sconfitto e
Mussolini era morto, quindi ora bisognava abbattere la Corona e disfarsi della
famiglia reale, cosa non facile perché la maggioranza degli italiani era legata
all’ istituzione monarchica. Volendo far apparire le cose in regola, si pensò
di indire un referendum con cui dare voce al volere del popolo. Ma la vittoria
non era certa per gli antimonarchici, tutt’ altro!».
Sfogliando
i libri e spegnendo il computer, Giacomo sostiene che la questione istituzionale
italiana andava lasciata soltanto al popolo italiano, libero da qualsivoglia
interferenza o pressione da parte delle potenze straniere. Ma così non fu: gli
Stati Uniti prediligevano notoriamente l’ idea di un’ Italia repubblicana, sebbene
ciò aumentasse il rischio di un’ influenza da parte dell’ Unione Sovietica che per
mezzo dei partigiani comunisti contava di fare del Belpaese una nazione rossa,
mentre la Gran Bretagna era la più favorevole alla preservazione della
monarchia in virtù dei rapporti cordiali che da tempo legavano i Savoia ai
Windsor, entrambi tra i più antichi e rispettati casati reali europei, nonostante
le condizioni politiche e sociali profondamente diverse dei rispettivi governi
e Paesi: «Occorre ricordare che al referendum non votarono più di ben duecentocinquantamila
prigionieri di guerra, migliaia di sfollati in varie province per ragioni di
guerra, e che la cittadinanza della Dalmazia, della Venezia Giulia, dell’ Alto
Adige e della Libia, in quel tempo ancora nostra colonia, fu esclusa: si disse
che gli italiani di quei territori avrebbero votato in seguito, ma in realtà
così non avvenne, eppure i dati ufficiali di allora diedero più del quarantotto
percento di voti favorevoli a Sua Maestà.».
A
metà dello spoglio, il 4 giugno, curiosamente i carabinieri comunicano a papa
Pio XII che la monarchia si apprestava a vincere, mentre la mattina dopo il
Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, annunciò a re Umberto
che la monarchia era in vantaggio. Dopo che i rapporti da parte dei
carabinieri, presenti in tutti i seggi, segnalarono al Ministro dell’ Interno,
Giuseppe Romita, la vittoria della monarchia, ebbero luogo una serie di manovre
tuttora poco limpide: «Nella notte tra il 5 ed il 6 giugno i risultati si capovolsero
in favore della repubblica con l’ immissione di una valanga di voti dalla
dubbia provenienza. Alcuni attenti esami statistici hanno dimostrato che in
quell’ epoca non potevano esserci tanti votanti quanti ne furono conteggiati
nei dati ufficiali del Ministero dell’ Interno, pertanto i dati giunti all’
ultimo momento alla sede ministeriale che sancivano la vittoria repubblicana erano
sbucati praticamente da chissà dove. La Corte di cassazione confermò il
risultato che mostrava quanto la repubblica avesse vinto la maggioranza
assoluta dei voti espressi, anche contando schede bianche e nulle. Vennero presentati
migliaia di ricorsi, tutti respinti. In quelle notti si svolse anche una vera e
propria competizione tra i servizi segreti statunitensi e quelli britannici, per
la vittoria definitiva di un assetto piuttosto che dell’ altro.».
Il
10 giugno, la Cassazione diede in via informale la notizia della vittoria repubblicana,
utilizzando una formula dubitativa che rimandava l’ annuncio definitivo al successivo
18 giugno, dopo l’ esame delle contestazioni presentate soprattutto dagli
ambienti monarchici, mentre la notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della
riunione del governo, Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse
le funzioni di capo provvisorio dello Stato, esautorando il re di ogni potere.
