Giacomo Ramella e il prof. Barbero; |
Giacomo
Ramella Pralungo, autore di romanzi di narrativa fantascientifica e di articoli
di storia, cultura e scienza, in virtù della sua antica passione per la storia
che lo porta a definirsi «storico dilettante», è un ammiratore del professor
Alessandro Barbero, docente di Storia medievale presso l’ Università del
Piemonte Orientale di Vercelli. Dopo alcuni contatti via posta elettronica, i due
si sono personalmente incontrati sabato 29 aprile 2023 alla Libreria
Giovannacci di Biella, la città di Giacomo, in occasione della presentazione di
«Brick for stone», romanzo in cui il popolare insegnante racconta l’ 11
settembre 2001 mischiando realtà storica e invenzione letteraria.
La
seguente pubblicazione è ricavata da una conversazione che Giacomo ha avuto
alcuni giorni dopo in proposito, nella quale ha commentato la figura
rappresentata da questo grande studioso, che negli ultimi anni ha acquisito una
notevole popolarità su Internet grazie all’ abilità divulgativa in una serie di
conferenze e lezioni trasmesse su YouTube, che hanno guadagnato centinaia di migliaia
di visualizzazioni.
In
una civiltà alla rovescia come questa, come mia madre la definì poco prima di
morire con la raccomandazione di non stupirmi più di tanto di ciò che avrei
visto, in cui più una persona è scombinata e volgare e più gode di stima e
visibilità, è bello constatare che qualcuno che ancora disponga di intelligenza
e preparazione riesca a farsi notare e a godere di un certo peso e successo. Il
professor Barbero è una persona veramente notevole, dotato di una grandissima
conoscenza e abilità comunicativa, potrebbe infatti parlare per una vita intera
di argomenti vasti e sfaccettati in modo semplice e diretto, molto coinvolgente
e con vivo entusiasmo, che riesce a trasmettere in chi lo ascolta. Non avevo
mai visto un insegnante e un conferenziere simile, prima di lui. Si trova
perfettamente a suo agio nel raccontare la storia in un’ aula universitaria
esattamente come in televisione, nei convegni che diventano episodi di
contenuti audio diffusi via informatica, e anche scrivendo, come se la storia
non fosse altro che un grande romanzo. Come lui stesso ha affermato: «L’ unica
differenza tra noi storici e i romanzieri è che loro possono inventare.». Il
dubbio che i libri di storia siano scritti in forma opportunamente ritoccata,
come nel contesto narrativo, è ragionevole e anche piuttosto antico, si pensi
al detto secondo cui la storia viene scritta dal vincitore. Anche in tempi più
recenti, grandi storici del Novecento come Marc Bloch non hanno mai avuto paura
di una scrittura non accademica, soggettiva. In narrativa, gli autori sono
assolutamente liberi, ma chi si occupa di storia si gioca tutto in tema di
verificabilità. Oggi siamo nell’ epoca della propaganda politica, che si
ripercuote anche nella trasmissione della memoria storica, e delle notizie
fasulle, delle pseudonotizie e del negazionismo e revisionismo, e le sue
lezioni sono una delle poche certezze di cui disponiamo: in questo momento
abbiamo più che mai bisogno di sapere le cose così come sono andate, e lui resta
saldamente ancorato al fondamento della verificabilità, la possibile verità sui
fatti. Il professore è uno che fa ipotesi, tenta di seguire vie coerenti escludendo
quelle che paiono improbabili ed evidenziando ciò che alla fine è il lavoro
dello storico, il processo della sua scrittura: sebbene non esatta come la
matematica, la storia resta una scienza, e come tale si basa sulla deduzione
data dall’ osservazione degli elementi a disposizione, in una continua analisi
in cui le conclusioni possono continuamente essere confermate oppure smentite e
superate da ulteriori scoperte, mettendo a confronto le voci e le idee di
quelli che hanno provato, prima di lui, a interpretare il passato, nel
tentativo di capire dove possa nascondersi la verità dei fatti. Il dovere dello
storico è comunicare al lettore questo principio. E’ illuminante per noi avere
ben chiaro di quanto viviamo in mezzo a ipotesi, valutazioni e interpretazioni,
anche soggettive.
