domenica 2 giugno 2019

«La Repubblica Italiana è uno Stato di fatto ma non di diritto»


In ricordo del referendum istituzionale del 1946, il 2 giugno è stato scelto come giorno della Festa della Repubblica Italiana, la principale celebrazione nazionale atta a ricordare la nascita dell’ Italia repubblicana. La cerimonia principale avviene annualmente a Roma, alla presenza delle massime autorità governative e statali italiane, ed è uno dei simboli patri italiani più noti. Giacomo Ramella Pralungo, scrittore di fantascienza ed articolista storico, segue le celebrazioni tramite l’ edizione straordinaria del telegiornale e dando di tanto in tanto attente occhiate agli articoli pubblicati sulla rete informatica, ma non pare particolarmente estasiato, come lui stesso afferma: «La Repubblica Italiana è uno Stato di fatto, ma non di diritto.». Asserisce che negli ultimi settantatré anni la politica italiana è stata pesantemente segnata da intrighi, scandali e corruzione eppure non ci trova nulla di sorprendente se pensa a come l’ attuale assetto dello Stato si impose nel 1946: «La Repubblica nacque con il piede sbagliato e ancora oggi, a distanza di tanti anni, una certa parte della cittadinanza esprime seri dubbi sulla validità del voto referendario. Io stesso sono monarchico e assolutamente dubbioso della validità dell’ assetto di quello Stato di cui sono cittadino.».

Sfogliando alcuni libri, «I Savoia» di Gianni Oliva e «Morte di un Savoia» di Franco Fucci, Giacomo non nasconde la propria tendenza monarchica, anzi, la difende: «Quando ero bambino, mia madre fu la prima a parlarmi in modo favorevole della monarchia, pur sottolineando che come in qualunque altro contesto umano anche in quei tempi avvennero determinate cose sia positive che negative. E quante volte l’ ho sentita esprimersi dubbiosamente sul referendum tra Corona e repubblica, avvenuto quando aveva tre anni: diceva sempre che la Repubblica Italiana venne al mondo con un furto pari a ben due milioni di voti favorevoli al sovrano! Crescendo, io stesso ho cominciato a nutrire una certa simpatia per il sistema monarchico, rimanendo colpito soprattutto dall’ importanza che attribuisce alla tradizione e alla continuità.».
L’ autore afferma che per lui il 2 giugno è una giornata nazionale che come cittadino non vive mai con entusiasmo, diversamente da quanto avviene il 17 marzo, l’ Anniversario dell’ Unità d’ Italia, che percepisce come una giornata effettivamente importante per la nazione: «Si tratta di una festa fondamentale e molto più autentica, ma vergognosamente trascurata. Come se la nostra nazione fosse spuntata come un fungo proprio nella ricorrenza di oggi…». Spiega che il referendum tra monarchia e repubblica, in occasione del quale ventiquattro milioni di italiani furono a votare per scegliere la forma dello Stato, in una votazione a suffragio universale e per la prima volta aperta anche alle donne, avvenne in un contesto comprensibilmente teso e drammatico: il Paese era appena uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, le macerie dei bombardamenti alleati e le demolizioni dei nazisti in rotta abbondavano ancora ovunque, con centinaia di migliaia di persone ancora sparse tra i campi di prigionia in tutto il mondo e intere province tuttora sotto la diretta occupazione e gestione militare straniera, in un clima in cui nonostante le dichiarazioni ufficiali le violenze perduravano con il rischio di sfociare in una guerra civile, che certe parti addirittura auspicavano allo scopo di favorire la lotta di classe e il rovesciamento di un ordine ritenuto ingiusto ed oppressivo, ormai debole e inadeguato: «Il 9 maggio 1946, re Vittorio Emanuele III, in un estremo tentativo teso a salvare sia la monarchia in vista del referendum che a confermare Casa Savoia sul trono in caso di vittoria, abdicò a Napoli in favore del figlio, Umberto II, che gli successe come quarto sovrano d’ Italia nel periodo più drammatico della storia sia nazionale che della famiglia reale, regnando appena trentadue giorni, fino al successivo 10 giugno, in virtù dell’ esito del referendum del 2 e 3 giugno, che si dimostrò sfavorevole alla monarchia, che raccolse 10.718.502 voti contro i 12.718.641 favorevoli invece alla repubblica.». Volendo evitare una crisi istituzionale ed una guerra civile, entrambi i rischi erano assai concreti con un settentrione repubblicano e un meridione monarchico, il sovrano scelse saggiamente di lasciare l’ Italia alla volta del Portogallo, passando alla storia come «Re di Maggio».