Negli stessi giorni, le truppe comuniste del maresciallo Tito erano pronte al
confine iugoslavo per intervenire qualora fosse stata proclamata la vittoria
della monarchia, e in varie zone d’ Italia furono scoperti nei luoghi più disparati
migliaia di pacchi di schede non scrutinate che vennero prontamente distrutti: «Molte
di queste schede vennero scoperte persino nei sacchi della spazzatura, e come
tale vennero tutte bruciate, mentre alcuni drappelli di carabinieri trovarono determinate
schede favorevoli alla monarchia, venendo poi trasferiti o congedati prima che
potessero fare il dovuto rapporto.». Mentre le istituzioni dichiaravano la vittoria
della repubblica, città come Palermo, Taranto, Bari e Messina, consce della
scarsa regolarità delle consultazioni, insorsero in quanto si erano sparse
notizie, forse già verificate, relative ai brogli di cui si sarebbe parlato negli
anni a venire, prima che la cortina del silenzio calasse anche su questa vicenda,
come sarebbe avvenuto per le foibe, per i crimini dei partigiani e l’ esodo
degli istriani. «Napoli fu teatro degli scontri
peggiori.» afferma Giacomo mettendo da parte i
libri «Per ben tre giorni, tra il 9 e l’ 11 giugno, le forze dell’ ordine, tra
cui la polizia speciale istituita appositamente per il voto referendario,
formata da ex partigiani, impiegò autoblindo e carri armati contro la folla
inerme uccidendo nove persone e ferendone centinaia. L’ episodio è noto come la
Strage di via Medina, ma nelle nostre scuole non se ne parla mai. Non vi fu un
processo e neppure venne posta una lapide per ricordare le vittime. Pochi
giorni prima, uno sconosciuto aveva lanciato una bomba a mano contro un corteo
di monarchici, causando un morto e numerosi feriti.».
Su
trentacinquemila sezioni elettorali furono presentati ventiduemila ricorsi,
tutti respinti in pochi giorni. Lo spoglio delle schede pervenute rocambolescamente
a Roma si svolse nella sala della Lupa a Montecitorio, alla presenza della
corte di Cassazione e degli ufficiali angloamericani occupanti: «Pietro Nenni
aveva sentenziato: ‘‘O la repubblica o il caos.’’. Il Ministro delle Finanze,
Mauro Scoccimarro, aveva invece detto che in caso di vittoria della monarchia i
comunisti avrebbero scatenato la lotta armata. Sandro Pertini, invece, esigeva
la fucilazione del sovrano.».
Assolutamente
deciso ad evitare una guerra civile, Umberto II lasciò volontariamente l’
Italia il 13 giugno 1946, diretto a Cascais, nel Portogallo meridionale, senza
nemmeno attendere la definizione dei risultati ma dimostrando un altissimo
senso di responsabilità e stima verso gli italiani. Giacomo sostiene che prese
una scelta estremamente difficile ma molto saggia, e che visse in esilio per
trentasette dimostrando costantemente una grande dignità, senza mai lamentarsi:
«Diffuse un proclama in cui contestava la violazione della legge ed il
comportamento rivoluzionario del governo, che non aveva atteso il responso
definitivo della Cassazione: ‘‘Di fronte alla comunicazione di dati provvisori
e parziali fatta dalla Corte suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare
entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei
votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul
modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio
diritto e dovere di re attendere che la corte di Cassazione facesse conoscere
se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.
Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e
sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario,
assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi
ha posto nell’ alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la
violenza.’’.».
Il
18 giugno la Cassazione proclamò la vittoria della repubblica. La Stampa di
Torino titolò: «Il governo sanziona la vittoria repubblicana», mettendo in
dubbio la proclamazione stessa della Repubblica, perché neanche allora lo si
era debitamente compreso. Molti anni dopo, nel 1960, Giuseppe Pagano,
presidente della Corte di Cassazione al tempo del referendum ma di simpatie monarchiche,
in un’ intervista a «Il Tempo» di Roma affermò che la legge istitutiva del
referendum era di applicazione impossibile, in quanto non dava il tempo alla
Corte di svolgere i suoi lavori di accertamento, e ciò fu reso ancor più evidente
dal fatto che numerose corti di appello non riuscirono a mandare i verbali alla
Cassazione entro la data prevista: «Inoltre, l’ angoscia del governo di far
dichiarare la repubblica era stata tale da indurre al colpo di Stato prima che
la Corte Suprema stabilisse realmente i risultati validi definitivi.». Il magistrato,
tuttavia, non sostenne mai la storia dei brogli.