Fin
da bambino sono sempre stato un grande ammiratore di Piero Angela e, mentre
vivevo in Ghana, dal 2009 in poi ogni venerdì sera in agosto seguivo su Rai
Internazionale il programma «Superquark», in cui vidi il professore per la
prima volta. La sua personalità e il suo stile mi impressionarono dal primo
momento, essendo così familiari, spontanei e cordiali. Ascoltandolo, dopo
appena pochi istanti si ha la sensazione di comprendere a fondo ciò che spiega,
riflettendo su che cosa sia veramente la storia e come ne venga trasmesso il
ricordo. Dal 2014 in poi ho avuto l’ occasione di scrivergli via posta
elettronica per domandargli aiuto in alcune ricerche, che in seguito sono state
alla base di alcuni miei libri e articoli, e mi è stato veramente utile. Mi ha
sempre risposto in breve tempo e con molta gentilezza, oltre che con la
proverbiale chiarezza e piacevolezza. Nel 2017, poi, assistetti alla
presentazione di «Caporetto», di cui acquistai una copia sebbene in quell’
occasione non mi fu possibile restare fino alla fine richiedendogli una dedica.
Solo ora ci sono riuscito, dopo oltre cinque anni! Fu comunque un gran piacere
sentirlo mentre descriveva lo scenario in cui maturò la famigerata disfatta
italiana durante la Grande Guerra, in cui combattemmo contro un Impero antico e
multietnico ormai sulla via del crepuscolo: l’ Italia era ancora un Paese
arretrato e contadino, e i limiti delle forze armate combaciavano con quelli della
stessa nazione, la distanza sociale tra soldati e ufficiali era notevole, e si
preferiva affidare il comando dei reparti a giovani diciannovenni di classe
borghese piuttosto che promuovere i sergenti, contadini e operai che avevano
imparato il mestiere sul campo. Tra ufficiali e soldati non vi era peraltro una
comunicazione, con tutti i limiti pratici che ne derivavano. I nostri ragazzi
in trincea erano un esercito in cui nessuno voleva prendersi responsabilità, e si
aveva paura dell’ iniziativa personale tanto che la notte del 24 ottobre 1917,
con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di
artiglieria non osarono aprire il fuoco senza avere ricevuto l’ ordine dai
piani alti. Eravamo un Paese retto da una classe dirigente di linguacciuti da cui
erano scaturiti generali che emanavano circolari in cui esortavano i soldati a
battersi fino alla morte, credendo di aver risolto in tal modo tutti i
problemi. Personalmente, io temo che noi oggi non siamo cambiati mica tanto! La
scorsa estate 2022 mi ha visto impegnato nella Passione di Sordevolo come
comparsa e come attore, ero infatti soldato del Tempio di Gerusalemme e
Marsaglia, il fabbro ferraio che inchioda Gesù alla croce. Quando avevo i due
ruoli insieme avevo giusto il tempo di cambiarmi dietro le quinte. La sera in
cui venne ad assistere allo spettacolo, dopo aver visitato il museo in paese
nel pomeriggio, io ero impegnato in entrambi i ruoli, ed è stato un vero
privilegio per me, un bel regalo che la vita mi ha fatto.
Nei
giorni scorsi, con la presentazione di «Brick for stone», ho finalmente avuto
la possibilità di presentarmi di persona e di ringraziarlo per l’ aiuto che mi
ha prestato alcuni anni fa, e di esprimergli apprezzamento e stima per la sua
preparazione e capacità espositiva. Persone come lui sono veramente speciali, e
hanno bisogno di sapere che ciò che fanno a nostro beneficio viene
positivamente recepito da noi tutti. Trovo molto importante che sentano la
conferma che il loro impegno dia i suoi frutti.
Una
delle cose per cui maggiormente apprezzo il professor Barbero è l’ attenzione
che presta al tema delle false notizie. Lui dice sempre che esistono fin dall’
inizio della nostra storia, solo noi siamo convinti che siano una novità dei
tempi moderni. A suo dire, si trattano soltanto di una versione attuale delle
antiche leggende: se da una parte c’ erano quelle che nascevano in maniera
spontanea, come le storie su dei, orchi, streghe e personaggi fantastici, dall’
altra c’ erano quelle costruite pezzo dopo pezzo per uno scopo ben preciso. La
propaganda politica era una tecnica comprovata già nell’ antica Roma: inventare
un episodio o ritoccarlo a seconda dei propri interessi o della parte di popolo
che si voleva convincere, specie in occasione delle votazioni, era una pratica abituale.