La famiglia reale in esilio a Cascais;

Alla richiesta su che cosa pensi circa il referendum del 1946, Giacomo risponde fermamente che fu un evento molto importante nella storia d’ Italia, eppure, a causa dei metodi altamente dubbi e pasticciati con cui lo spoglio delle schede e l’ annuncio dell’ esito elettorale furono condotti, si intuì rapidamente la presenza di forti brogli che avrebbero abilmente portato ad un distacco di quasi due milioni di voti a svantaggio dell’ istituto monarchico, contribuendo ad alimentare le già forti tensioni di quei giorni, che perdurarono negli anni successivi in tutto il Paese: «In molti espressero i più ampi dubbi su quel che accadde in occasione del referendum, e su come avvenne. In primo luogo, un plebiscito è un avvenimento tipicamente democratico, quindi deve essere preparato ed eseguito nella massima libertà, senza intimidazioni, minacce e violenze, ma purtroppo questo non fu il clima in cui si svolse, soprattutto nell’ Italia settentrionale, culla della Repubblica di Salò e del Secondo Risorgimento, animato prevalentemente da partigiani di orientamento politico comunista e filosovietico. Solo una minoranza di combattenti apparteneva a un differente orientamento politico.». Il periodo non era assolutamente adatto allo svolgimento di un referendum istituzionale di simile importanza, come prosegue: la guerra in Europa era terminata appena un anno prima, e il Paese era sotto il diretto controllo politico e militare degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell’ Unione Sovietica. Nel settentrione e nel centro le bande partigiane comuniste continuavano ad assassinare chi non la pensava come loro: sacerdoti, ricchi, titolati, cattolici, gli ultimi simpatizzanti fascisti rimasti e anche semplici nemici personali, con cui si regolavano i conti senza esitazione in quanto si temeva che sarebbero tutti stati un ostacolo all’ avvento del comunismo, mutando l’ Italia in un Paese filosovietico: «Il Fascismo era stato sconfitto e Mussolini era morto, quindi ora bisognava abbattere la Corona e disfarsi della famiglia reale, cosa non facile perché la maggioranza degli italiani era legata all’ istituzione monarchica. Volendo far apparire le cose in regola, si pensò di indire un referendum con cui dare voce al volere del popolo. Ma la vittoria non era certa per gli antimonarchici, tutt’ altro!».
Sfogliando i libri e spegnendo il computer, Giacomo sostiene che la questione istituzionale italiana andava lasciata soltanto al popolo italiano, libero da qualsivoglia interferenza o pressione da parte delle potenze straniere. Ma così non fu: gli Stati Uniti prediligevano notoriamente l’ idea di un’ Italia repubblicana, sebbene ciò aumentasse il rischio di un’ influenza da parte dell’ Unione Sovietica che per mezzo dei partigiani comunisti contava di fare del Belpaese una nazione rossa, mentre la Gran Bretagna era la più favorevole alla preservazione della monarchia in virtù dei rapporti cordiali che da tempo legavano i Savoia ai Windsor, entrambi tra i più antichi e rispettati casati reali europei, nonostante le condizioni politiche e sociali profondamente diverse dei rispettivi governi e Paesi: «Occorre ricordare che al referendum non votarono più di ben duecentocinquantamila prigionieri di guerra, migliaia di sfollati in varie province per ragioni di guerra, e che la cittadinanza della Dalmazia, della Venezia Giulia, dell’ Alto Adige e della Libia, in quel tempo ancora nostra colonia, fu esclusa: si disse che gli italiani di quei territori avrebbero votato in seguito, ma in realtà così non avvenne, eppure i dati ufficiali di allora diedero più del quarantotto percento di voti favorevoli a Sua Maestà.».