Il corpo senza vita di uno dei Caduti di Via Medina; |
Lo
scrittore afferma che nel corso dei decenni, sia monarchici che repubblicani
hanno sempre ammesso apertamente che la Repubblica nacque in un ventre di dissidio
e prepotenza, e in modo piuttosto controverso: «Ma oggi, a settantatré anni da quei
giorni convulsi, i tempi sono abbastanza maturi affinché le autorità politiche
a Roma e dintorni ammettano che l’ avvento del regime repubblicano ebbe molte
ombre su cui si calò prontamente un opportuno silenzio, in modo tale da
occultare pressioni, intimidazioni, ricatti, scambi di favori e un’ infinità di
metodi poco puliti con cui il voto fu fortemente influenzato addossando ai
Savoia più colpe di quante ne avessero, in un contesto di soprusi che portarono
alla formazione di uno Stato di fatto ma non di diritto nel quale i dubbi sulla
legittimità dell’ esito vennero tacciati di soggettività.». Peraltro, come
dice, non si può fare a meno di rilevare che la storia ufficiale promossa dalla
Repubblica negli ultimi sette decenni abbia dipinto l’ era monarchica come un
periodo oscuro, in cui avvennero solo cose sbagliate, portando inevitabilmente
le generazioni più recenti a confondere la monarchia con il Fascismo, quindi aizzando
una certa discontinuità con quel periodo e alla conseguente rinuncia ad una
serie di valori che invece furono determinati per la nostra storia: «Un chiaro
esempio avvenne nel 2000 a Monza, in occasione del centenario dell’ assassinio
di re Umberto I: se i balconi e le vetrine dei negozi esponevano il Tricolore conferendo
alla città un’ aria patriottica, il Quirinale respinse la richiesta del sindaco
di inviare una corona di fiori, facendo notare che il gesto rappresentasse un
taglio con il precedente assetto istituzionale, come se la storia italiana fosse
iniziata nel 1946, attribuendo ai quattro sovrani sabaudi errori non loro e che
negli altri Paesi non vengono mai associate ad un capo dello Stato, sia esso
sovrano o presidente. Lo stesso Umberto II e il suo operato dopo la guerra sono
da sempre descritti con esagerazioni e punti di vista altamente faziosi, ma nei
trentasette anni in cui il re esule, ma non abdicatario, visse lontano dall’
Italia vennero espressi giudizi positivi nei suoi confronti dai tanti italiani
che aveva ricevuto nella sua residenza di Cascais, così come da diversi protagonisti
di quei giorni come Palmiro Togliatti, Sir Winston Churchill e Dwight D.
Eisenhower.».
L’ ex re, Umberto II, in tarda età; |
Più
in generale, indipendentemente da quel che accadde nel 1946, Giacomo parla
delle molte ragioni per cui lui sostiene personalmente il sistema monarchico
piuttosto che quello repubblicano: «I Paesi europei più progrediti e
democratici sono monarchie, e anche nella maggior parte delle repubbliche le rispettive
ex famiglie reali godono di prestigio e ammirazione. Un re è al di sopra delle
parti e rappresenta l’ unità della nazione, svincolato dalle battaglie
politiche, mentre avere un Presidente della Repubblica è come se in una partita
di calcio si prendesse un giocatore di una delle due squadre e lo si facesse
arbitro.». Molto spesso, prosegue, un re detiene molti titoli nobiliari, come nel
caso di Felipe VI di Spagna, che è anche signore di Castiglia, Leon, Aragona,
Navarra, Valencia, Galizia, Maiorca, Minorca, Cordova, Murcia, Granada e Isole
Canarie, cosa che favorisce l’ identificazione nella sua figura da parte del
maggior numero possibile di sudditi spagnoli. Peraltro, come è risaputo, un re
viene preparato al suo ruolo fin dall’ infanzia e una volta succeduto al
predecessore sa come comportarsi e rappresentare al meglio il suo Paese, vincola
le strutture fondamentali dello Stato, come le forze armate, la diplomazia, la
magistratura e l’ alta amministrazione alla Corona, proteggendo tali importanti
uffici dalle pressioni e invadenze delle fazioni, evitando che le parti leghino
ai propri interessi specifici, l’ istituzione simbolo dell’ unità nazionale: «E’
comunque vero che ci sono sovrani buoni e cattivi, la storia è ricca di esempi,
ma se pensiamo che i re di oggi hanno un potere veramente limitato, un cattivo monarca
avrebbe davvero poche possibilità di danneggiare la nazione, mentre un cattivo Presidente
può nuocere tanto di più. Peraltro, avendo un mandato a vita, un re possiede
per forza di cose una visione a lungo termine sconosciuta ad un politico, che
una volta eletto si concentra sul proprio breve mandato cercando ovviamente di
essere riconfermato.».