Spesso noi non sappiamo affatto come sia andata la storia. Chiunque, già in quarta
elementare, ha studiato che Costantino fu quel particolare imperatore che
cristianizzò l’ Impero, ponendo fine alla crudeltà delle persecuzioni e aprendo
la strada a venti secoli di storia durante i quali Stato e Chiesa sono andati
avanti in armonia a seguito della famosa battaglia di Ponte Milvio, che vide Costantino
sconfiggere Massenzio: si racconta che durante lo scontro in cielo apparve la
croce e la scritta «In hoc signo vinces», ossia «Sotto questo segno vincerai». Chiaramente,
questo particolare è una validissima aggiunta propagandistica, per quanto
fantasiosa. Se dopo la battaglia avesse deciso di rimanere pagano, quasi
certamente in tutto il mondo si sarebbe detto di come l’ imperatore fosse stato
aiutato dagli dei anziché dalla strana e misteriosa divinità ebraico cristiana.
Costantino ha regnato sia sui cristiani che sui pagani e non è stato affatto
intollerante con questi ultimi, retaggio della precedente religiosità classica:
ci sono tracce di discorsi pubblici dell’ epoca stessa in cui i non cristiani
imputavano il risultato all’ intervento delle loro divinità. Insomma, chi
costruisce le pseudonotizie oggi ha soltanto imparato la lezione dei maestri
del passato, non abbiamo inventato nulla di nuovo, c’ è solo una grande
differenza: mentre noi le affidiamo a Twitter o ai giornali, per poi vederle
passare dopo un giorno, una settimana, un mese o un anno per poi dimenticarle, gli
architetti delle bufale dei tempi andati pensavano in termini più lunghi, a
come fare affinché venissero ricordate per secoli e secoli nel futuro, e furono
in grado di far arrivare i loro falsi miti fino a noi, e con conseguenze non da
poco, soprattutto se consideriamo agli strumenti che avevano allora!
Il
modo di porsi pacato del professor Barbero, da solo, non basta a spiegare la
sua popolarità. All’ interno delle sue conferenze, infatti, non si limita a
raccontare la storia. Presenta agli spettatori le fonti, interpretandole e
dando loro anche un tocco di teatralità in modo da renderle apprezzabili anche agli
occhi di chi non ha mai affrontato la storiografia fuori dalle mura scolastiche.
Un livello di narrazione che non dimentica il lavoro e la fatica compiuta dallo
storico, ma che anzi sceglie di introdurla al grande pubblico. La fonte,
quindi, rimane centrale nella sua narrazione quanto nella scienza storica
tradizionale. L’ interpretazione della fonte può essere visto in maniera differente,
tra quella dello storico, che contestualizza il documento e ne comprende le sue
finalità e la sua origine, e quella del divulgatore, che non esita mettere un
po’ di teatro nell’ esporre una testimonianza del passato. Ricorda che il
presente non è altro che una continuità con il passato, e consegna dignità al
ruolo dello storico e al suo lavoro, mostrando come la nostra stessa vita, gli
eventi che viviamo tutti i giorni, siano parte di qualcosa di più grande. Ed è
proprio qui che ha luogo il grande merito di questo singolare e geniale
divulgatore: rende la storia e i suoi mezzi di ricerca qualcosa di presente, di
attuale. Viviamo in un mondo dove le voci corrono incontrollate e diventa sempre
più difficile per le persone come noi distinguere una notizia vera da una
falsa. Il «popolo della rete» sembra non essere più capace di riconoscere il
vero dal falso e spesso accetta passivamente questa diffusione incontrollata
delle false notizie. In un simile contesto la figura di questo professore
assume una notevole importanza: quella di una persona dotata del sapere
necessario per indagare una fonte. Non solo quella storica, ma anche quella attuale.
Un esercizio che dona nuova importanza alla disciplina storiografica, quindi.