A metà dello spoglio, il 4 giugno, curiosamente i carabinieri comunicano a papa Pio XII che la monarchia si apprestava a vincere, mentre la mattina dopo il Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, annunciò a re Umberto che la monarchia era in vantaggio. Dopo che i rapporti da parte dei carabinieri, presenti in tutti i seggi, segnalarono al Ministro dell’ Interno, Giuseppe Romita, la vittoria della monarchia, ebbero luogo una serie di manovre tuttora poco limpide: «Nella notte tra il 5 ed il 6 giugno i risultati si capovolsero in favore della repubblica con l’ immissione di una valanga di voti dalla dubbia provenienza. Alcuni attenti esami statistici hanno dimostrato che in quell’ epoca non potevano esserci tanti votanti quanti ne furono conteggiati nei dati ufficiali del Ministero dell’ Interno, pertanto i dati giunti all’ ultimo momento alla sede ministeriale che sancivano la vittoria repubblicana erano sbucati praticamente da chissà dove. La Corte di cassazione confermò il risultato che mostrava quanto la repubblica avesse vinto la maggioranza assoluta dei voti espressi, anche contando schede bianche e nulle. Vennero presentati migliaia di ricorsi, tutti respinti. In quelle notti si svolse anche una vera e propria competizione tra i servizi segreti statunitensi e quelli britannici, per la vittoria definitiva di un assetto piuttosto che dell’ altro.».
Il 10 giugno, la Cassazione diede in via informale la notizia della vittoria repubblicana, utilizzando una formula dubitativa che rimandava l’ annuncio definitivo al successivo 18 giugno, dopo l’ esame delle contestazioni presentate soprattutto dagli ambienti monarchici, mentre la notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del governo, Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato, esautorando il re di ogni potere. Negli stessi giorni, le truppe comuniste del maresciallo Tito erano pronte al confine iugoslavo per intervenire qualora fosse stata proclamata la vittoria della monarchia, e in varie zone d’ Italia furono scoperti nei luoghi più disparati migliaia di pacchi di schede non scrutinate che vennero prontamente distrutti: «Molte di queste schede vennero scoperte persino nei sacchi della spazzatura, e come tale vennero tutte bruciate, mentre alcuni drappelli di carabinieri trovarono determinate schede favorevoli alla monarchia, venendo poi trasferiti o congedati prima che potessero fare il dovuto rapporto.». Mentre le istituzioni dichiaravano la vittoria della repubblica, città come Palermo, Taranto, Bari e Messina, consce della scarsa regolarità delle consultazioni, insorsero in quanto si erano sparse notizie, forse già verificate, relative ai brogli di cui si sarebbe parlato negli anni a venire, prima che la cortina del silenzio calasse anche su questa vicenda, come sarebbe avvenuto per le foibe, per i crimini dei partigiani e l’ esodo degli istriani. «Napoli fu teatro degli scontri peggiori.» afferma Giacomo mettendo da parte i libri «Per ben tre giorni, tra il 9 e l’ 11 giugno, le forze dell’ ordine, tra cui la polizia speciale istituita appositamente per il voto referendario, formata da ex partigiani, impiegò autoblindo e carri armati contro la folla inerme uccidendo nove persone e ferendone centinaia. L’ episodio è noto come la Strage di via Medina, ma nelle nostre scuole non se ne parla mai. Non vi fu un processo e neppure venne posta una lapide per ricordare le vittime. Pochi giorni prima, uno sconosciuto aveva lanciato una bomba a mano contro un corteo di monarchici, causando un morto e numerosi feriti.».