La
monarchia porta turismo, peraltro, porta turismo: se a Londra le persone fanno
la fila per visitare Buckingham Palace e a Monte Carlo per vedere il Palazzo
Principesco, molta meno gente va invece a visitare l’ Eliseo di Parigi o la Cancelleria
federale di Berlino, piuttosto che i palazzi presidenziali delle altre capitali
repubblicane: «L’ istituzione monarchica è persino di aiuto all’ economia: un
anniversario ed anche un funerale sono fonte di attrazione per moltissime persone
che sul posto consumano, dormono, acquistano souvenir. Tutto questo non avviene
sotto gli stendardi repubblicani: la Francia non vedrà mai la folla che c’ è
stata a Bucarest in occasione del funerale di re Michele I, avvenuto il 16
dicembre 2017, o a Windsor per il matrimonio dei duchi Henry e Meghan di Sussex,
lo scorso 19 maggio 2018. La monarchia è come una grande famiglia: sia nei
momenti di gioia che in quelli di dolore, un membro della famiglia reale è
sempre vicino alla popolazione e in qualche modo ne condivide felicità e
tristezze. Occorre peraltro precisare che la monarchia non rappresenta neppure
un costo folle a carico dei cittadini: come è risaputo, le residenze europee
più care sono il l’ Eliseo e il Quirinale. Entrambe repubblicane…».
La
monarchia, prosegue con convinzione, conferisce stabilità e prestigio alla
nazione, come dimostrato dalle vicissitudini di gran parte dei Paesi che nel
corso del Novecento sono diventati repubbliche passando dalla democrazia alla
dittatura, come l’ Iran e l’ Egitto, che dal 1952 non si è mai liberato dei
militari dal governo, piuttosto che la Grecia, che da Paese rispettato è
tristemente diventato lo zimbello d’ Europa: «La stessa Italia deve gran parte
di ciò che è oggi alle varie famiglie che hanno regnato sia prima che dopo l’ unità
nazionale, influendo positivamente persino sui suoi flussi turistici: a Torino
e nel nordovest le persone vengono a visitare le residenze sabaude, Caserta
deve la sua fama mondiale alla Reggia dei Borbone, Parma trae il proprio
splendore dai Farnese e dai Borbone, mentre Firenze, senza i Medici prima e
agli Asburgo poi, non sarebbe stata la stessa. Personalmente, sono
assolutamente convinto che per quanto oggi monarchia sia sinonimo unicamente di
Casa Savoia oggi si dovrebbe riscoprire la storia e l’ importanza delle varie
dinastie che ressero il potere in varie zone d’ Italia prima del Risorgimento,
soprattutto gli Asburgo e i Borbone, caduti sotto i colpi della storia.».
In
questi giorni assistiamo a solenni celebrazioni della Repubblica, convegni,
mostre fotografiche, e lo stesso Presidente parla abitualmente della Festa
della Repubblica invitando gli italiani a riaffermarne i valori: «Ma quali sono,
questi valori? Non è corretto parlare di valori, dal momento che l’ avvento
della Repubblica fu tanto dubbio e sofferto e che i resoconti ufficialmente
adottati dalle autorità politiche e istituzionali tendono da sempre a
nascondere metà della storia. Che spieghino chiaramente i vari gialli di quei
giorni, dalle truppe titine schierate sul confine italiano con l’ ordine di invaderci
in caso della vittoria della monarchia all’ intervento di Togliatti a Mosca al fine
di ritardare il rientro delle decine di migliaia di prigionieri italiani
trattenuti in Unione Sovietica, piuttosto che il numero degli elettori superiore
di quello degli aventi diritto al voto, che mutò l’ esito referendario a
seguito dei primi rapporti dei carabinieri, al Vaticano e al governo, per
quanto si deduca che molti abbiano votato più volte con documenti di identità
falsi o appartenenti a defunti o dispersi. E che dire infine di Togliatti, che,
come Ministro della Giustizia, in risposta alle migliaia di ricorsi sostenne
che non si sarebbe potuto ricontrollare adeguatamente le schede perché alcune
erano andate distrutte?».
Per
Giacomo, che scuote fermamente il capo, non ci sono affatto dubbi: di fronte a
tanti fatti strani e oscuri e ad altri più evidentemente scorretti, questa
Repubblica nacque con il piede sbagliato, e in virtù delle sue origini discutibili
non debba insinceramente insistere sul concetto di valori e virtù che non le
appartengono: «Soprattutto, non dovrebbe assolutamente parlare di democrazia, dal
momento che in quei giorni tanto difficili il concetto di sovranità popolare fu
il primo ad essere abilmente manipolato e messo da parte in favore di meschini
interessi di parte e politici che con la volontà degli italiani non avevano
assolutamente nulla a che vedere. Non scomodiamo il popolo. Viva il Re!».
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