In
questo, l’ operato del professor Barbero ci porta in una dimensione nuova della
storia, un mezzo che ci permette di acquisire competenze anche per la vita di
tutti i giorni. Tocca di conseguenza a noi utilizzarla secondo la nostra
coscienza, allo scopo di riportare i fatti non solo al centro della narrazione
storica, ma anche della vita quotidiana. Ogni volta che sentiamo qualcosa, ad
esempio, anche un semplice pettegolezzo, dovremmo imparare a chiedere: «Ma tu
come l’ hai saputo?».
L’
atteggiamento pratico e veritiero del professore mi riporta al Buddhismo,
particolare filosofia orientale che molta importanza ha avuto nella mia vita e
che tuttora continua ad affascinarmi. Gli insegnamenti alla base di tutte le
scuole vengono trasmessi per mezzo di ciò che viene chiamato lignaggio, che
equivale ad una precisa linea di diffusione basata sul passaggio da maestro a
discepolo e atta proprio a certificarne la provenienza e la validità,
dimostrata dalla realizzazione incarnata dal maestro saggio. Al tempo stesso, nel
Nobile Ottuplice Sentiero, la via spirituale basata su un’ esistenza virtuosa che
conduce alla cessazione della sofferenza esposta nel Discorso di Benares, il Buddha
Śākyamuni stesso parlò di «retta parola», cioè l’ assunzione di responsabilità
di ciò che diciamo, ponendo attenzione nella scelta delle singole parole e di
come le esprimiamo, in modo da non far del male a nessuno e di conseguenza a
noi stessi. Sulla base di questo principio si deve parlare per essere veritieri
e non menzogneri, per favorire la chiarezza anziché la confusione e le opinioni
errate. Durante i suoi quarantacinque anni trascorsi insegnando, il Risvegliato
aggiunse: «Non credere a niente perché ne hanno parlato e chiacchierato in molti.
Non credere semplicemente perché vengono mostrate le dichiarazioni scritte di
qualche vecchio saggio. Non credere alle congetture. Non credere come una
verità ciò a cui ti sei legato per abitudine. Non credere semplicemente
all’autorità dei tuoi maestri e degli anziani. Dopo l’ osservazione e l’
analisi, quando concorda con la ragione e conduce al bene e al beneficio di
tutti e di ciascuno, solo allora accettalo, e vivi secondo i suoi principi.». Un
proverbio Zen, similmente, recita: «Una buona parola tiene un asino inchiodato
a un palo per cento anni.». A tutto ciò, Lama Paljn, guida spirituale del
centro buddhista tibetano Samten Ling di Graglia, con cui ho un rapporto
personale di stima e amicizia, spiega che il concetto di «retta parola» insiste
sull’ evitare bugie, maldicenza, zizzania, offese e pettegolezzo, e aggiunge che
le parole non esistono di per sé, ma servono a intendere l’ infinito e aiutano
a favorire la «retta comprensione», ossia vedere le cose nella loro vera
natura, così come sono senza il filtro delle opinioni soggettive. La parola non
deve nuocere, perché comunicare ci rende più umani in quanto siamo animali
sociali che vivono in gruppo. La comunicazione è uno strumento di civiltà da
usare per fini consapevolezza e di liberazione sia personale che altrui.
L’
impiego pratico, semplice e diretto della parola al fine di esprimere idee
precise e fondate e verificabili avvalorato dal Buddha Śākyamuni nell’ India
settentrionale di duemilacinquecento anni fa è molto vivo nel professor
Barbero, come ho personalmente constatato. In un’ epoca in cui l’ informazione,
e quindi la parola, è pilotata per influire sull’ opinione pubblica a vantaggio
di discutibili interessi settari, noi oggi abbiamo la fortuna di beneficiare di
un uomo che invece la usa per indicarci qualcosa di tangibile, logico e
pienamente confermabile. E’ davvero un bene che in mezzo a tante figure oggi
alla moda soprattutto tra i più giovani, tra opinionisti televisivi dediti ad
un linguaggio sempre più volgare come Luciana Littizzetto e celebrità di
Internet non vincolate da alcun valore etico fondamentale vi sia invece chi,
come lui, tiene un basso profilo e si esprime con classe e dignità parlando di
ciò che ha convenientemente valutato e compreso. E sono veramente fortunato ad
avergli stretto la mano in amicizia e rispetto! Lo reputo in tutta sincerità un
esempio formidabile da cui ho molto da apprendere.
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