Su trentacinquemila sezioni elettorali furono presentati ventiduemila ricorsi, tutti respinti in pochi giorni. Lo spoglio delle schede pervenute rocambolescamente a Roma si svolse nella sala della Lupa a Montecitorio, alla presenza della corte di Cassazione e degli ufficiali angloamericani occupanti: «Pietro Nenni aveva sentenziato: ‘‘O la repubblica o il caos.’’. Il Ministro delle Finanze, Mauro Scoccimarro, aveva invece detto che in caso di vittoria della monarchia i comunisti avrebbero scatenato la lotta armata. Sandro Pertini, invece, esigeva la fucilazione del sovrano.».
Assolutamente deciso ad evitare una guerra civile, Umberto II lasciò volontariamente l’ Italia il 13 giugno 1946, diretto a Cascais, nel Portogallo meridionale, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati ma dimostrando un altissimo senso di responsabilità e stima verso gli italiani. Giacomo sostiene che prese una scelta estremamente difficile ma molto saggia, e che visse in esilio per trentasette dimostrando costantemente una grande dignità, senza mai lamentarsi: «Diffuse un proclama in cui contestava la violazione della legge ed il comportamento rivoluzionario del governo, che non aveva atteso il responso definitivo della Cassazione: ‘‘Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell’ alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.’’.».
Il 18 giugno la Cassazione proclamò la vittoria della repubblica. La Stampa di Torino titolò: «Il governo sanziona la vittoria repubblicana», mettendo in dubbio la proclamazione stessa della Repubblica, perché neanche allora lo si era debitamente compreso. Molti anni dopo, nel 1960, Giuseppe Pagano, presidente della Corte di Cassazione al tempo del referendum ma di simpatie monarchiche, in un’ intervista a «Il Tempo» di Roma affermò che la legge istitutiva del referendum era di applicazione impossibile, in quanto non dava il tempo alla Corte di svolgere i suoi lavori di accertamento, e ciò fu reso ancor più evidente dal fatto che numerose corti di appello non riuscirono a mandare i verbali alla Cassazione entro la data prevista: «Inoltre, l’ angoscia del governo di far dichiarare la repubblica era stata tale da indurre al colpo di Stato prima che la Corte Suprema stabilisse realmente i risultati validi definitivi.». Il magistrato, tuttavia, non sostenne mai la storia dei brogli.
Il corpo senza vita di uno dei Caduti di Via Medina;

Lo scrittore afferma che nel corso dei decenni, sia monarchici che repubblicani hanno sempre ammesso apertamente che la Repubblica nacque in un ventre di dissidio e prepotenza, e in modo piuttosto controverso: «Ma oggi, a settantatré anni da quei giorni convulsi, i tempi sono abbastanza maturi affinché le autorità politiche a Roma e dintorni ammettano che l’ avvento del regime repubblicano ebbe molte ombre su cui si calò prontamente un opportuno silenzio, in modo tale da occultare pressioni, intimidazioni, ricatti, scambi di favori e un’ infinità di metodi poco puliti con cui il voto fu fortemente influenzato addossando ai Savoia più colpe di quante ne avessero, in un contesto di soprusi che portarono alla formazione di uno Stato di fatto ma non di diritto nel quale i dubbi sulla legittimità dell’ esito vennero tacciati di soggettività.». Peraltro, come dice, non si può fare a meno di rilevare che la storia ufficiale promossa dalla Repubblica negli ultimi sette decenni abbia dipinto l’ era monarchica come un periodo oscuro, in cui avvennero solo cose sbagliate, portando inevitabilmente le generazioni più recenti a confondere la monarchia con il Fascismo, quindi aizzando una certa discontinuità con quel periodo e alla conseguente rinuncia ad una serie di valori che invece furono determinati per la nostra storia: «Un chiaro esempio avvenne nel 2000 a Monza, in occasione del centenario dell’ assassinio di re Umberto I: se i balconi e le vetrine dei negozi esponevano il Tricolore conferendo alla città un’ aria patriottica, il Quirinale respinse la richiesta del sindaco di inviare una corona di fiori, facendo notare che il gesto rappresentasse un taglio con il precedente assetto istituzionale, come se la storia italiana fosse iniziata nel 1946, attribuendo ai quattro sovrani sabaudi errori non loro e che negli altri Paesi non vengono mai associate ad un capo dello Stato, sia esso sovrano o presidente. Lo stesso Umberto II e il suo operato dopo la guerra sono da sempre descritti con esagerazioni e punti di vista altamente faziosi, ma nei trentasette anni in cui il re esule, ma non abdicatario, visse lontano dall’ Italia vennero espressi giudizi positivi nei suoi confronti dai tanti italiani che aveva ricevuto nella sua residenza di Cascais, così come da diversi protagonisti di quei giorni come Palmiro Togliatti, Sir Winston Churchill e Dwight D. Eisenhower.».
L’ ex re, Umberto II, in tarda età;

Più in generale, indipendentemente da quel che accadde nel 1946, Giacomo parla delle molte ragioni per cui lui sostiene personalmente il sistema monarchico piuttosto che quello repubblicano: «I Paesi europei più progrediti e democratici sono monarchie, e anche nella maggior parte delle repubbliche le rispettive ex famiglie reali godono di prestigio e ammirazione. Un re è al di sopra delle parti e rappresenta l’ unità della nazione, svincolato dalle battaglie politiche, mentre avere un Presidente della Repubblica è come se in una partita di calcio si prendesse un giocatore di una delle due squadre e lo si facesse arbitro.». Molto spesso, prosegue, un re detiene molti titoli nobiliari, come nel caso di Felipe VI di Spagna, che è anche signore di Castiglia, Leon, Aragona, Navarra, Valencia, Galizia, Maiorca, Minorca, Cordova, Murcia, Granada e Isole Canarie, cosa che favorisce l’ identificazione nella sua figura da parte del maggior numero possibile di sudditi spagnoli. Peraltro, come è risaputo, un re viene preparato al suo ruolo fin dall’ infanzia e una volta succeduto al predecessore sa come comportarsi e rappresentare al meglio il suo Paese, vincola le strutture fondamentali dello Stato, come le forze armate, la diplomazia, la magistratura e l’ alta amministrazione alla Corona, proteggendo tali importanti uffici dalle pressioni e invadenze delle fazioni, evitando che le parti leghino ai propri interessi specifici, l’ istituzione simbolo dell’ unità nazionale: «E’ comunque vero che ci sono sovrani buoni e cattivi, la storia è ricca di esempi, ma se pensiamo che i re di oggi hanno un potere veramente limitato, un cattivo monarca avrebbe davvero poche possibilità di danneggiare la nazione, mentre un cattivo Presidente può nuocere tanto di più. Peraltro, avendo un mandato a vita, un re possiede per forza di cose una visione a lungo termine sconosciuta ad un politico, che una volta eletto si concentra sul proprio breve mandato cercando ovviamente di essere riconfermato.».
La monarchia porta turismo, peraltro, porta turismo: se a Londra le persone fanno la fila per visitare Buckingham Palace e a Monte Carlo per vedere il Palazzo Principesco, molta meno gente va invece a visitare l’ Eliseo di Parigi o la Cancelleria federale di Berlino, piuttosto che i palazzi presidenziali delle altre capitali repubblicane: «L’ istituzione monarchica è persino di aiuto all’ economia: un anniversario ed anche un funerale sono fonte di attrazione per moltissime persone che sul posto consumano, dormono, acquistano souvenir. Tutto questo non avviene sotto gli stendardi repubblicani: la Francia non vedrà mai la folla che c’ è stata a Bucarest in occasione del funerale di re Michele I, avvenuto il 16 dicembre 2017, o a Windsor per il matrimonio dei duchi Henry e Meghan di Sussex, lo scorso 19 maggio 2018. La monarchia è come una grande famiglia: sia nei momenti di gioia che in quelli di dolore, un membro della famiglia reale è sempre vicino alla popolazione e in qualche modo ne condivide felicità e tristezze. Occorre peraltro precisare che la monarchia non rappresenta neppure un costo folle a carico dei cittadini: come è risaputo, le residenze europee più care sono il l’ Eliseo e il Quirinale. Entrambe repubblicane…».
La monarchia, prosegue con convinzione, conferisce stabilità e prestigio alla nazione, come dimostrato dalle vicissitudini di gran parte dei Paesi che nel corso del Novecento sono diventati repubbliche passando dalla democrazia alla dittatura, come l’ Iran e l’ Egitto, che dal 1952 non si è mai liberato dei militari dal governo, piuttosto che la Grecia, che da Paese rispettato è tristemente diventato lo zimbello d’ Europa: «La stessa Italia deve gran parte di ciò che è oggi alle varie famiglie che hanno regnato sia prima che dopo l’ unità nazionale, influendo positivamente persino sui suoi flussi turistici: a Torino e nel nordovest le persone vengono a visitare le residenze sabaude, Caserta deve la sua fama mondiale alla Reggia dei Borbone, Parma trae il proprio splendore dai Farnese e dai Borbone, mentre Firenze, senza i Medici prima e agli Asburgo poi, non sarebbe stata la stessa. Personalmente, sono assolutamente convinto che per quanto oggi monarchia sia sinonimo unicamente di Casa Savoia oggi si dovrebbe riscoprire la storia e l’ importanza delle varie dinastie che ressero il potere in varie zone d’ Italia prima del Risorgimento, soprattutto gli Asburgo e i Borbone, caduti sotto i colpi della storia.».

In questi giorni assistiamo a solenni celebrazioni della Repubblica, convegni, mostre fotografiche, e lo stesso Presidente parla abitualmente della Festa della Repubblica invitando gli italiani a riaffermarne i valori: «Ma quali sono, questi valori? Non è corretto parlare di valori, dal momento che l’ avvento della Repubblica fu tanto dubbio e sofferto e che i resoconti ufficialmente adottati dalle autorità politiche e istituzionali tendono da sempre a nascondere metà della storia. Che spieghino chiaramente i vari gialli di quei giorni, dalle truppe titine schierate sul confine italiano con l’ ordine di invaderci in caso della vittoria della monarchia all’ intervento di Togliatti a Mosca al fine di ritardare il rientro delle decine di migliaia di prigionieri italiani trattenuti in Unione Sovietica, piuttosto che il numero degli elettori superiore di quello degli aventi diritto al voto, che mutò l’ esito referendario a seguito dei primi rapporti dei carabinieri, al Vaticano e al governo, per quanto si deduca che molti abbiano votato più volte con documenti di identità falsi o appartenenti a defunti o dispersi. E che dire infine di Togliatti, che, come Ministro della Giustizia, in risposta alle migliaia di ricorsi sostenne che non si sarebbe potuto ricontrollare adeguatamente le schede perché alcune erano andate distrutte?».
Per Giacomo, che scuote fermamente il capo, non ci sono affatto dubbi: di fronte a tanti fatti strani e oscuri e ad altri più evidentemente scorretti, questa Repubblica nacque con il piede sbagliato, e in virtù delle sue origini discutibili non debba insinceramente insistere sul concetto di valori e virtù che non le appartengono: «Soprattutto, non dovrebbe assolutamente parlare di democrazia, dal momento che in quei giorni tanto difficili il concetto di sovranità popolare fu il primo ad essere abilmente manipolato e messo da parte in favore di meschini interessi di parte e politici che con la volontà degli italiani non avevano assolutamente nulla a che vedere. Non scomodiamo il popolo. Viva il Re!».

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